Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13523 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 20/05/2019), n.13523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17672/2016 proposto da:

HIPPOGROUP ROMA CAPANNELLE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA 72, presso lo studio degli avvocati SAVERIO CASTELLI

e ALDO SIMONCINI, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

F.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8116/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/2016 R.G.N. 8422/2012.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 8116/2015, depositata il 26 gennaio 2016, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha accertato che fra F.M.L. e la Hippogroup Roma Capannelle S.p.A. si era costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale a partire dall’anno 2006, con la stipula del primo di sei contratti a progetto, ordinando il ripristino del rapporto con inquadramento del lavoratore al livello D2 del c.c.n.l. di settore; ha, inoltre, condannato la società al pagamento delle eventuali differenze di retribuzione per i giorni lavorati, da liquidarsi in separata sede, nonchè al pagamento di un’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, nella misura di undici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

– che la Corte ha osservato come le caratteristiche del programma dedotto nel contratto, finalizzato ad un’attività lavorativa (addetto riprese televisive delle corse), e non ad un risultato, non presentassero i necessari requisiti di specificità e, valutate unitamente alle circostanze dell’inserimento nell’organizzazione aziendale, dell’uso di mezzi e strumenti di proprietà dell’azienda, dell’obbligo di giustificare le assenze, della mancanza di rischio in capo al lavoratore, deponessero univocamente per la sussistenza in concreto dei requisiti di dipendenza ed eterodirezione propri del rapporto di lavoro subordinato;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società con tre motivi, assistiti da memoria, cui il F. ha resistito con controricorso;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, nonchè degli artt. 2094,2222 c.c. e segg., in relazione all’art. 2697 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere tenuto conto della qualificazione di collaborazione coordinata e continuativa espressamente attribuita dalle parti al rapporto ed inoltre per non aver considerato che la subordinazione postula, per la sua concreta sussistenza, non già semplici direttive programmatiche e prescrizioni predeterminate (e cioè un tipo di controllo compatibile anche con la prestazione d’opera autonoma) bensì la necessità che la prestazione sia regolata nel suo svolgimento e che, pertanto, il potere direttivo abbia ad oggetto l’intrinseca esecuzione della prestazione medesima; censura altresì la sentenza per avere ritenuto la mancanza di indicazione, nei contratti a progetto, di un risultato finale, sebbene gli stessi, in quanto stipulati negli anni 2006-2009, risultassero anteriori alle modifiche introdotte a tale tipo contrattuale dalla L. n. 92 del 2012;

– che con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2094 c.c., artt. 115,116 c.p.c. e art. 409 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere valutato la volontà negoziale delle parti, che avevano pacificamente qualificato il rapporto come di collaborazione coordinata e continuativa, e per avere omesso di spiegare se, e in quale misura, il comportamento delle stesse, nel corso del suo svolgimento, avesse contraddetto a tale originaria qualificazione; censura inoltre la sentenza per non avere operato, nel ritenere l’attività svolta come assoggettata al potere direttivo proprio del lavoro subordinato, alcun richiamo alle prove testimoniali acquisite al giudizio, se non mediante un generico riferimento all’attività “come risultante dagli atti”;

– che con il terzo motivo viene censurata la parte della sentenza di appello relativa al riconosciuto inquadramento del lavoratore al livello D2 e alla condanna della datrice di lavoro al pagamento, in forma generica, di (eventuali) differenze di retribuzione, deducendosi al riguardo sia la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, per omessa pronuncia su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte e per ultrapetizione, sia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5;

osservato:

che il primo e il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, non possono trovare accoglimento;

– che la Corte di merito ha ritenuto il programma di lavoro inserito nei contratti privo del requisito della specificità in quanto diretto “ad un’attività lavorativa (addetto riprese TV)” e, pertanto, coincidente di fatto con la mera prestazione di essa; nè a fronte di tale essenziale, e non specificamente censurato, collegamento può avere rilievo (se non per rafforzarlo) il contestuale richiamo, contenuto nella sentenza, ad un difetto di previsione di risultato, con conseguente impossibilità di configurare un vizio di sussunzione così come configurato nell’ambito del primo motivo: sia perchè il riferimento svolto dal giudice di merito non connota, diversamente da quanto sostenuto con la censura in esame, la mancanza di un risultato, nei contratti dedotti in giudizio, nei termini di un “determinato risultato finale” cui il progetto deve essere funzionalmente collegato (secondo la specifica formulazione introdotta dalla L. n. 92 del 2012); sia perchè anche nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, nella versione originaria (da applicarsi ratione temporis), il legame funzionale con il conseguimento di un “risultato” è posto quale elemento della fattispecie normativa;

– che è stato precisato, in tema di rapporti del D.Lgs. n. 276 del 2003, ex artt. 61 e segg., che “l’assenza del progetto di cui all’art. 69, comma 1, del medesimo Decreto, che ne rappresenta un elemento costitutivo, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorchè il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia” (cfr. Cass. n. 8142/2017, fra altre conformi);

– che è stato altresì precisato, in tema di conseguenze di ordine sanzionatorio, che “il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69,comma 1 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1,comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso” (Cass. n. 17127/2016; conforme Cass. n. 12820/2016);

– che, in particolare, con Cass. n. 12820/2016 è stato delineato l’ambito rispettivo di applicazione delle fattispecie di cui del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, commi 1 e 2, nel senso che “il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2, disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti”;

– che in relazione a tali consolidati esiti giurisprudenziali, non essendo necessarie ulteriori valutazioni di fatto, deve disporsi, ex art. 384 c.p.c., u.c., la correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, risultando incongrua – a fronte della riconosciuta mancanza di un progetto o programma di lavoro specifico – ogni indagine circa le concrete modalità di svolgimento del rapporto;

– che il terzo motivo di ricorso è infondato, relativamente al vizio di omessa pronuncia, avendo la Corte di appello espressamente esaminato la questione dell’inquadramento del lavoratore, riconoscendolo al richiesto livello D2 c.c.n.l. di settore; nonchè con riguardo al vizio di ultrapetizione, alla stregua del tenore complessivo del ricorso di secondo grado e comunque della presenza, in sede di conclusioni, di esplicita richiesta delle differenze economiche conseguenti al trattamento relativo al superiore inquadramento rivendicato;

– che il motivo in esame risulta poi inammissibile, relativamente al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, non essendosi la ricorrente conformata, nella formulazione della censura, al modello legale del nuovo art. 360, n. 5, quale risultante a seguito della riforma del 2012 e delle precisazioni, circa il perimetro applicativo e gli oneri di deduzione, elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte a partire da Sez. U. n. 8053 e n. 8054 del 2014;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– che di esse va disposta ex art. 93 c.p.c., la distrazione in favore dell’avv. Filippo Aiello, difensore del controricorrente, come da sua dichiarazione e richiesta.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, somma di cui dispone la distrazione in favore dell’avv. Filippo Aiello.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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