Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13523 del 01/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/07/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 01/07/2016), n.13523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14365-2011 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO

&

PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato VESCI GERARDO,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

M.L., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SIRO CENTOFANTI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 529/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 11/02/2011 r.g.n. 213/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato BOZZI CARLO per delega Avvocato VESCI GERARDO;

udito l’Avvocato PARAGONA ENRICO per delega Avvocato CENTOFANTI

SIRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RITA SANLORENZO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.L., dipendente di Trenitalia s.p.a. inquadrato nel livello D2 come operatore tecnico, adiva il Tribunale di Perugia chiedendo accertarsi il diritto all’inquadramento nel superiore livello D2 o, in subordine, nel livello E1 con decorrenza dal giugno 2003, e condannarsi la parte datoriale al pagamento delle differenze retributive a tale titolo spettanti.

La società convenuta resisteva al ricorso. Il giudice di prima istanza respingeva la domanda.

Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte d’appello di Perugia che dichiarava il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nel livello E c.c.n.l. di settore e condannava la società soccombente al pagamento della somma di Euro 10.020,09 a titolo di retribuzione corrispondente alla qualifica superiore a lui ascritta.

Osservava la Corte anzidetta, per quanto ancora di rilievo, che il livello professionale F1 attribuito al ricorrente dalla parte datoriale, era qualificato dallo svolgimento di condotta e movimento di locomotive limitatamente a manovre svolte nell’ambito di impianti di servizio, ad interventi tecnici su mezzi di trazione e sul materiale rimorchiato, con esclusione di attività sulla pubblica rete.

Tuttavia, era emerso in sede istruttoria che il M. percorreva quotidianamente un tratto di 400 metri di linea ferroviaria nazionale sicchè dette mansioni, esorbitanti rispetto all’ambito delle competenze a lui ascritte, determinavano il diritto al superiore inquadramento, data la loro preminenza, sotto il profilo qualitativo, rispetto a quelle rientranti nel profilo di appartenenza.

Ricorre per Cassazione Trenitalia s.p.a affidandosi ad unico motivo di censura. Resiste con controricorso il M..

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo è denunciata violazione, errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. anche in relazione al c.c.n.l.

2003; violazione, errata interpretazione, e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si critica la sentenza impugnata per non aver rettamente interpretato le disposizioni del contratto collettivo di riferimento, nel cui ambito il discrimine fra i livelli F ed E era da individuarsi nel concetto di tratto di linea che, solo ove rientrante nella rete nazionale, consentiva la ascrivibilità delle mansioni alla qualifica superiore.

Si lamenta che sia stato del tutto tralasciato, a detti fini, il dato emerso dalle dichiarazioni rese dal procuratore speciale della s.p.a.

Trenitalia, secondo cui, nel tratto di linea ferroviaria considerato e durante l’attività lavorativa resa dal M., era escluso il passaggio di treni di linea. Ci si duole, altresì, dell’erronea applicazione, nel contesto dello scrutinio di mansioni promiscue, del principio di prevalenza qualitativa rispetto a quella quantitativa, cui comunque la giurisprudenza di legittimità conferisce significativo valore.

L’articolato motivo presenta profili di inammissibilità.

La mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione intrinsecamente eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate sotto l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 mostra, infatti, di non tener conto dell’impossibilità della prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale ed analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nell’impugnata sentenza, che si porrebbero in contraddizione tra loro (vedi Cass. 23-

9-2011 n. 19443).

Nell’ottica descritta della contemporanea proposizione di censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, si realizza, invero, una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c.p.c., n. 4 giacchè si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (vedi fra le tante, Cass. Sez. Lav. 26-3-2010 n. 7394 cui adde Cass. 8-6-2012 n.9341, Cass. 20-9-2013 n. 21611).

In realtà, la ricorrente con il motivo di doglianza proposto, tende a pervenire ad una rinnovata considerazione, nel merito, della valutazione dei fatti di causa elaborata dai giudici del gravame, inammissibile nella presente sede di legittimità.

Per consolidato orientamento di questa Corte il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non potrebbe comunque risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice dell’impugnazione, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito da tale disposizione, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata. Una simile revisione, in realtà, si tradurrebbe in un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, con la conseguenza che “risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa” (vedi ex aliis, in motivazione, Cass. 1-9-2011 n.17977, cui adde, Cass. SS.UU. n. 25-10-2013 n.24148, Cass. 4-4-2014 n. 8008).

Non può, inoltre, sottacersi che l’art. 116 c.p.c., comma 1, di cui la ricorrente denuncia la violazione nella presente sede, consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata; e tale apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici (vedi ex aliis, Cass. 15-1-14 n.687).

Nello specifico, deve ritenersi che la Corte distrettuale, con sia pur sintetica motivazione, si sia attenuta ai dettami sanciti dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi dalle tre fasi successive, di accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, di individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, e di raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (ex plurimis, cfr. in motivazione, Cass. 5-4-2012 n. 5477, cui adde Cass. 27-9-10 n.20272, Cass., 30-102008 n. 26234; Cass.22-8-2007 n. 17896).

La Corte di merito ha, infatti, proceduto alla disamina del livello professionale F1 ascritto al dipendente, che contemplava la “condotta di locomotive da treni/manovra, limitatamente a manovre nell’ambito di un impianto di servizio (stazione, scalo…) ed interventi tecnici sui mezzi di trazione e sul materiale rimorchiato” e comportava un raggio di azione limitato all’interno di stazioni e officine.

Ha, inoltre considerato la definizione contrattuale del superiore livello E che consentiva “la condotta di mezzi di trazione con relativo materiale rimorchiato, su treni che circolano su tratti di linea”.

Ha, quindi, provveduto alla esegesi del materiale istruttorio acquisito da cui era emerso quale dato incontroverso, che il ricorrente quotidianamente, per circa il 20% del suo orario di lavoro, percorreva un tratto di linea ferroviaria nazionale di 400 metri intercorrente fra le Officine Grandi Riparazioni e la stazione di (OMISSIS).

Il giudice dell’impugnazione ha quindi calibrato il proprio giudizio in ordine alle mansioni promiscue esercitate dal lavoratore, comparando i dati qualitativi e quantitativi che connotavano la prestazione svolta, e conferendo peculiare rilievo al dato qualificativo proprio del superiore livello rivendicato, integrato dallo svolgimento della prestazione, quotidianamente, su tratto di linea nazionale.

In tal senso la pronuncia appare del tutto congrua sul piano logico e corretta sul versante giuridico, perchè coerente con i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, secondo i quali “in caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, la prevalenza – a questo fine – non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purchè non espletata in via sporadica od occasionale” (cfr. Cass. 18-3-2011 n.6303 cui adde Cass. 21-6-2013 n. 15763).

In definitiva, alla stregua delle esposte argomentazioni, il ricorso è respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2016

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