Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1352 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. I, 22/01/2020, (ud. 03/07/2019, dep. 22/01/2020), n.1352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21265/2018 proposto da:

H.M.Z., elettivamente domiciliato in Roma V. Menghini

Mario 21 presso lo studio dell’avvocato Porfilio Pasquale che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Costagliola Chiara;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione Territoriale di Salerno Sezione

di Campobasso, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2019 da Dott. SCORDAMAGLIA IRENE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Campobasso, con sentenza pubblicata il 26 giugno 2018, ha rigettato il ricorso presentato da H.M.Z., cittadino del Bangladesh, contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, anche sub specie di protezione umanitaria.

A motivo della decisione, il Tribunale, dopo avere evidenziato come non ricorressero i presupposti di nessuna delle misure di protezione maggiore, quanto alla protezione umanitaria (la sola oggetto dei motivi di ricorso per cassazione), ha osservato come la relativa istanza non potesse essere accolta, non versando il richiedente nè in una situazione di particolare vulnerabilità (non avendo egli allegato peculiari stati patologici), nè potendo vantare in Italia significativi legami familiari.

2. Il ricorso per cassazione consta di due motivi, che denunciano:

I. il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non avendo la Corte territoriale interpretato la detta norma alla luce del D.Lgs. n. 349 del 1999, art. 11 che vieta l’espulsione dello straniero ove sussistano oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, tra queste la grave situazione di indigenza in cui versava il richiedente nel Paese di origine, peraltro, caratterizzato da una significativa instabilità economico-sociale;

II. il vizio di violazione di omesso esame di una prova documentale offerta nel giudizio in data 21 maggio 2018, vale a dire il contratto di lavoro sottoscritto dal richiedente comprovante l’avvenuta integrazione nel tessuto socio economico del Paese ospitante; integrazione potenziatasi per effetto della stipula, in data successiva alla sentenza impugnata, di un nuovo contratto di lavoro ancora più vantaggioso per l’istante.

3. L’intimato Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio e ha resistito depositando controricorso con il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

La situazione di instabilità politico-sociale del Paese di origine, non è, di per sè, sufficiente, a giustificare il rilascio in suo favore del permesso di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Per la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata a specifiche situazioni individuali del richiedente rapportate non alla condizione generale del suo Paese di provenienza, ma a peculiari vicende personali tali da esporre lo straniero, in caso di rimpatrio, al rischio di violazione dei diritti umani fondamentali (Sez. 6, Ordinanza n. 9304 del 03/04/2019, Rv. 653700; Sez. 6, Ordinanza n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648).

4.2. Le anzidette ragioni determinano l’inammissibilità anche del secondo motivo, posto che il rilievo di omessa considerazione del contratto di lavoro che dovrebbe attestare l’avvenuta integrazione socio-lavorativa del richiedente protezione in Italia è stato articolato senza nulla allegare in ordine al mancato godimento in patria del minimun di diritti fondamentali garantiti ad ogni persona umana; profilo, questo, decisivo ai fini del giudizio comparativo da compiersi – nel senso dell’incolmabile sproporzione tra la situazione del paese di origine e quella del paese ospitante – in funzione del riconoscimento della misura tutoria di cui al D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6.

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Consegue condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater non essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compenso, oltre le spese prenotate a debito. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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