Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13516 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. I, 18/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14749-2017 r.g. proposto da:

L.A., (cod. fisc. (OMISSIS)) e L.R. (cod. fisc.

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta

in calce al ricorso, dagli Avvocati Matteo Binelli, e Vincenzo

Sinopoli, con cui elettivamente domiciliano in Roma, viale Angelico

n. 38, presso lo studio dell’Avvocato Sinipoli.

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO L. s.n.c. di L.A. e dei soci illimitatamente

responsabili L.A., L.R., L.L. e L.C.,

in persona del curatore fallimentare Dott. B.D., nonchè

L.C., L.L.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia, depositata in

data 8.5.2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Mantova dichiarò in data 12 dicembre 2016 il fallimento di L. s.n.c. (OMISSIS) e dei soci L.A., L.R., L.L. e L.C., ritenendo, in primo luogo, L.C., amministratore revocato dalla carica sociale tramite lodo arbitrale, legittimato attivo a presentare istanza di autofallimento della predetta società in assenza della nomina di un nuovo amministratore e in applicazione del regime di “prorogatio” sino alla nomina dei liquidatori.

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto ai sensi della L.Fall., art. 18 da parte di L.A. e L.R. nei confronti del fallimento e di L.C. e L.L. (rimasto contumace) avverso la sopradetta sentenza dichiarativa di fallimento.

La corte del merito ha ritenuto che l’art. 2274 c.c. – nel prevedere che, avvenuto lo scioglimento della società, i soci amministratori conservano il potere di amministrare limitatamente agli affari urgenti sino a quando non siano presi i provvedimenti necessari alla liquidazione – esplicita un principio generale in ordine all’applicazione del regime della prorogatio dei poteri degli amministratori sino all’intervenuta sostituzione dei medesimi; ha evidenziato che il lodo arbitrale del 9 dicembre 2015 aveva revocato per giusta causa L.C. dalla carica di amministratore per atti di mala gestio, demandando ai soci la sostituzione dell’amministratore ovvero l’adozione delle necessarie ed indefettibili decisioni per la liquidazione della società; ha osservato che – in mancanza della nomina da parte dei soci ovvero del tribunale di un nuovo amministratore ed in ragione di quanto disposto dall’art. 2274 c.c. (che esclude la vacatio della carica rappresentativa sociale) – la legittimazione alla presentazione dell’istanza di fallimento spettava all’amministratore revocato al quale tale potestà era stata conferita dall’atto costitutivo della società, non potendosi ritenere applicabile, come invocato dai reclamanti, il diverso disposto normativo di cui all’art. 2266 c.c. (che regola la diversa questione dell’opponibilità ai terzi delle modificazioni ed estinzione dei poteri di rappresentanza) e dovendosi ritenere l’istanza di autofallimento atto indefettibile che, se non azionata, diventa fonte di responsabilità in capo all’amministratore; ha inoltre evidenziato – quanto alla contestazione dell’esistenza dello stato di insolvenza della società in liquidazione – che, in tale ultimo caso, la valutazione della sussistenza del requisito di cui alla L.Fall., art. 5 deve essere scrutinata tramite l’accertamento della consistenza degli elementi attivi del patrimonio come idonei e sufficienti (o non) ad assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali, tramite una valutazione di carattere statico; ha inoltre osservato che le valutazioni operate dal Ctu nominato innanzi al giudice fallimentare di prima istanza non erano pertinenti, in quanto dirette a verificare gli indici di liquidità, indebitamento e garanzia dei debiti, profili attinenti invece ad una valutazione di carattere dinamico di un soggetto imprenditoriale in attività e non già in liquidazione; ha infine evidenziato che, valutando comunque gli utili di esercizio del 2016 e 2017 ed i crediti vantati dalla fallita secondo gli indici di svalutazione operati dal Ctu, occorreva comunque confermare la valutazione operata dal tribunale circa lo stato di insolvenza della società debitrice, considerato che le attività (che erano costituite per la massima parte di crediti), non erano in grado di soddisfare la complessiva debitoria; ha infine evidenziato l’inammissibilità dell’ulteriore doglianza relativa alla denunciata nullità ex art. 2265 c.c. del patto sociale che riservava ad L.A. la quota del 1% in quanto censura nuova proposta per la prima volta in sede di reclamo e comunque devoluta agli arbitri secondo l’art. 13 dello statuto sociale.

2. La sentenza, pubblicata il 8.5.2017, è stata impugnata da L.A. e L.R. con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.

FALLIMENTO L. s.n.c. (OMISSIS), nonchè L.C., L.L., intimati, non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1396, 2257, 2266, 2274, 2295, in relazione al contestato profilo della legittimazione attiva dell’amministratore revocato a presentare istanza di autofallimento della società debitrice.

2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1458,1459,1729,2295 c.c., sempre in relazione al profilo della legittimazione attiva dell’amministratore revocato.

2.1 I primi due motivi di censura possono essere esaminati congiuntamente – riguardando, in buona sostanza, la medesima questione della legittimazione attiva dell’amministratore di una società di persone revocato dall’incarico sociale a presentare istanza di auto fallimento della medesima società – e vanno rigettati.

2.1.1 Sostengono i ricorrenti che sarebbe erronea la decisione adottata, sul punto qui in esame, da parte della corte territoriale laddove aveva ritenuto non pertinente e non applicabile il disposto normativo di cui all’art. 2266 c.c., posto che, diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, la norma in esame disponeva che l’unica forma di salvaguardia e di proroga dei poteri dell’amministratore revocato era quella a tutela dei terzi in ragione della non opponibilità a quest’ultimi delle modificazioni dei poteri di rappresentanza non portate a conoscenza dei terzi. Si evidenzia inoltre che, a conferma di quanto affermato, deponeva anche il contenuto dell’art. 2385 c.c. che, per le società per azioni, dispone espressamente un’ipotesi di prorogatio invece non prevista per le società di persone. Non sarebbe applicabile – aggiungono, ancora, i ricorrenti – il disposto normativo di cui all’art. 2274 c.c. perchè, nel caso in esame, non ricorrerebbe una causa di scioglimento della società, quanto piuttosto una ipotesi di revoca dell’amministratore per giusta causa, con conseguente applicabilità del sopra richiamato art. 2266 (che esclude l’istituto della prorogatio) e con la precisazione che, comunque, la diversa norma invocata dalla corte territoriale prevede espressamente, nell’art. 2274 c.c., la conservazione dei poteri di amministrazione per i soli affari urgenti.

2.1.2 Le censure – così articolate – non sono condivisibili.

E’ corretta la ricostruzione giuridica operata dalla corte territoriale, posto che se è vero, per un verso, che risulta fuorviante il richiamo al combinato disposto degli artt. 2266 e 1396 c.c. perchè le norme invocate dai ricorrenti si pongono sul diverso piano (non rilevante ai fini decisori che ci occupano) dell’opponibilità degli atti ai terzi in caso di estinzione ovvero di modificazione dei poteri di rappresentanza dell’amministratore revocato, risulta altrettanto vero, per altro verso, che è il disposto normativo di cui all’art. 2274 c.c. (norma dettata in materia di società semplici, ma richiamabile, a mente dell’art. 2293 c.c., anche per le società in nome collettivo), a risolvere la questio iuris qui dibattuta, posto che la predetta previsione normativa prevede espressamente la prorogatio dei poteri di amministrazione e di rappresentanza dell’amministratore, in caso di scioglimento della società, sino all’adozione dei provvedimenti necessari per la liquidazione.

Orbene, risulta circostanza non controversa tra le parti quella secondo cui il lodo arbitrale del 9 dicembre 2015 aveva revocato per giusta causa L.C. dalla carica di amministratore per atti di mala gestio, demandando, poi, ai soci la sostituzione dell’amministratore ovvero l’adozione delle necessarie ed indefettibili decisioni per la liquidazione della società. Ne consegue che, in assenza della deliberazione sociale di sostituzione dell’amministratore e nell’inerzia dell’adozione dei necessari provvedimenti per la liquidazione della società, quest’ultima doveva ritenersi in una condizione di sostanziale scioglimento, con la ulteriore indefettibile conseguenza che la società continuava ad essere rappresentata da coloro che erano a ciò designati dall’atto costitutivo, anteriormente allo scioglimento, e che la sostituzione degli amministratori non poteva avvenire per il solo fatto dello scioglimento, occorrendo un apposito atto deliberativo della società, con la conseguenza che, nel caso in esame, l’amministratore revocato ha conservato, in assenza della nomina dei liquidatori, la rappresentanza della società, ai sensi del sopra richiamato art. 2274 c.c..

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 5, in relazione all’accertamento dello stato di insolvenza della società.

4. Il quarto mezzo declina, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, sempre in relazione alla valutazione dello stato di insolvenza.

5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con particolare riferito all’immotivato discostamento da parte della corte di appello dalle valutazioni del Ctu sempre in ordine allo scrutinio del requisito dell’insolvenza.

6. Il sesto mezzo articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione dell’art. 2697 c.c., della L.Fall., artt. 1 e 5, in punto di erronea applicazione dei principi di ripartizione degli oneri della prova in tema di accertamento dello stato di insolvenza.

6.1 Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo – tutti articolati in relazione al profilo della valutazione dello stato di insolvenza della società debitrice possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti.

6.1.1 Occorre premettere che costituisce principio non contrastato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L.Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 25167 del 07/12/2016; Sez. 1, Ordinanza n. 19414 del 03/08/2017; Sez. 6-1, Ordinanza n. 24660 del 05/11/2020; N. 19790 del 2015; Sez. 1, Sentenza n. 13644 del 30/05/2013).

6.1.2 Ciò posto, osserva il Collegio come – nonostante il corretto richiamo, nella motivazione della sentenza impugnata, ai principi di diritto da ultimo richiamati in relazione alla. modalità di accertamento dello stato di insolvenza nelle società in liquidazione – la corte di merito ha, invece, richiamato, nel corso delle sue argomentazioni, indici probatori di valutazione che non si riferiscono propriamente nè all’accertamento dell’attivo patrimoniale nè tanto meno al complessivo indebitamento della società attinta dall’istanza di fallimento. In realtà, il provvedimento qui in esame richiama, a tal fine, da un lato, gli utili di esercizio dell’anno 2016 e la perdita di esercizio dell’anno 2015 e, dall’altro, gli indici di svalutazione dei crediti sociali che, nella ricostruzione della corte di merito, costituirebbero la parte più consistente dell’attivo patrimoniale.

Se così è, allora la doglianza così proposta dai ricorrenti deve trovare accoglimento sia in relazione alla denunciata falsa applicazione della L.Fall., art. 5 (ove lo scostamento dai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di accertamento dello stato di insolvenza nelle società in liquidazione risulta vistoso) sia in riferimento al denunciato vizio di motivazione apparente (stante la mancata indicazione finanche dell’entità complessiva dei debiti sociali da porre a raffronto, nell’ottica della valutazione “statica” sopra descritta, con l’attivo patrimoniale liquidabile).

6.1.3 L’accoglimento della doglianza in relazione al preliminare profilo di violazione (o meglio, falsa applicazione) del disposto normativo di cui alla L.Fall., art. 5 e del conseguente vizio argomentativo assorbe l’esame delle ulteriori censure articolate nei motivi qui in esame.

7. Con il settimo ed ultimo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, illegittimità del provvedimento impugnato per violazione della L.Fall., art. 18 e dell’art. 34 e 819 c.p.c., in ordine all’erroneità dell’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui la nullità del contratto sociale ex art. 2265 c.c. sarebbe inammissibile per novità della questione e comunque perchè questione demandata alla cognizione arbitrale in virtù della relativa clausola derogativa della giurisdizione ordinaria contenuta nello statuto societario.

7.1 Il motivo di censura è inammissibile per difetto di interesse ad impugnare.

7.1.1 E’ pur vero che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (v. Cass. 6835-2014), l’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, nei procedimenti in cui trova applicazione la riforma di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007, che ha modificato la L. Fall., art. 18, ridenominando tale mezzo come “reclamo” in luogo del precedente “appello” in coerenza con la natura camerale dell’intero procedimento, è caratterizzata, per la sua specialità, dalla possibilità di riesaminare le questioni, onde non si applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt. 342 e 345 c.p.c.. E’ stato, infatti, affermato che il fallito, addirittura allorchè non costituito avanti al tribunale, può indicare per la prima volta in sede di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi, anche al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, (Cass., sez. 6, ord. 6 giugno 2012, n. 9174; Cass., sez. 1, 5 novembre 2010, n. 22546). Il principio, così enunciato con riguardo alle nuove prove, va esteso anche alle allegazioni delle parti, che logicamente precedono la deduzione di quelle (Sez.1, Sentenza n. 6306 del 19/03/2014; Sez. 1, Sentenza n. 6835 del 24/03/2014 Sez. 1, Sentenza n. 13505 del 13/06/2014 (Sez. 6-1, Ordinanza n. 4893 del 19/02/2019). Ne discende che – a stretto ricorre – risulta giuridicamente erronea la motivazione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile per novità la questione della nullità del contratto sociale ex art. 2265 c.c. sollevata solo in sede di reclamo.

7.1.2 Tuttavia, il ricorrente non ha interesse ad impugnare la relativa statuizione giudiziale posto che anche il richiesto accertamento della nullità del patto sociale ex art. 2265 c.c. non potrebbe dispiegare effetto in ordine al profilo della legittimità o meno dell’estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile.

P.Q.M.

accoglie il terzo, quarto, quinto e sesto motivo; rigetta i primi due motivi e dichiara inammissibile il settimo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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