Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13515 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 20/05/2019), n.13515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22441/2015 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARAGUAY

5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SICILIANO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA BILOTTA;

– ricorrente principale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1020/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/03/2015, R.G.N. 7103/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/12/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

per l’inammissibilità e in subordine per il rigetto del ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato EMANUELE VERONESI per delega Avvocato DAMIANO

LIPANI.

Fatto

Con sentenza 20 marzo 2015, la Corte d’appello di Roma accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra G.E. e Poste Italiane s.p.a. dal 18 ottobre 2004 al 31 gennaio 2006 e condannava la società datrice al pagamento, in favore della prima, di un’indennità risarcitoria pari a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva integralmente respinto le domande della lavoratrice di nullità del termine apposto ai plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato e di lavoro a tempo determinato stipulati tra le parti e conseguenti di riammissione in servizio e risarcitorie.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva la formazione di un giudicato sulla legittimità dei contratti a tempo determinato tra le parti dal 1 aprile al 30 settembre 2006 (ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 art. 2, comma 1 bis) e dal 9 novembre 2006 al 31 gennaio 2007 (ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 art. 1), accertata dal Tribunale di Roma con sentenza n. 17257/2008; ma non anche di un giudicato implicito sui contratti di somministrazione a tempo determinato anteriori (come invece ritenuto dal Tribunale con la sentenza appellata), in assenza di collegamento tra l’impugnazione di questi (stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003) e l’impugnazione di quelli (ai sensi invece del D.Lgs. n. 368 del 2001).

Essa, pur ravvisando la compatibilità della doppia causale (di carattere produttivo, per esigenze di garanzia di qualità del servizio gestione-attese e di carattere sostitutivo, per copertura di assenze non programmabili per ferie e malattia) non illegittima ex se e la specificità delle causali “punte di intensa attività” e sostitutiva, reputava tuttavia illegittimo il (primo) contratto di lavoro in somministrazione a tempo determinato dal 18 ottobre al 31 dicembre 2004, per difetto di prova della ricorrenza in concreto tanto delle esigenze sostitutive (in assenza di nesso di causalità: p.to 3d di pg. 9 della sentenza), tanto delle esigenze produttive (in presenza di allegazioni generiche ed insufficienti, ostative all’ammissione delle prove orali dedotte: p.to 3e di pgg. 9 e 10 della sentenza).

Sicchè tale illegittimità comportava il travolgimento anche degli altri contratti di somministrazione a tempo determinato.

La Corte capitolina riteneva però che la conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato dovesse arrestarsi al 31 gennaio 2006 per effetto del giudicato suindicato: in quanto ostativo alla prosecuzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, per la diversa natura dei rapporti di somministrazione, sia pure a tempo determinato e di lavoro a tempo determinato a norma del D.Lgs. n. 368 del 2001.

Infine, essa accertava la legittimità della causale del contratto a tempo determinato dal 29 novembre 2007 al 31 gennaio 2008, non avendo la lavoratrice appellante confutato le ragioni della sentenza impugnata, in violazione dell’art. 434 c.p.c., essendosi limitata a ribadire la genericità della causale e, senza tenere conto della documentazione prodotta, il mancato rispetto della clausola di contingentamento e l’omessa valutazione dei rischi.

Con atto notificato il 18 settembre 2015, la lavoratrice, ricorreva per cassazione con unico motivo, cui Poste Italiane s.p.a. resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale con due motivi e con memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.. La causa era quindi rimessa dall’adunanza camerale alla pubblica udienza odierna per la sua rilevanza nomofilattica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20,21,27, D.Lgd. n. 368 del 2001, art. 1, artt. 1230, 1231 e segg., artt. 1362,1363 e segg., artt. 2118,2119,2909 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1e 2, per: a) erronea limitazione della conversione del rapporto di lavoro in somministrazione a tempo determinato, per nullità del termine del contratto dal 18 ottobre 2004 al 31 dicembre 2004, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fino al 31 gennaio 2006, nell’irrilevanza della formazione di giudicato sull’accertamento di legittimità di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, comunque inutilmente stipulati, in assenza di una loro efficacia novativa e potendo un rapporto di lavoro a tempo indeterminato cessare solo per recesso del datore (licenziamento) o del lavoratore (dimissioni); b) illegittimità del contratto dal 18 ottobre 2004 al 31 dicembre 2004 per genericità delle causali; c) illegittimità del contratto dal 29 novembre 2007 al 31 gennaio 2008 per genericità della causale.

2. Con il primo motivo, a propria volta Poste Italiane s.p.a. deduce, in via di ricorso incidentale, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo, per omessa pronuncia sull’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti per mutuo consenso (in ragione della breve durata dei contratti a tempo determinato, dell’inerzia di due anni e nove mesi dalla cessazione dell’ultimo contratto alla prima rivendicazione della lavoratrice, della sua accettazione senza riserve del T.f.r. e delle competenze finali), reiterata in memoria di costituzione in appello, a norma dell’art. 346 c.p.c..

3. Con il secondo, essa deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c., quale error in procedendo, per lesione del diritto alla prova, in difetto di ammissione, per incomprensibili ragioni di genericità, delle prove orali dedotte a fini dimostrativi della sussistenza delle ragioni giustificative del contratto di lavoro in somministrazione dal 18 ottobre al 31 dicembre 2004.

4. Reputa la Corte che, per evidenti ragioni di priorità logico – giuridica, occorra avviare l’esame dal ricorso incidentale di Poste s.p.a..

5. Il primo motivo, relativo a nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti per mutuo consenso, è infondato.

5.1. La Corte territoriale ha esaminato il merito del rapporto di lavoro, così rigettando implicitamente l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso tra le parti, logicamente pregiudiziale. E ciò esclude la sussistenza del vizio di omessa pronuncia denunciato, non ricorrente, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191), in quanto incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).

6. Il secondo motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c., per lesione del diritto alla prova sull’esistenza delle ragioni giustificative del contratto di lavoro in somministrazione dal 18 ottobre 2004 al 31 dicembre 2004, è inammissibile.

6.1. Non si configura, infatti, una violazione del diritto alla prova, sub specie di error in procedendo, denunciato in relazione all’art. 2697 c.c., riguardante il regime di ripartizione del regime probatorio tra le parti, correttamente denunciabile, come tutte le norme poste dal codice civile in materia di onere della prova e di ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori e quindi attinente al diritto sostanziale, esclusivamente come error in iudicando: sicchè, la violazione integra un error in iudicando e non in procedendo (Cass. 4 febbraio 2000, n. 1247; Cass. 30 maggio 2003, n. 8810; Cass. 19 marzo 2014, n. 6332).

6.2. Nella sostanza, la doglianza si risolve in una confutazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, che ha al riguardo congruamente argomentato con ragioni (esposte sub 3e, a pg. 9 della sentenza), insindacabild in sede di legittimità (Cass.16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto meno alla luce del più rigoroso ambito devolutivo del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Ed anzi, le suddette ragioni non hanno ricevuto confutazione alcuna, posto che la società datrice ha addirittura affermato di non comprendere la valutazione di genericità delle prove (al primo capoverso di pg. 65 del controricorso). Sicchè, il motivo è anche generico, in violazione del principio di specificità prescritto, a pena di inammissibilità, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 6 luglio 2007, n. 15952).

7. Occorre ora procedere all’esame dell’unico motivo di ricorso principale, di violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20, 21, 27, D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, artt. 1230, 1231 e segg., artt. 1362,1363 e segg., artt. 2118,2119,2909 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 2, per: a) erronea limitazione della conversione del rapporto di lavoro in somministrazione a tempo determinato, per nullità del termine del contratto dal 18 ottobre 2004 al 31 dicembre 2004, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fino al 31 gennaio 2006; b) illegittimità del contratto dal 18 ottobre 2004 al 31 dicembre 2004 per genericità delle causali; c) illegittimità del contratto dal 29 novembre 2007 al 31 gennaio 2008 per genericità della causale.

7.1. Esso è infondato.

7.2. In ordine al profilo sub a), giova preliminarmente chiarire come, dopo una sequenza di (quattro) contratti di somministrazione a termine, appunto dal 18 ottobre 2004 al 31 gennaio 2006, Poste Italiane s.p.a. (già in essi utilizzatrice della prestazione lavorativa di G.E.) abbia poi con questa stipulato alcuni contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in particolare ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, dall’1 aprile 2006 al 30 settembre 2006 e quindi dal 9 novembre 2006 al 31 gennaio 2007, ritenuti legittimi dal Tribunale di Roma con sentenza n. 17257/2008 in giudicato.

Bene pertanto la Corte territoriale ha escluso che il successivo accertamento di illegittimità dei contratti di somministrazione potesse travolgere il giudicato formatosi sulla legittimità dei successivi contratti di lavoro a termine: e ciò, per l’assenza di alcun “collegamento tra l’impugnativa di contratti di somministrazione ex D.Lgs. n. 276 del 2003 e l’impugnativa di contratti a termine ex D.Lgs. n. 368 del 2001” (così al primo periodo di pg. 5 della sentenza), per la diversità delle fattispecie contrattuali, “regolate da specifiche e distinte disposizioni, che richiedono accertamenti in fatto differenti ed applicazioni di principi normativi distinti” (così al primo capoverso di pg. 5 della sentenza).

Ed invero se, come ancora recentemente è stato ribadito (Cass. 14 marzo 2018, n. 6152), per alcuni aspetti il contratto di lavoro somministrato può essere accostato, sotto il profilo funzionale, al contratto a tempo determinato, essendo entrambi strumenti obiettivamente alternativi di acquisizione, diretta e indiretta, di prestazioni lavorative temporanee, il primo si distingue tuttavia in modo chiaro dal secondo. Ed infatti, il contratto di somministrazione è un contratto commerciale tipico, collegato funzionalmente al contratto di lavoro somministrato stipulato dal lavoratore con l’agenzia di somministrazione, con il coinvolgimento pertanto di tre soggetti (anzichè due). Essi poi rispondono a finalità diverse, come si evince dalla Direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale e recepita con il D.Lgs. n. 24 del 2012, che, a differenza della Direttiva 1999/70/CE, non pone l’obiettivo della prevenzione dell’abuso del ricorso alla somministrazione. E ciò perchè l’impiego tramite l’agenzia interinale non è considerato pericoloso, essendo apprezzato come forma di impiego flessibile, in quanto può concorrere “efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili” (art. 4).

La Direttiva impegna anzi gli Stati membri ad un “riesame delle restrizioni e divieti”, che limitano il ricorso alla somministrazione (art. 4), presenti negli ordinamenti nazionali e che possono essere giustificati “soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi”. Sicchè, in linea con i suddetti tratti identificativi del contratto di somministrazione come innanzi definiti, alle ragioni indicate nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, è stato attribuito il significato di presupposti giustificativi oggettivi ed effettivamente sussistenti, nella distinzione di significato e ratio delle norme relative al contratto a termine da quelle relative alla somministrazione, non richiedendo che l’enunciazione delle ragioni risponda a quel livello di dettaglio proprio del primo tipo di contratto (Cass. 6 ottobre 2014, n. 21001, con ampio richiamo di precedenti conformi in motivazione e più specifico riferimento alla sufficiente specificità delle ragioni del ricorso al lavoro in somministrazione, indicate in “punte di intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimento in reparto produttivo”).

Ed ancora, questa Corte ha pure recentemente richiamato (Cass. 19 marzo 2019, n. 7637) la preclusione della possibilità di scrutinare la legittimità del contratto di somministrazione sulla base delle regole previste in materia di lavoro a termine alla luce del recente arresto della Corte di Giustizia Europea, che ha chiarito come il lavoro somministrato o interinale non sia soggetto all’accordo quadro e alle direttive comunitarie in materia di lavoro a termine, imponendo così di mantenere distinti e separati i due ambiti normativi (CGUE 11 aprile 2013, Della Rocca, in causa C-290/12).

7.3. Alla luce della rappresentata diversità di natura giuridica e di disciplina delle due diverse tipologie contrattuali in esame, deve allora ritenersi l’efficacia novativa dei contratti di lavoro subordinato a termine, stipulati tra le parti, rispetto all’anteriore disciplina di utilizzazione da Poste Italiane s.p.a. della prestazione lavorativa di G.E. in somministrazione.

E’ noto, infatti, che la novazione oggettiva si configuri come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche (essendone elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi e l’aliquid novi, la cui esistenza deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se conforme alle disposizioni dell’art. 1230 c.c., commi 1 e 2 e art. 1231 c.c. e congruamente motivato). Ed è ciò che è avvenuto appunto nel caso di specie, ben diverso dalle ipotesi scrutinate da questa Corte, nelle quali, in applicazione del suddetto principio, essa ha escluso che, in presenza di contratti di lavoro a termine illegittimi, la successiva stipulazione di un nuovo contratto a tempo determinato legittimo estingua il rapporto di lavoro venutosi a creare a seguito dell’illegittimità dei precedenti contratti a termine, in assenza di elementi che permettano di ritenere che le parti, con consapevolezza della conversione del precedente rapporto, abbiano inteso costituire un nuovo rapporto di lavoro (Cass. 12 marzo 2010, n. 6081; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17328; Cass. 14 luglio 2015, n. 14712). Ma tali arresti si riferiscono, giova ribadire, a fattispecie di contratti in successione, tanto quelli ritenuti illegittimi tanto il successivo legittimo, aventi tutti natura di lavoro subordinato a tempo determinato.

7.4. Il profilo sub b), di illegittimità del contratto in somministrazione a tempo determinato dal 18 ottobre 2004 al 31 dicembre 2004 per genericità delle causali, è inammissibile, in difetto di interesse della lavoratrice ricorrente, essendone stata comunque accertata l’illegittimità, sia pure per una ragione diversa, quale il difetto di prova della loro effettiva sussistenza (così, ai p.ti sub 3d, sub 3e a pgg. 9 e 10 della sentenza).

7.5. Parimenti inammissibile è il profilo sub c), di illegittimità del contratto dal 29 novembre 2007 al 31 gennaio 2008 per genericità della causale.

La ricorrente ha, infatti, insistito nel propugnare le ragioni di genericità della ragione giustificativa del contratto, senza avvedersi della diversa ratio decidendi al riguardo: di assenza di una specifica censura avverso le statuizioni del primo giudice, così “ponendosi il gravame in contrasto con l’onere stabilito dall’art. 434 c.p.c., nella vecchia formulazione applicabile ratione temporis”, essendosi “la difesa appellante… limitata a riprodurre quanto dedotto nel ricorso introduttivo, senza confutare in alcun modo le ragioni della decisione” (così al p.to sub 5 di pg. 11 della sentenza).

Ed essa ha nuovamente omesso di confutare le ragioni della sentenza d’appello, così incorrendo nella violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 6 luglio 2007, n. 15952). 8. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto di entrambi i ricorsi principale e incidentale, con la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

rigetta entrambi i ricorsi principale e incidentale; compensa interamente le spese del giudizio tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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