Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13515 del 01/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/07/2016, (ud. 05/04/2016, dep. 01/07/2016), n.13515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20025/2010 proposto da:

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell’avvocato GIANDOMENICO

CATALANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LORELLA FRASCONA’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.G. DI V.A.F. & C. S.A.S., già

DITTA G.F. DI V. E GI.FE.

S.N.C., C.F. (OMISSIS), in persona del socio accomandatario

F.V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

MARINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ERNESTINA POLLAROLO, DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 41/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/02/2010 R.G.N. 340/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato CATALANO GIANDOMENICO;

udito l’Avvocato CHITI MARIO per delega orale Avvocato MARINI

GIUSEPPE;

udito l’Avvocato POLLAROLO ERNESTINA;

udito l’Avvocato DIRUTIGLIANO DIEGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Alessandria del 18.2.2008 la società F.G. sas agiva nei confronti dell’INAIL per la condanna dell’Ente assicurativo alla restituzione dei premi pagati in eccedenza negli anni 1995/1997.

Esponeva di essere soggetto colpito dalla alluvione verificatasi in Piemonte nel novembre 1994 e di avere diritto al rimborso del 90% dei premi ai sensi del combinato disposto della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90 e L. n. 17 del 2007, art. 3 quater.

Il giudice del Lavoro con sentenza del 27.2.2009 (nr. 78/09) accoglieva la domanda, condannando l’INAIL alla restituzione dell’importo richiesto maggiorato di interessi dalla data della domanda.

Con ricorso in data 2.4.2009 proponeva appello l’INAIL chiedendo la integrale riforma della sentenza.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 20.1-11.2.2010 (nr.

41/10), rigettava l’appello.

La Corte territoriale rilevava che le agevolazioni di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, non si riferivano esclusivamente ai tributi, come assunto dall’INAIL ma anche ai contributi e premi come definitivamente chiarito dal D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, comma 1 (L. n. 17 del 2007).

Riteneva inoltre che il beneficio comportasse anche la ripetibilità dei premi già versati, in ragione di un principio di giustizia sostanziale e della non applicabilità agli interventi di sostegno in questione, relativi ad imprese determinate, con finalità di compensazione dei danni derivati da calamità naturali, del principio di irripetibilità dei versamenti proprio del diverso istituto del condono.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’INAIL, articolando due motivi. Resiste con controricorso la società G.F. sas di V.A.F. & C..

Le parti hanno depositato memorie, prendendo posizione in merito agli effetti sul presente contenzioso della decisione della Commissione della Unione Europea del 14.8.2015 nr. 5549.

Diritto

1. Con il primo motivo l’INAIL denunzia- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, comma 1, L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, D.L. n. 646 del 1994, art. 6, commi 2 e 3, art. 7 bis, art. 7, comma 1 e art. 13, anche in relazione al disposto del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12.

La censura è relativa alla statuizione di applicazione della disciplina di favore prevista dalla normativa richiamata in rubrica ai premi INAIL. L’Ente assicurativo rileva che la L. n. 350 del 2003, individua il beneficio attraverso il rinvio della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, ed i soggetti beneficiari con il rinvio al D.L. n. 646 del 1994, art. 6 (commi 2 e 3 – e 7 bis), norme di carattere tributario sia sotto il profilo oggettivo che quanto alla definizione alla platea dei destinatari.

Assume che l’art. 3 quater, comma 1 della successiva L. n. 17 del 2007, non depone in senso diverso, avendo l’unico scopo di differire il termine di presentazione della domanda per il godimento del beneficio (e non di innovare la materia). Del resto il costo dell’intervento veniva previsto esclusivamente a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, senza alcuna previsione di copertura dei minori introiti che sarebbero derivati agli enti previdenziali.

Tale interpretazione era stata indicata dalla norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12, poi espunta dal testo convertito in legge.

2. Con il secondo motivo di ricorso l’INAIL denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, comma 1, L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, D.L. n. 646 del 1994, art. 6, commi e 3, art. 7 bis, art. 7, comma 1 e art. 13, anche in relazione al disposto del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12.

La censura investe la statuizione di ripetibilità del versamento dei premi già eseguito. Deduce la ricorrente che la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, richiamato dalla legislazione successiva, esclude la ripetibilità delle somme già versate giacchè prevede la mera “definizione” delle posizioni tributarie e contributive (per gli anni 1990/1992), termine letterale riferibile ai soli rapporti ancora in essere.

Del resto già il D.L. n. 646 del 1994, concernente misure in favore delle zone colpite dalla alluvione, aveva stabilito (con gli art. 7, comma 1 e art. 6, comma. 13) la sospensione del versamento di contributi previdenziali e premi INAIL per il periodo 4 novembre 1994-

30 aprile 1995 escludendo il rimborso delle somme che fossero state versate nonostante la sospensione.

Una diversa opzione ermeneutica avrebbe determinato ingenti ripercussioni sugli equilibri finanziari dell’Istituto, con pregiudizio del principio mutualistico e delle esigenze di certezza delle fonti di finanziamento ed equilibrio della gestione.

La interpretazione proposta era quella recepita dalla norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12, poi espunta dal testo convertito in legge.

I due motivi devono essere congiuntamente esaminati, in quanto presupponenti la ricognizione della normativa interna, dei precedenti di questa Corte sul tema e degli effetti derivanti sul contenzioso in subiecta materia dalla decisione della Commissione della Unione Europea in data 14 agosto 2015, C (2015) 5549.

IL QUADRO NORMATIVO. A seguito delle alluvioni che colpirono nel novembre 1994 l’Italia settentrionale il D.L. 24 novembre 1994, n. 646, concesse – nei Comuni individuati con appositi D.P.C.M. – in favore – per quanto rileva in causa – delle imprese che avessero subito danni rilevanti a causa delle alluvioni:

– con l’art. 6, la sospensione dei termini relativi agli adempimenti ed ai versamenti: tributari, a decorrere dal 4 novembre 1994 e sino al 31 ottobre 1995;

– con l’art. 7, la sospensione del pagamento dei contributi e premi di previdenza e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, a decorrere dal 4 novembre 1994 e sino al 30 aprile 1995 (termine poi prorogato al 30 novembre 1995 con D.L. n. 154 del 1995).

Per danno rilevante si intende – ai sensi dell’art. 6, comma 16-bis D.L. citato – un danno superiore ad un sesto del reddito dichiarato, per l’anno di imposta 1993 dai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali – aventi il domicilio, la residenza o la sede, alla data del 4 novembre 1994, nei Comuni individuati ai sensi di legge – e comunque non inferiore a Lire 2.000.000.

Successivamente, con L. n. 350 del 2003 (legge finanziaria del 2004) – art. 4, comma 90 – vennero estesi ai soggetti colpiti dagli eventi alluvionali del novembre 1994, già destinatari dei provvedimenti agevolativi in materia di versamento delle somme dovute a titolo di tributi, contributi e premi, di cui del D.L. n. 646 del 1994, art. 6 – commi 2, 3 e 7-bis – le disposizioni sulla regolarizzazione automatica delle imposte previste della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17 (legge finanziaria 2003) in favore delle imprese colpite dal sisma del 1990 in Sicilia orientale.

Si prevedeva che tali soggetti potessero regolarizzare la propria posizione per gli anni 1995, 1996 e 1997, entro il 31 luglio 2004 (ovvero secondo le modalità’ di rateizzazione previste della L. n. 289 del 2002, citato art. 9, comma 17).

Da ultimo, il D.L. n. 300 del 2006, ha disposto (con l’art. 3-quater, comma 1) che per i contributi previdenziali, i premi assicurativi e i tributi riguardanti le imprese alluvionate il termine di presentazione delle domande di cui alla legge sopra citata (L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90) fosse differito al 31 luglio 2007, termine ancora spostato al 31 marzo 2008 con D.L. n. 248 del 2007 (art. 36 bis).

LO STATO DELLA GIURISPRUDENZA. In questo quadro normativo è sorto un contenzioso su ampia scala tra i soggetti privati e gli enti previdenziali ed assicurativi:

– sulla riferibilità della definizione automatica ex lege n. 350 del 2003, ai contributi e premi ovvero soltanto ai tributi, come sostenuto dagli enti pubblici;

– in ogni caso sulla ripetibilità dei versamenti di tributi, contributi e premi già eseguiti, per la quota (pari al 90%) eccedente la misura agevolata.

Pronunziandosi in fattispecie sovrapponibili all’attuale contenzioso, questa Corte ha ritenuto, che il beneficio:

– riguarda non solo i tributi ma anche i contributi previdenziali ed i premi assicurativi (Cass. sez lav. nr. 11247/2010; nr. 11133/2010);

– non si riferisce alle sole posizioni ancora pendenti ma determina, altresì, il diritto al rimborso di quanto già versato in misura eccedente la quota agevolata del 10% dell’intero (Cass. sez. lav.

sentenze sopra citate nonchè: sez. tributaria nr. 20641/20007; sez. 6, 12/06/2012, n. 9577).

Non rileva, invece, la norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12, successiva alla pubblicazione delle pronunzie di questa Corte, trattandosi di disposizione soppressa dalla legge di conversione.

In questa sede va data continuità ai principi sopra esposti, con conseguente rigetto dei motivi di ricorso formulati sul punto dall’INAIL. Come già osservato nei precedenti citati, la tesi dell’INAIL secondo cui della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, avrebbe limitato l’area della agevolazioni ai tributi mediante il richiamo al D.L. n. 646 del 1994, art. 6, norma relativa ai tributi (escludendo i premi INAIL, contemplati invece, nel successivo art. 7) non trova riscontro

nel dato letterale; lo stesso comma 90 si riferisce infatti ai provvedimenti agevolativi concernenti i versamenti di quanto dovuto “a titolo di tributi, contributi e premi”.

Il riferimento all’art. 6 (commi 2, 3 e 7 bis) è esclusivamente funzionale alla individuazione della categoria dei destinatari del beneficio e non del suo ambito applicativo.

Il successivo D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, ha poi eliminato ogni possibile dubbio al riguardo giacchè differisce il termine di presentazione delle domande di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90 “per i contributi previdenziali, i premi assicurativi e i tributi riguardanti le imprese, relativi all’alluvione dei Piemonte del 1994”.

Quanto alla seconda questione interpretativa, questa Corte – pur dando atto che le espressioni letterali utilizzate dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17 (“definizione”) e dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90 (“regolarizzazione”) si riferiscono alle posizioni ancora aperte – ha ritenuto prevalente il criterio della interpretazione costituzionalmente orientata.

La Corte costituzionale ha espresso, con plurime pronunzie (C. cost.

n. 227/2009, n. 320/2005, n. 416/2000, n. 421/1995), un univoco orientamento di non compatibilità costituzionale, sotto il profilo della ragionevolezza e del rispetto del principio di eguaglianza, in relazione a disposizioni legislative che, sopprimendo o riducendo ex post la prestazione relativa ad obbligazioni pubbliche, prevedevano la irripetibilità di quanto già versato in puntale adempimento del precedente rapporto obbligatorio.

Il giudice delle leggi ha infatti ritenuto irragionevole il rendere, da un lato, insussistente l’obbligazione e, dall’altro lato, irripetibile quanto già versato sine causa; sotto il profilo della parità di trattamento ha considerato ingiustificato praticare un trattamento deteriore in danno del soggetto che aveva provveduto all’adempimento nel rispetto del quadro normativo previgente rispetto a chi, versando nella medesima situazione, non aveva effettuato alcun pagamento o pagato somme inferiori al dovuto.

Deve anche in questa sede ribadirsi che irragionevolezza e violazione del principio di uguaglianza sarebbero ancor più evidenti nel caso in esame, in cui si tratta di interventi di sostegno di soggetti danneggiati da calamità naturali, non potendosi ammettere che si fruisca del beneficio nel solo caso di omesso adempimento dell’obbligazione pubblica, incidendo così, per quanto concerne le imprese, anche sulla concorrenza.

– LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA. In questa cornice è intervenuta la decisione della Commissione Europea del 14 agosto 2015 (pubblicata nella G.U. U.E. del 18.2.2016).

Il procedimento è stato avviato a seguito della richiesta di informazioni del 18/21 febbraio 2011 del giudice del lavoro del Tribunale di Cuneo, trattandosi di regimi che non erano stati notificati dall’Italia alla Commissione,secondo quanto richiesto dall’art. 108, par. 3, T.F.U.E..

Con lettera del 17 ottobre 2012 la Commissione ha informato l’Italia della decisione – C (2012)7128 – di avvio della procedura di cui al par. 2 dello stesso articolo 108; contestualmente (punto 79 della decisione), ha ingiunto all’Italia – ai sensi dell’art. 11, par. 1, del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio – di sospendere tutti gli aiuti illegali (per violazione dell’obbligo di preventiva notifica) concessi nell’ambito dei casi di aiuto di Stato al suo esame.

La decisone di avvio è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Unione Europea dell’11.12.2012 (GU C 381).

La procedura ha riguardato una serie di leggi, concernenti le agevolazioni connesse al terremoto verificatosi nella Sicilia orientale nell’anno 1990 ed alle alluvioni del 1994 nell’Italia settentrionale – caso registrato con il riferimento SA.33083 –

nonchè al terremoto del 2009 in Abruzzo – caso registrato con il riferimento SA35083.

All’esito del procedimento, con decisione del 14 agosto 2015, la Commissione ha affermato che, come già provvisoriamente concluso nella decisione di avvio, tutte le misure adottate dall’Italia a partire dall’anno 2002 oggetto dei casi da essa esaminati (SA.33083 e SA.3508) costituiscono aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 107, par. 1 del T.F.U.E..

Gli aiuti individuali concessi nel quadro delle stesse misure non costituiscono aiuti di Stato se soddisfano tutte le condizioni stabilite nel regolamento de minimis applicabile (regolamento della Commissione del 18 dicembre 2013 n. 1407/2013, relativo all’applicazione degli artt. 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis” e regolamento della Commissione, del 27 giugno 2014, n. 717/2014 relativo all’applicazione degli artt. 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis” nel settore della pesca e dell’acquacoltura).

I regimi di aiuto non possono beneficiare delle deroghe previste dall’art. 107, par. 2, lett. b) del T.F.U.E. – il quale dichiara compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali (o da altri eventi eccezionali) – in quanto non contengono nessuna definizione di danno (materiale o immateriale) e non stabiliscono alcun nesso tra l’aiuto ed i danni effettivamente subiti a seguito delle calamità naturali.

Nel caso delle alluvioni in Italia settentrionale del 1994, qui in esame, la normativa nazionale stabilisce sì un livello minimo di danno per accedere all’aiuto ma non contiene disposizioni che limitino l’importo dell’aiuto a quanto effettivamente accertato ed equivalente ai danni arrecati dalle alluvioni; occorre invece un nesso chiaro e diretto, da stabilire a livello di ciascuna impresa, tra l’evento che ha recato il danno e l’aiuto di Stato diretto a porvi rimedio, sì da evitare sovracompensazioni.

La Commissione ha dunque concluso (punto 133 della decisione) che tutte le misure esaminate “costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno”, aggiungendo in punto di conseguenze della decisione (punti 134- 136) che:

– una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perchè il beneficio è in linea il regolamento de minimis applicabile oppure perchè è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato od ad un regolamento di esenzione);

– l’Italia è tenuta ad annullare tutti i pagamenti di aiuti in essere, con effetto alla data di adozione della decisione. A partire dalla data della decisione, nessuno dei regimi scrutinati dalla Commissione può essere usato come base di riferimento per la futura concessione o pagamento di aiuti;

– per quanto attiene agli aiuti individuali già versati prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione, il regime va considerato compatibile con il mercato interno (ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b del T.F.U.E.) a condizione che possa essere stabilito un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali e l’aiuto di Stato concesso, evitando i casi di sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa. Inoltre, ogni compensazione relativa a tali danni – ottenuta da una qualsiasi fonte – deve essere dedotta ed è necessario escludere ogni tipo di cumulo di aiuti previsti dal regime esaminato ed aiuti previsti da altre misure per i medesimi costi ammissibili.

La Commissione, comunque, contestualmente alla decisione, ha esentato l’Italia dall’obbligo di recuperare gli aiuti relativi a regimi illegali concessi per le calamità naturali risalenti ad oltre dieci anni prima della decisione (tra le quali l’alluvione del 1994 qui in considerazione) con l’unica eccezione degli aiuti fruiti da beneficiari non aventi una sede operativa al momento della calamità nell’area colpita.

Ha ritenuto sussistere l’esimente, invocata dallo Stato Italiano, della “assoluta impossibilità del recupero”. Ha osservato che, essendo decorso il termine di dieci anni previsto dall’art. 2200 c.c., per la conservazione delle scritture amministrative e contabili, le imprese beneficiarie non potrebbero provare, da un lato, l’importo equivalente al danno da esse subito, dall’altro il danno già compensato da altre fonti (assicurazioni, altre misure di aiuto). In tale situazione, dunque, lo Stato Italiano verrebbe obbligato a procedere al recupero anche di aiuti compatibili con il mercato interno a norma dell’art. 107, par. 2, lett. b) del T.F.U.E., essendo impossibile calcolare l’importo dell’aiuto incompatibile da recuperare.

Tale impossibilità non riguarda, tuttavia, le imprese che non avendo una sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento non potevano subire alcun danno diretto per effetto di essa; le autorità italiane sono dunque tenute a verificare la esistenza di sedi operative nell’area interessata in base ai registri pubblici dei tempi dell’evento ed a recuperare in assenza di sedi operative gli aiuti concessi.

GLI EFFETTI DELLA DECISIONE SUL CONTENZIOSO PENDENTE. Le decisioni della Commissione Europea, ancorchè prive dei requisiti della generalità e dell’astrattezza, costituiscono atto normativo vincolante in tutti i suoi elementi ai sensi dell’art. 288 T.F.U.E. (“La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi”) e, dunque, ius superveniens.

L’effetto diretto nei confronti dello Stato Italiano – specifico destinatario – si è prodotto con la notifica della decisione; tale effetto, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, si produce in senso verticale ovvero limitatamente ai rapporti giuridici tra privati e pubblici poteri (cfr. Cassazione civile sez. trib. 03 febbraio 2010 n. 2428; sez. 1 28 ottobre 2005 n. 21083), quali vengono in rilievo nella fattispecie di causa, stante la natura pubblica dell’ ente assicurativo ricorrente.

E’ orientamento consolidato quello per cui il giudice di legittimità nel dare attuazione alla normativa sopravvenuta non incontra il limite generale, derivante dalla natura chiusa del giudizio di Cassazione, della non conoscibilità di questioni non specificamente dedotte e del divieto di introduzione di nuove questioni di fatto, sempre che il ricorso investa il punto della controversia cui si riferisce la nuova disciplina.

Il principio è stata elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sent. 20.2.1988 n. 1773; 26.05.1998, n. 5224; 17.03.2005, n. 5888; 10.1.2014 n. 422) per risolvere i problemi suscitati dalla sopravvenienza di una disciplina di legge dopo la proposizione del ricorso in Cassazione: in tali eventualità si è ritenuto che i mutamenti prodotti dallo ius superveniens impongono, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche nella fase di cassazione, l’applicazione della regola iuris risultante dalla nuova disciplina giuridica sicchè il giudice di legittimità deve applicare – anche d’ufficio – i nuovi criteri, decidendo nel merito se risultano accertati i richiesti presupposti di fatto ovvero cassando la sentenza impugnata ed affidando al giudice di rinvio il compito di accertarli. Nella fattispecie di causa il ricorso investe la interpretazione delle norme sulle quali ha inciso lo ius superveniens sicchè deve trovare applicazione il principio qui esposto.

Resta da aggiungere che lo stesso principio assume nella fattispecie di causa una valenza cogente per la provenienza dello ius superveniens: una ipotetica regola interna di diritto processuale che, in ragione delle natura chiusa del giudizio di legittimità, impedisca a questa Corte di tenere conto della decisione della Commissione europea dovrebbe essere disapplicata, perchè contraria all’obbligo di attuazione della decisione facente direttamente capo (anche) all’autorità giudiziaria, in quanto organo dello Stato destinatario.

Fatte queste premesse metodologiche e venendo all’esame della decisione della Commissione, vanno distinte due situazioni di fatto:

1) Le ipotesi di “aiuti individuali già versati nel quadro delle misure in esame prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione”, di cui al punto 136 della decisione della Commissione;

2) Le diverse ipotesi, contemplate al punto 135 della decisione, di “pagamenti di aiuti in essere”.

Soltanto in relazione alla prima evenienza (aiuti già versati anteriormente all’ ingiunzione di sospensione della Commissione) si pone un problema di recupero degli aiuti di Stato incompatibili e di limiti all’obbligo dello Stato di recuperare l’aiuto, questione esaminata dalla Commissione Europea ai punti da 137 a 152 della decisione.

Per la diversa ipotesi di aiuti in essere (id est: non versati anteriormente all’ingiunzione di sospensione del 17.10.2012) la Commissione ha invece statuito che “nessuno di questi regimi può essere usato come base di riferimento per la futura concessione o pagamento di aiuti” (punto 135) sicchè resta irrilevante ogni questione di recuperabilità/irrecuperabilità dell’aiuto.

Nella memoria difensiva la società controricorrente assume che nella fattispecie di causa si versa nella prima ipotesi (aiuti di Stato già versati prima della data di avvio della decisone e dalla ingiunzione di sospensione) giacchè l’INAIL ha dato esecuzione alla sentenza di condanna, resa in primo grado dal Tribunale di Alessandria (sentenza nr. 78/2009), provvedendo a restituire il 90% dei premi assicurativi versati.

Da tale presupposto fa derivare la irrecuperabilità dell’aiuto (secondo quanto stabilito nella decisione della Commissione Europea in punto di esenzione dello Stato Italaino dall’obbligo di recupero) e – sotto il profilo processuale – il difetto sopravvenuto di interesse dell’INAIL alla impugnazione.

Tali assunti non possono essere condivisi.

Nella fattispecie, invero, non si tratta di aiuti individuali già versati, giacchè l’INAIL non ha effettuato un pagamento, atto giuridico in senso stretto che presuppone l’animus solvendi, ma si è limitato ad eseguire un comando giudiziale cogente, che ha contestualmente impugnato, anche in questa sede, contestando il diritto della impresa al beneficio.

E’ dunque evidente la inconfigurabilità di un pagamento ed a fortiori di un atto di concessione di aiuti.

Può dunque pervenirsi ad un primo approdo, nel senso che nella fattispecie di causa, trattandosi di “pagamenti di aiuti in essere” deve trovare piena applicazione lo ius superveniens, restando invece inconferenti le successive statuizioni della Commissione in punto di recupero.

Occorre poi dare conto del fatto che la decisione della Commissione, pur ritenendo incompatibile sul piano generale il regime delle agevolazioni, lascia ferma la legittimità dell’intervento legislativo allorquando ricorra una delle seguenti evenienze, da valutarsi a livello della singola impresa:

– L’ aiuto individuale rientra nei limiti del regolamento de minimis applicabile (regolamento della Commissione UE nr. 1407/2013): punto 115 della decisione.

– L’aiuto individuale può beneficiare della deroga prevista dall’art. 107, par. 2, lett. b del T.F.U.E.: punto 132 della decisione.

In ambedue le eventualità si impone un accertamento di fatto sicchè – in applicazione dei principi di cui in premessa – la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.

Il giudice del rinvio dovrà verificare la sussistenza del diritto dell’azienda in epigrafe a fruire dei benefici di cui alla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90 e successive modifiche e integrazioni, accertando a tal fine:

In primo luogo, l’eventuale ricorrenza dei presupposti di fatto per l’applicabilità del regolamento de minimis – la cui prova è a carico del soggetto che invoca il beneficio (arg. ex Cass. n. 6756 del 2012) – tenendo conto, in particolare, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 107 T.F.U.E. può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza (arg. ex Cass. n. 11228 del 2011).

Qualora la prova dei presupposti per l’applicabilità del regolamento de minimis non venga fornita, la compatibilità con il mercato interno del beneficio costituente aiuto di Stato, ex art. 107, par.

2, lett. b), TFUE, e dunque, da un lato, quale sia stato l’importo del danno diretto subito dall’impresa per effetto dell’alluvione, da accertare a livello della stessa impresa (cfr. punto 132 della decisione), e dall’altro, nell’ambito del danno così individuato, quale importo sia stato già compensato da altre fonti (assicurazioni o altre misure di aiuto: cfr. punto 148 della decisione della Commissione), dovendo, in particolare, tenersi conto anche dei benefici previsti dalla stessa normativa in materia di tributi e premi. All’esito delle predette verifiche l’aiuto oggetto dell’attuale controversia potrà essere riconosciuto nei limiti della compensazione del danno residuo.

Viene immediatamente in rilievo, allora, la questione della compatibilità degli accertamenti così richiesti con la normativa processuale ed, in particolare, con le preclusioni del rito in punto di allegazione di nuovi elementi di fatto e di introduzione di nuovi mezzi di prova.

Al riguardo si intende dare in questa sede continuità all’orientamento già espresso da questa Corte nella sentenza nr.

5224/1998 – e richiamato nella pronunzie successive – in ordine alla applicazione dello ius superveniens, secondo cui: “l’invocazione dell’ius superveniens e il giudizio positivo sulla idoneità della nuova disciplina giuridica ad incidere sulla decisione della lite costituiscono fattori sufficienti e determinanti per la cassazione della sentenza onde consentire, in sede di rinvio, la esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica.

Invero, poichè il ricorrente ha diritto di avvalersi della nuova legge, è perfettamente conciliabile con gli schemi logici dell’applicazione dell’ius superveniens un rinvio diretto a consentire la produzione di simile documentazione o l’accertamento di tali fatti..”.

Del resto, una diversa soluzione porrebbe fondati dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.:

il precludere alla impresa la possibilità di allegare (prima) e dimostrare (poi) la ricorrenza delle condizioni per la legittimità dell’aiuto, rese necessarie soltanto da una normativa sopravvenuta in corso di causa, significherebbe privare di effettività il suo diritto di azione.

Secondo il canone della interpretazione costituzionalmente orientata, l’art. 437 c.p.c., deve dunque essere inteso nel senso di consentire la produzione dei nuovi documenti divenuti indispensabili alla decisione alla luce dello ius superveniens.

La sentenza impugnata deve conclusivamente essere cassata in ragione dei principi di diritto sopra esposti e la causa rinviata ad altro giudice – che si individua nella Corte d’appello di Torino in diversa composizione – affinchè provveda alla applicazione dello ius superveniens.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del presente grado.

PQM

Provvedendo sul ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2016

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