Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13514 del 30/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 30/05/2017, (ud. 16/02/2017, dep.30/05/2017),  n. 13514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28800/2014 R.G. proposto da:

Damiani s.p.a., Alberghi Marilleva s.r.l. (già Engineering San

Basilio s.r.l.) e Log Engineering s.r.l., elettivamente domiciliati

in Roma, Via Lucina n. 10, presso lo studio dell’avvocato Maria

Luisa De Rose che le rappresenta e difende unitamente agli avv.ti

Alessandra Carlin e Antonio Tita

– ricorrente –

contro

Cosbau S.p.a. in liquidazione, in persona liquidatore giudiziale,

elettivamente domiciliata in Roma, via Varrone n. 9, presso lo

studio dell’avvocato Francesco Vannicelli, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Silvio Malossini;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento depositata l’8

aprile 2014.

Udita la relazione svolta in Camera di consiglio dal Consigliere

Cosimo D’Arrigo.

Fatto

RITENUTO

In data 2 dicembre 2010 la Cosbau s.p.a. in liquidazione definiva transattivamente la propria esposizione debitoria nei confronti della Damiani Holz & Ko s.p.a. (già Damiani s.p.a.), della Log Engineering s.r.l. e della Engineering San Basilio s.r.l. (ora Alberghi Marilleva s.r.l.), convenendo la corresponsione del 78% dell’integrale credito vantato da ciascuna di esse. L’accordo transattivo conteneva la clausola con la quale i creditori rinunziavano “ad eventuali procedure esecutive di qualsiasi tipo promosse nei confronti di Cosbau ed ancora pendenti”.

Su istanza dei predetti creditori era stato intrapreso un pignoramento presso terzi definito con ordinanza di assegnazione del 15 luglio 2010, che alla data di sottoscrizione della transazione non era stata ancora attuata, in quanto il credito pignorato era costituito da un prezzo d’appalto sottoposto a condizione dell’esito positivo del collaudo.

Verificatasi tale condizione, in data 18 novembre 2011 le creditrici incassavano, per quanto di rispettiva competenza, gli importi sottoposti pignoramento.

La Cosbau s.p.a. in liquidazione, che nel frattempo era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, agiva per la restituzione delle somme incassate dalle stesse società creditrici, avendovi rinunziato con la transazione di cui si è detto. Il Tribunale di Trento ha ritenuto la fondatezza della domanda e la Corte d’appello di Trento, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto dalle tre società creditrici.

Queste ultime ricorrono per cassazione allegando un unico motivo. Resiste la Cosbau s.p.a. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Il ricorso è inammissibile.

La questione sottoposta all’attenzione del Collegio concerne l’interpretazione della clausola di rinunzia alle procedure esecutive “ancora pendenti” sopra riportata, con particolare riferimento al dubbio se dovesse ritenersi “ancora pendente” e quindi compreso nella rinunzia anche il pignoramento presso terzi conclusosi con ordinanza pronunziata in data anteriore alla stipulazione dell’accordo transattivo, ma sottoposta condizione sospensiva verificatasi solo in data successiva. La soluzione affermativa, cui sono pervenuti giudici di merito, è sottoposta a censura di legittimità per violazione o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., nonchè degli artt. 1362, 1363, 1367, 1371 c.c., in relazione all’art. 553 c.p.c. e dell’art. 2928 c.c..

Ovviamente, il problema è di interpretazione della comune volontà delle parti risultante dalla transazione, laddove la questione più squisitamente tecnico-processuale relativa all’individuazione del momento in cui può ritenersi definita una procedura esecutiva presso terzi (con riferimento all’alternativa fra la pubblicazione dell’ordinanza d’assegnazione e l’incasso delle somme ivi portate) appare estranea all’oggetto della lite, essendo chiaro che la volontà delle parti va ricostruita sulla base dell’intento economico perseguito con l’accordo, non potendosi attribuire alle stesse l’intenzione di impegnarsi, nella formulazione testuale delle clausole contrattuali, in complesse e opinabili ricostruzioni di istituti processuali civilistici. Allo stesso modo è irrilevante, dunque, la questione della retroattività della verificazione della condizione sospensiva dell’ordinanza di assegnazione, circostanza che all’evidenza non ha costituito oggetto di specifico intendimento fra le parti.

Così perimetrato l’oggetto del decidere, si deve rilevare che i giudici di merito hanno fondato le proprie conclusioni sulla lettura testuale dell’intero accordo transattivo, in base al quale è stato ritenuto che il reale intento delle parti fosse quello di circoscrivere la soddisfazione dei creditori al solo 78% dei rispettivi crediti, con contestuale rinunzia alla restante parte. Quest’ultima, dunque, non poteva essere soddisfatta neppure mediante il pagamento effettuato da un terzo in danno della controparte transigente.

Tale conclusione si sottrae a censure di legittimità.

Infatti, l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551).

In altri termini, il sindacato di legittimità in tema di interpretazione del contratto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161).

Nella specie, i ricorrenti non hanno dedotto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma si sono limitati a prospettare una possibile interpretazione alternativa a quella fatta propria dalla Corte d’appello. Tale prospettazione, collocandosi sul piano del giudizio di merito, è inammissibile in questa sede.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio vanno di legittimità vanno poste in solido a carico delle società ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna le società ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2017

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