Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13513 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. I, 18/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4279/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., nella persona del Curatore, Avv.

P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Eliana Massaro, e

Marco Paoletti, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Filippo Corridoni, n. 14, giusta procura

speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

L. s.p.a., in concordato preventivo, nella persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Roberto Casucci,

e Benedetto Gargani, con domicilio eletto presso lo studio del

secondo in Roma, Viale di Villa Grazioli, n. 15;

– controricorrente –

e nei confronti di:

(OMISSIS) s.r.l., nella persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto del Tribunale di UDINE n. 4759/2017, pubblicato il

27 dicembre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/02/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Udine, in accoglimento dell’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., ha ammesso al passivo del fallimento il credito risarcitorio di L. s.p.a., in concordato preventivo, per la somma di Euro 416.429,00, in via chirografaria.

2. La L. s.p.a. aveva chiesto l’ammissione al passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., della somma di Euro 416.420,00 (pari alla differenza tra il prezzo che avrebbe potuto essere conseguito in difetto di adempimento, al netto dei canoni pagati per Euro 104.000,00 e dei canoni già ammessi al passivo del fallimento per Euro 76.750,00 e del ricavato della vendita dell’azienda per Euro 137.000,00), richiamando l’art. 11 del contratto di affitto d’azienda stipulato il 24 luglio 2014, che conteneva una proposta di acquisto del compendio aziendale oggetto del contratto irrevocabile sino al termine di sessanta giorni successivi alla data di scadenza dell’affitto, assumendo che il contratto di affitto di azienda si era risolto di diritto ex art. 1454 c.c. per l’inadempimento dell’affittuaria, inadempimento che aveva precluso l’accettazione, da parte della società in concordato, della proposta irrevocabile d’acquisto per il prezzo di Euro 734.130,00, da cui dovevano essere detratti i canoni già versati, in quanto l’affittuaria non era stato in grado di pagare i canoni e le rate del prezzo d’acquisto, a cui aveva seguito, il 3 giugno 2016, la restituzione dell’azienda che era stata poi venduta con una procedura competitiva al prezzo di Euro 137.000,00.

3. Il giudice delegato al fallimento non aveva ammesso il credito perchè non sussisteva il dichiarato inadempimento della (OMISSIS) s.r.l. alla proposta irrevocabile di acquisto del ramo d’azienda contenuta nel contratto d’affitto, in mancanza di accettazione della proposta irrevocabile da parte della L. s.p.a..

4. Il Tribunale di Udine, dopo avere rilevato d’ufficio l’inammissibilità dell’intervento della società fallita (OMISSIS) s.r.l., nella persona del già presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante per mancanza dei presupposti di cui alla L.Fall., art. 43, comma 2, a sostegno della decisione impugnata, ha affermato che:

– sussisteva, nel caso in esame, il collegamento esistente tra il contratto di affitto di ramo di azienda e il negozio giuridico bilaterale che aveva attribuito alla società in concordato preventivo il diritto potestativo di accettazione della proposta irrevocabile di acquisto, ove solo si considerava l’imputazione dei canoni di affitto corrisposti a pagamento del prezzo, nel caso di esercizio dell’opzione di acquisto;

– in ragione di tale collegamento, la rinuncia all’esercizio del diritto a stipulare il contratto di compravendita del ramo d’azienda e il correlato pregiudizio economico si manifestavano come conseguenze immediate e dirette del grave inadempimento agli obblighi relativi al contratto di affitto di azienda di cui si era resa responsabile la società poi fallita, la cui incapacità economica era univocamente dimostrata dal mancato pagamento dei canoni di affitto e delle rate del prezzo per la cessione del magazzino;

– il danno conseguente alla mancata stipulazione della cessione del ramo di azienda doveva essere identificato nella differenza tra il prezzo pattuito e il valore commerciale del bene a seguito della risoluzione del contratto di affitto d’azienda;

– dal verbale di riconsegna del ramo d’azienda del 3 giugno 2016 si evinceva che, in data antecedente alla risoluzione del contratto di affitto, era stato riconsegnato l’impianto Friulmac (squadratrice, linea di forature e fresatrice) alla società concedente Unicredit Leasing e ciò era fatto sintomatico di una significativa contrazione dell’attività, dopo che per quasi due anni la società poi fallita aveva gestito il ramo d’azienda e avere tardato la restituzione del compendio;

– il liquidatore giudiziale di L. s.p.a. aveva, poi, posto in vendita i beni mobili, da ciò potendosi desumere il venir meno di ogni avviamento, e la procedura aveva portato alla vendita al prezzo di Euro 137.000,00, raggiunto mediante rialzi sulla migliore offerta acquisita di Euro 110.000,00;

– il Fallimento non aveva dato prova del concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227 c.c., comma 2.

5. Il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha impugnato il decreto del Tribunale di Udine con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi di censura.

6. La L. s.p.a. ha resistito con controricorso.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 111 Cost., assumendo che il Tribunale aveva interpretato la volontà contrattuale delle parti valorizzando come unico fattore di collegamento tra il contratto di affitto di azienda e la proposta irrevocabile di acquisto del ramo d’azienda l’imputabilità dei canoni di affitto al pagamento del prezzo di cessione prevista dall’art. 11.2 del contratto del 24 luglio 2014, così dando rilievo all’interesse della sola opzionaria L. s.p.a. che era quello di mantenere l’operatività aziendale e, nel contempo, di acquisire una proposta irrevocabile di acquisto da far valere in sede di omologazione del concordato; il Tribunale, inoltre, non aveva valutato il comportamento delle parti e specificamente il fatto che nella diffida del 18 aprile 2016 la L. s.p.a. aveva intimato l’adempimento delle sole obbligazioni di pagamento dei canoni di affitto e delle rate del magazzino scaduti e aveva manifestato la volontà di risolvere ex art. 1454 c.c. il solo contratto di affitto di azienda; e che quando aveva ricevuto in restituzione l’azienda la L. s.p.a. non aveva fatto alcun cenno all’impossibilità di accettare la proposta irrevocabile di acquisto, nè si era riservata azioni in merito; inoltre la L. s.p.a., fino alla scadenza della proposta di acquisto (24 settembre 2016), nulla aveva manifestato in merito alla volontà di procedere alla cessione del ramo d’azienda, nè si era attivata chiedendo l’autorizzazione del G.D. e indicendo la procedura competitiva e si era insinuata al passivo del fallimento per il residuo corrispettivo del magazzino, chiedendo l’adempimento del relativo negozio, dimostrando in tal modo di non considerare caducato l’intero regolamento di interessi di cui al contratto del 24 luglio 2014.

Il Fallimento ricorrente lamenta, altresì, che il Tribunale non aveva considerato il diverso termine di scadenza del contratto di affitto di azienda (mesi 24 a decorrere dal 25 luglio 2014 per cessare il 24 luglio 2016) e della proposta irrevocabile (60 giorni successivi alla data di scadenza del contratto di affitto); la previsione della garanzia fideiussoria per l’importo corrispondente ai soli canoni di affitto e al prezzo del magazzino, con esclusione del prezzo di cessione dell’azienda; la necessità per la procedura concordataria di esperire la gara finalizzata alla cessione d’azienda sicchè la proposta irrevocabile avrebbe perso ogni significato in caso di aggiudicazione a terzi; la mancanza nel testo contrattuale di uno scopo comune diverso da quello diverso e ulteriore rispetto a quello raggiungibile con i singoli negozi. Del tutto apparente era la motivazione sull’esistenza del collegamento negoziale perchè, affermato il collegamento, ne sarebbe dovuta discendere la caducazione dell’intero assetto negoziale, mentre il Tribunale aveva configurato una “rinuncia” dell’opzionario al diritto di accettare la proposta di acquisto che presupponeva il perdurare dell’efficacia anche dopo la risoluzione dell’affitto.

2. Con il secondo motivo il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1326,1218,1223 e 1337 c.c. e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, avendo errato il Tribunale nell’affermare che la rinuncia e il correlato pregiudizio economico erano conseguenze immediate e dirette del grave inadempimento agli obblighi relativi al contratto di affitto di azienda, perchè non essendo mai intervenuta accettazione la proposta irrevocabile di acquisto aveva perso efficacia senza che fosse sorto alcun vincolo contrattuale tra le parti; la responsabilità in esame era, in ogni caso, di natura precontrattuale con conseguente risarcibilità del danno arrecato nei soli limiti dell’interesse negativo.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili.

2.2 E’ opportuno premettere che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 8 settembre 2017, n. 20964; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass., 4 giugno 2010, n. 13587; Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass., 3 settembre 2010, n. 19044).

2.3 Quanto all’asserito collegamento funzionale, occorre ribadire che le parti, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, possono dar vita, con un solo atto, a diversi e distinti contratti, i quali, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, sono tra loro collegati funzionalmente e in rapporto di reciproca interdipendenza, in modo che le vicende dell’uno si ripercuotano sugli altri, condizionandone la validità e l’efficacia (Cass., 6 luglio 2015, n. 13888).

Il collegamento contrattuale non dà luogo, quindi, ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano conseguentemente soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi “simul stabunt, simul cadent” (Cass., 22 marzo 2013, n. 7255).

Più in particolare, deve affermarsi che il “contratto collegato” non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all’altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Tuttavia, in ipotesi siffatte, se pure il collegamento dei contratti delineato dalle parti può determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra di essi, così che le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia o alla risoluzione dell’uno possano ripercuotersi sugli altri, detto collegamento non esclude che i singoli contratti si caratterizzino ciascuno in funzione di una propria causa e conservino una distinta individualità giuridica (Cass., 6 settembre 1991, n. 9388; Cass., 8 luglio 2004, n. 12567; Cass. 10 luglio 2008 n. 18884; Cass. 10 ottobre 2014 n. 20726; Cass. 6 luglio 2015 n. 13888; Cass., 26 giugno 2019, n. 17148).

2.4 Ciò posto, anche l’accertamento della natura, dell’entità, delle modalità e delle conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass., 12 luglio 2005, n. 14611; Cass. 5 giugno 2007, n. 13164; Cass., 4 marzo 2010, n. 5195).

2.5 Nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto il collegamento negoziale tra il contratto di affitto di azienda e il patto di opzione per l’acquisto della medesima azienda non soltanto in considerazione della prevista imputazione dei canoni di affitto corrisposti a pagamento del prezzo di acquisto, ma anche in ragione della contestualità della stipulazione, della scansione temporale pattuita che prevedeva l’irrevocabilità della proposta per la durata di 60 giorni dopo la scadenza del contratto di affitto di azienda; della determinazione del prezzo di acquisto stabilito in Euro 734.130,00, decurtato dall’importo dei canoni pagati; della necessaria accettazione della proposta irrevocabile di acquisto da parte dell’affittante o degli organi della procedura, per la stipula della cessione del ramo d’azienda, con facoltà dell’affittuaria di anticipare la decorrenza del trasferimento del ramo di azienda anche prima del predetto termine; del diritto di prelazione previsto dall’art. 13 in favore dell’affittuaria a parità di condizioni offerte dai terzi.

2.6 E’, peraltro, inammissibile la censura riguardante l’omessa valutazione da parte del Tribunale del comportamento posto in essere dalle parti, perchè dedotta per la prima volta in questa sede.

Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430).

Va precisato che si ha questione nuova, come tale preclusa nel giudizio di cassazione, ogni volta che la parte ricorrente ponga, a base della sua censura, la violazione di una norma di diritto non invocata davanti ai giudici di merito e si richiami, per sostenerne l’applicabilità, ad elementi di fatto non dedotti nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. 30 marzo 2007, n. 7981; Cass., 27 novembre 1999, n. 13256; Cass., 13 febbraio 1996, n. 1084).

In quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta al giudice di merito, essendo preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (Cass., 12 settembre 2007, n. 19164; Cass., 9 luglio 2013, n. 17041, citata).

2.7 Ed invero, nella decisione impugnata gli elementi richiamati con la dedotta censura (quali il comportamento della L. s.p.a. che aveva intimato l’adempimento delle sole obbligazioni di pagamento dei canoni di affitto e delle rate del magazzino scaduti e aveva manifestato la volontà di risolvere ex art. 1454 c.c. il solo contratto di affitto di azienda; il fatto che la L. s.p.a., quando aveva ricevuto in restituzione l’azienda, non aveva fatto alcun cenno all’impossibilità di accettare la proposta irrevocabile di acquisto, nè si era riservata azioni in merito e che fino alla scadenza della proposta di acquisto (24 settembre 2016) nulla aveva manifestato in merito alla volontà di procedere alla cessione del ramo d’azienda, nè si era attivata chiedendo l’autorizzazione del G.D. e indicendo la procedura competitiva; che si era insinuata al passivo del fallimento per il residuo corrispettivo del magazzino, chiedendo l’adempimento del relativo negozio, i differenti termini di scadenza e della previsione della garanzia fideiussoria) non risultano in alcun modo esaminate dal Tribunale, ragion per cui deve ritenersi che esse siano state proposte per la prima volta in questa sede.

2.8 Non sussiste nemmeno il vizio di motivazione apparente che ricorre ogni qualvolta il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logico-giuridica, rendendo così impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

3. Con il terzo motivo, il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., avendo errato il Tribunale nel riconoscere il danno nella differenza tra il prezzo pattuito e il valore commerciale del bene a seguito della risoluzione del contratto di affitto di azienda, così imputando alla parte concedente una (presunta) minusvalenza determinatasi otto mesi dopo la restituzione dell’azienda avvenuta il 3 giugno 2016 e prescindendo dalla prova del danno subito da parte della L. s.p.a. al momento della risoluzione o, al limite, della restituzione, e valorizzando, di contro, elementi non allegati dalle parti, come la significativa contrazione dell’attività della (OMISSIS) s.r.l., la tardività nella consegna dell’azienda (in realtà avvenuta il 3 giugno 2016 dopo pochi giorni la risoluzione del contratto per effetto della scadenza del termine assegnato con la diffida ex art. 1454 c.c., spedita il 3 maggio 2016) e la perdita dell’avviamento.

4. Con il quarto motivo, il Fallimento ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame del fatto che la procedura concordataria, cessata l’attività per più di otto mesi dopo la risoluzione del contratto di affitto e abbandonato per pari periodo il complesso aziendale, aveva posto in vendita non l’azienda, ma i beni mobili depositati presso l’unità di (OMISSIS);

con la conseguenza che non era stata data la prova di un danno effettivo e concreto derivante da un presunto inadempimento della società poi fallita e che, di contro, era stato provato e non contestato il ritardo di L. s.p.a. perdurante da novembre 2015 (circostanza emersa nel decreto ingiuntivo n. 708/2016 del Tribunale di Pordenone, prodotto in sede di ricorso in opposizione del 20 aprile 2017) nel risolvere il contratto di affitto e nell’attivarsi per la restituzione dell’azienda, lasciata poi inattiva e senza custodia per più di otto mesi; il Tribunale, invece, si era pronunciato sull’eccezione di concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227 c.c., comma 2, che non era stata sollevata.

4.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili.

4.2 Si osserva anzitutto che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cassazione, 28 febbraio 2018, n. 4699; Cass., 11 ottobre 2016, n. 20382).

4.3 Sulla valutazione delle prove, poi, le Sezioni Unite di questa Corte, di recente, hanno affermato che “in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass., Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867).

4.4 Tanto premesso, nel caso di specie, il Tribunale ha affermato, con un accertamento di fatto che non è censurabile in questa sede, che la (OMISSIS) s.r.l., dopo avere gestito il ramo d’azienda per quasi due anni e avere consegnato in ritardo l’azienda, rendendosi inadempiente con il mancato pagamento dei canoni al punto di determinare la risoluzione del contratto, aveva ceduto alla società concedente (prima della risoluzione del contratto di affitto), la squadratrice, la linea di forature e la fresatrice, sicchè necessariamente il liquidatore giudiziale di L. s.p.a., essendo venuto meno ogni avviamento, aveva posto in vendita soltanto i beni mobili.

Inoltre, il Tribunale, nell’affermare, seppure impropriamente, che la rinuncia e il correlato pregiudizio economico erano conseguenze immediate e dirette del grave inadempimento agli obblighi relativi al contratto di affitto di azienda, ha voluto ancora una volta mettere in evidenza il collegamento negoziale esistente tra il contratto di affitto di azienda e il patto di opzione, specificando che, a causa dell’inadempimento della (OMISSIS) s.r.l., non era più possibile addivenire alla vendita del ramo d’azienda, a nulla rilevando che la proposta fosse irrevocabile.

4.5 Nè sussiste la violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769).

4.6 Non pertinente è, infine, il richiamo all’art. 112 c.p.c.

Invero, “il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato)” (Cass., 11 aprile 2018, n. 9002; Cass., 21 marzo 2019, n. 8048; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616).

Poichè, dunque, il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronunzia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass., Sez. II, 21 aprile 1976, n. 1397), non ricorre la violazione di tale disposizione allorchè si lamenti che il giudice del merito, chiamato a decidere sull’ammissione al passivo del credito risarcitorio, abbia deciso su un’eccezione di concorso del fatto colposo del creditore non proposta, male interpretando la circostanza, pure dedotta, dell’inerzia della procedura concordataria ai fini del mancato raggiungimento della prova del danno subito.

In definitiva le censure descritte sono volte, in realtà, a sollecitare un inammissibile riesame, in questa sede, dell’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla valenza probatoria degli elementi fattuali presi in esame.

5. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va dichiarato inammissibile e il Fallimento ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Fallimento ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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