Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13511 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. I, 18/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 793/2018 proposto da:

Atlantic Management & Hotels International S.A., rappresentata e

difesa dagli Avv.ti Bruno Cangemi, e Prof. Salvatore Orlando, giusta

procura alle liti in calce al ricorso per cassazione ed

elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via

Giuseppe Cuboni, n. 12;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., nella persona del Curatore, Avv.

P.A., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Eliana Massaro, e

Marco Paoletti, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Filippo Corridoni, n. 14, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di UDINE n. 4290/2017, pubblicato il

22 novembre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/02/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Udine ha rigettato l’opposizione allo stato passivo proposta dalla società Atlantic Management & Hotels International A.S. avverso il provvedimento con il quale il Giudice delegato del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. aveva respinto la domanda di restituzione della somma di USD 510.000,00 (corrispondente ad Euro 483.969,02 al cambio del giorno della domanda) e parzialmente accolto la subordinata domanda di ammissione allo stato passivo in chirografo, ritenendo provato il carattere indebito del pagamento, ma non riconoscendo la prededuzione perchè credito sorto in data anteriore al fallimento, nè il privilegio per mancata indicazione specifica dello stesso.

2. Il Tribunale di Udine ha rilevato che:

– poteva ritenersi accertato, in difetto di impugnazione, che il bonifico bancario disposto per 510.000,00 ed accreditato per Euro 470.985,72, fosse stato ordinato dalla società Atlantic Management & Hotels International A.S. per mero errore, in assenza di alcuna ragione di credito che la società (OMISSIS) potesse vantare;

– era incontestato che il bonifico fosse stato disposto il 5 dicembre 2016 ed accreditato il 9 dicembre 2016, a fronte della camera di consiglio svolta in data 7 dicembre 2016 e sentenza dichiarativa di fallimento pubblicata il 12 dicembre 2016;

– il denaro oggetto del bonifico non poteva formare oggetto di una domanda di restituzione L.Fall., ex art. 103 in quanto il trasferimento del possesso determinava la perdita della sua individualità e la confusione nel patrimonio della società poi fallita, nè era intervenuto un fatto che ne aveva determinato l’individuazione e impedito la confusione nel patrimonio del fallito, nè aveva impedito la confusione il fatto che il bonifico fosse stato disposto in dollari e l’accredito fosse avvenuto in Euro;

– il denaro era stato acquisito giuridicamente in seguito all’accreditamento sul conto corrente bancario, che non costituiva una mera operazione contabile;

– ai fini della produzione degli effetti protettivi patrimoniali rilevava la data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento e nei confronti dei terzi l’iscrizione nel Registro delle imprese e non la data della camera di consiglio, con la conseguenza che il bonifico era intervenuto prima della dichiarazione di fallimento e che il diritto di credito alla restituzione del tantundem doveva trovare regolazione concorsuale, senza prededuzione e senza privilegio non essendo stato specificato dalla società creditrice il privilegio rivendicato.

3. Il decreto del Tribunale di Udine è stato impugnato dalla società Atlantic Management & Hotels International A.S. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di censura, cui il Fallimento ha resistito con controricorso.

4. La Atlantic Management & Hotels International S.A. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. In via preliminare va esaminata l’eccezione di inammissibilità ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, sollevata dal Fallimento controricorrente, in quanto il decreto impugnato sarebbe stato reso in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare o confermare tale orientamento.

Sul punto è sufficiente evidenziare che l’ipotesi invocata riguarda le sole questioni di diritto, laddove nel caso di specie la società ricorrente si duole anche del vizio motivazionale del provvedimento impugnato.

2. In via gradatamente preliminare va esaminata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla società ricorrente dell’art. 2033 c.c., L.Fall., artt. 98,103,111 e 111 bis, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono che un bonifico effettuato per errore, sin dall’origine senza alcuna causa, nè giustificazione, implichi un diritto alla distrazione delle somme oggetto di bonifico e la restituzione immediata;o nella parte in cui non prevedono che le stesse somme debbano essere restituite in prededuzione.

2.1 La questione è inammissibile, perchè formulata in modo estremamente generica, con la mera indicazione di ben cinque norme che si assumono in contrasto con il parametro costituzionale dell’art. 3 Cost., ma senza alcuna specificazione del contenuto di ciascuna delle norme richiamate che si afferma essere incostituzionale e senza indicazioni sufficienti a mettere in evidenza le ragioni dell’asserita violazione del parametro costituzionale di uguaglianza invocato, con totale omissione di ogni sforzo argomentativo volto a negare la giustificatezza di una differenziazione normativa, atteso che il principio di eguaglianza non vieta in assoluto trattamenti differenziati, ma solo quelli che risultino irragionevoli ed inadeguati rispetto al fine perseguito (Cass., 26 novembre 2019, n. 30737).

Questa Corte, in particolare, ha affermato il principio che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si chieda di dichiarare una questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata e di rimetterne l’esame alla Corte costituzionale, è inammissibile ove contenga soltanto la generica deduzione dell’illegittimità di una norma e non anche l’indicazione delle ragioni di contrasto con le disposizioni costituzionali eventualmente individuate (Cass., 13 maggio 2005, n. 10123; nello stesso senso anche Corte Cost., 24 giugno 2004, n. 187; Corte Cost., 22 novembre 2001, n. 373).

2.2 L’incompleta descrizione della fattispecie si riflette anche nel difetto di motivazione sulla rilevanza della questione incidentale di legittimità sollevata, sulla quale è taciuta ogni argomentazione e che va intesa, giusta il tenore letterale di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 23, comma 2 (“qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione”) quale “legame di carattere obiettivo tra il giudizio di costituzionalità e il giudizio principale, commisurato all’interesse dell’ordinamento di prevenire ogni possibilità che il giudizio applichi nel processo principale una norma anticostituzionale, ovvero quale nesso di pregiudizialità tra la questione di costituzionalità e la risoluzione del giudizio principale” (Corte Costituzionale, 6 aprile 1995,n. 108; Corte costituzionale, sentenza 22 maggio 1991, n. 2013; Corte Costituzionale, 3 novembre 1988, n. 1012).

3. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione dell’art. 2033 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia su un’eccezione centrale del ricorso, avendo errato il Tribunale ad affermare che i soldi erano entrati giuridicamente nella titolarità della società, in quanto il pagamento in esame era caratterizzato dal fatto che era privo di causa ab origine e doveva essere differenziato rispetto alle altre fattispecie di indebito dove la causa veniva meno successivamente.

4. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 103, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che, poichè il denaro era il bene fungibile per eccellenza, la sua “confusione” in un conto corrente costituiva una finzione giuridica e che, nel caso in esame, era perfettamente possibile individuare ogni dettaglio del pagamento eseguito tramite gli estremi del bonifico; inoltre, il Tribunale di Udine aveva errato nel considerare l’accredito del bonifico come un fatto naturale, non considerando che ogni accredito presupponeva un rapporto di debito/credito tra la banca e il titolare del conto, ma anche una giusta causa solvendi, che nel caso concreto era assente. Ad avviso della società ricorrente, che il denaro possa essere considerato come una cosa soccorre l’art. 1834 c.c., dettato in tema di deposito, che prevede che la banca che acquista la somma di denaro depositata è tenuta a restituirla nella stessa specie monetaria; in più nel caso in esame l’accredito era avvenuto in dollari americani e anche tecnicamente la somma non poteva “confondersi” con le altre presenti sul conto; nella realtà, si era in presenza di meri numeri che potevano essere modificati liberamente e, quindi, anche spostati. Inoltre, la somma, che peraltro era rimasta cristallizzata dal sopraggiunto fallimento essendo stato il bonifico accreditato di venerdì ed essendo avvenuta la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento il lunedì successivo, non era stata considerata dal Giudice delegato un credito restitutorio, ma una cosa, in quanto era stata ammessa nell’importo esatto che risultava accreditato sul conto corrente della società (OMISSIS).

5. Con il terzo motivo, la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 11 del 2010, artt. 5 e 17 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato il Tribunale ad affermare che, dal momento in cui l’operazione di bonifico era stata contabilizzata, la (OMISSIS) s.r.l. non avrebbe potuto prestare il consenso, potendo essere restituita soltanto con un distinto ordine della beneficiaria, poichè le norme bancarie non richiedevano un nuovo ordine di bonifico, ma il semplice consenso del beneficiario e, per lui, della Curatela al riaccredito delle somme erroneamente accreditate.

6. Con il quarto motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo il Tribunale errato nel non disporre la compensazione delle spese processuali in ragione della assoluta novità della questione trattata.

7. I primi tre motivi, che appaiono suscettibili di un esame unitario, in ragione della loro sostanziale omogeneità, non meritano di essere accolti.

7.1 E’ orientamento consolidato di questa Corte, quello secondo cui le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, previste dalla L.Fall., art. 103 sono ammissibili soltanto se la cosa mobile sia stata determinata nella sua specifica e precisa individualità (Cass., 25 gennaio 2018, n. 1891; Cass., 22 dicembre 2017, n. 30894; Cass., 16 maggio 2005, n. 10206).

7.2 Questa Corte, inoltre, afferma che il denaro, al pari, del resto, di ogni altra cosa fungibile, possa in concreto essere individualizzato, ovvero fatto oggetto di attività di separazione e distinzione dalle altre cose dello stesso genere e questo non solo per le ipotesi di apposita previsione legislativa, secondo quanto ad esempio accade nella normativa dettata nel TUF (art. 22) in relazione al fenomeno di c.d. doppia separazione patrimoniale (Cass., 12 febbraio 2008, n. 3380), ma anche in relazione ad ipotesi che abbiano origine e impronta di segno convenzionale (Cass., 5 novembre 2018, n. 28097).

7.3 Anche di recente è stato precisato che questa Corte ben conosce e ammette la possibilità che il denaro, al pari di ogni altra cosa fungibile, possa in concreto venire individualizzato, ovvero fatto oggetto di attività di separazione e distinzione dalle altre cose dello stesso genere (Cass., 27 ottobre 2020, n. 23477).

7.4 Tanto premesso, secondo autorevole dottrina “a fondamento della norma di cui alla L.Fall., art. 103 vi è da un lato l’intangibilità del patrimonio del soggetto debitore fallito e l’interesse dei creditori a che il patrimonio non sia depauperato o ridotto nella sua capienza e dall’altro il possesso giuridico dei beni mobili rilevato attraverso l’inventario” e che “nell’ipotesi di bene fungibile il diritto alla restituzione presuppone la dimostrazione di una situazione idonea ad impedire che la cosa della quale si reclami la restituzione si sia confusa con il patrimonio del fallito, pur occorrendo perchè si realizzi una situazione siffatta, in linea di principio, che la res sia determinata nella sua specifica e precisa individualità e che, per l’acquisto della proprietà da parte di chi riceva in deposito una quantità di denaro o di altre cose fungibili, è pur sempre necessario che alla semplice detenzione si aggiunga, quantomeno implicitamente, la facoltà di servirsi di tale bene, non essendo la sua natura fungibile, di per sè sola, sufficiente, a determinare il prodursi di tale effetto (acquisto della proprietà)”.

Il principio generale è, quindi, che è necessario che le cose mobili siano indicate in modo specifico e non generico e che le cose mobili fungibili siano rivendicabili solo se sia intervenuto un fatto che abbia determinato la loro individuazione e la non confusione con il patrimonio del fallito, essendo ammissibile nel caso di avvenuta “confusione” soltanto la richiesta di ammissione di un credito pari al valore dei beni appresi al fallimento; ed ancora che chi si trovi a detenere in deposito una quantità di denaro o di altre cose fungibili non abbia anche la facoltà di servirsi di tale bene.

7.5 Ciò posto, la pronuncia impugnata del Tribunale di Udine non sembra discostarsi dai principi e dalle indicazioni appena richiamati, peraltro espressamente citati dai giudici di merito, avendo precisato che il trasferimento del possesso del denaro aveva determinato la perdita della sua individualità e la confusione nel patrimonio della società poi fallita e che il denaro era stato acquisito giuridicamente in seguito all’accreditamento sul conto corrente bancario, che non costituiva una mera operazione contabile; nè era intervenuto un fatto che aveva determinato l’individuazione del denaro e il fatto che il bonifico fosse stato disposto in dollari e l’accredito fosse avvenuto in Euro non aveva impedito la confusione tra il patrimonio del soggetto fallito e il patrimonio della società creditrice.

7.6 Non è condivisibile, in proposito, l’affermazione della società ricorrente che i soldi non erano mai entrati nella titolarità giuridica della società, ma erano entrati nella disponibilità della società (OMISSIS) soltanto materialmente, perchè il pagamento in esame era caratterizzato dal fatto che era privo di causa ab origine e doveva essere differenziato rispetto alle altre fattispecie di indebito dove la causa veniva meno successivamente.

7.6.1 Ed invero la dottrina più autorevole, affermata la necessità che emerge dal complesso della disciplina vigente di una sistemazione unitaria dell’indebito, individua “la struttura minima costante dell’istituto dell’indebito nelle due parti costitutive essenziali che sono il pagamento e il difetto dell’obbligo, venendo in rilievo eventuali altri fattori, quali l’errore, solo al fine di supplire alla carenza di una sufficiente giustificazione giuridica della conservazione degli effetti conseguenti al pagamento”.

La dottrina richiamata, peraltro, ha osservato che “la disciplina degli artt. 2033 e ss. si applica sia alle ipotesi in cui la causa solvendi sia inesistente ab origine non essendo necessario che le parti siano state in rapporto tra di loro, sia a tutte le ipotesi di inefficacia sopravvenuta nella causa del pagamento e che, in questi casi (annullabilità, rescissione, risoluzione per cause diverse dall’impossibilità sopravvenuta) l’obbligazione di restituzione delle prestazioni già ricevute non è mai menzionata, perchè si tratta pur sempre di una conseguenza immanente all’inefficacia sopravvenuta dell’obbligo”.

7.6.2 Pure la giurisprudenza di merito intende la nozione di difetto dell’obbligo nel più ampio dei suoi possibili significati e si richiama sia al fatto oggettivo dell’inesistenza originaria, sia al successivo venir meno di un titolo giuridico, ovvero della causa solvendi, che consente di escludere l’obbligazione restitutoria ed afferma che non è necessario che il difetto della causa solvendi dipenda a sua volta dal fatto che le parti non siano state mai in alcun rapporto tra di loro. Nello stessa direzione si pone anche il principio affermato da questa Corte secondo cui si ha indebito oggettivo sia quando manca tra le parti ogni rapporto giuridico quale causa giustificatrice del pagamento eseguito, sia quando la causa del rapporto, originariamente esistente, sia successivamente venuta meno per eventi che hanno messo nel nulla la ragione del rapporto medesimo (Cass., 4 dicembre 1981, n. 6450; Cass., 20 marzo 1979, n. 1622; Cass., 4 marzo 1968, n. 684). 7.7 Anche l’ulteriore censura, riguardante la natura fungibile del denaro e la finzione giuridica che rappresenta la “confusione” nel conto corrente, poichè era perfettamente possibile individuare ogni dettaglio del pagamento eseguito tramite gli estremi del bonifico, tenuto conto anche del versamento avvenuto in dollari, non merita accoglimento.

In proposito, questa Corte ha affermato che:

– l’accreditamento consiste nella annotazione nel conto di una partita a credito ed è diretta ad assicurare al correntista l’acquisto della relativa disponibilità;

ciò risulta chiaramente dal testo dell’art. 1582 c.c., secondo il quale, qualora l’apertura di credito sia regolata in conto corrente, il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme “risultanti” a suo credito;

a non diverse conseguenze si perviene nell’ipotesi (che è quella in esame) di accreditamento che si attui in base all’ordine di un terzo; – il negozio delegatorio che ne risulta, tra terzo ordinante, banca accreditante e correntista accreditato, non può infatti che essere regolato dal tenore dell’ordine di accreditamento, mentre il rapporto finale (tra banca accreditante e correntista) è autonomo rispetto al negozio che gli dà origine (Cass., 29 luglio 1992, n. 9064).

La disponibilità per il correntista della somma accreditata è effettiva, dunque, a partire dalla data di annotazione del bonifico sul conto corrente.

Inoltre, questa Corte, sia pure al fine di poter ritenere realizzato l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria che presuppone la dazione di una somma di denaro, ha precisato che occorre la traditio, che può anche non essere necessariamente materiale, dell’importo di tale somma dalla sfera patrimoniale del solvens a quella dell’accipiens, e, quindi, il conseguimento effettivo da parte di questo della disponibilità dell’importo versatogli (Cass., 29 novembre 1996, n. 10632; Cass., 9 ottobre 1972, n. 2938).

Ed invero, una determinata somma entra nel patrimonio di un soggetto nel momento in cui diviene di proprietà di quest’ultimo e si confonde con gli altri beni, in qualunque modo ciò avvenga, a nulla rilevando che sia versata in un conto corrente o in un altro e se sul conto vi siano o no altre somme del depositante (Cass., 21 marzo 2013, n. 7170).

7.8 Alla stregua della così individuata nozione di disponibilità, la pronuncia del giudice del merito sulla fattispecie in esame, che ha ritenuto che si era verificata l’acquisizione effettiva della somma oggetto di bonifico a partire dal momento dell’esecuzione della disposizione di bonifico (9 dicembre 2016), si rivela assolutamente corretta e ben suscettibile di resistere alle censure della società ricorrente.

Sotto tale specifico profilo, peraltro, del tutto inconferente è il richiamo all’art. 1834 c.c., che prevede che nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.

Al riguardo questa Corte ha affermato che il deposito bancario è un negozio complesso di durata che costituisce un contratto d’impresa, caratterizzato da profili speculativi, in cui l’interesse della banca alla raccolta ed alla gestione del risparmio concorre con quello del privato alla custodia ed alla rimuneratività delle somme, e nel quale l’obbligo restitutorio della banca sorge (salvo il caso di previsione di un termine convenzionale di scadenza del contratto) solo a seguito della richiesta del cliente, quale condizione di esigibilità del credito del medesimo (Cass., 20 gennaio 2012, n. 788).

7.9 Peraltro, contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente, il Giudice delegato, rigettata la domanda di rivendica, correttamente ha riconosciuto il diritto della stessa ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate alla società (OMISSIS) e ha ammesso il credito in via chirografaria, seguendo le regole e la gradualità dell’insinuazione al passivo; nè rileva che non vi era stata alcuna attività, poichè, come già detto, la facoltà di servirsi delle somme di denaro depositate nel conto corrente e, quindi, di acquisirne la proprietà, costituisce un elemento naturale della fattispecie, per escludere la quale è necessaria una apposita pattuizione che nella specie non è stata nemmeno allegata (Cass., 22 settembre 2000, n. 12552).

7.10 Nemmeno viene in rilievo la previsione o meno da parte delle norme bancarie di un nuovo ordine di bonifico, poichè dal momento in cui l’operazione di bonifico era stata contabilizzata la (OMISSIS) s.r.l. non avrebbe più potuto prestare il consenso, perchè il possesso del denaro era stato trasferito, all’atto del fallimento, al Curatore, soggetto diverso dal soggetto beneficiario e impossibilitato, in quanto tale, a prestare il consenso alla restituzione delle somme erroneamente accreditate; nè il consenso poteva essere dato con un distinto ordine della beneficiaria perchè, per l’appunto, la società (OMISSIS) era stata dichiarata fallita.

Il nucleo della decisione impugnata risulta ferme, quindi, sulla sostanziale affermazione che, nel concreto della fattispecie in esame, una “individuazione” della “res denaro”, ovvero di una particolare o speciale somma di denaro, non era stata fatta e che si era, di conseguenza, realizzata la confusione nel patrimonio della società (OMISSIS) delle somme di denaro oggetto del bonifico eseguito il 9 dicembre 2016.

Non si può, in conclusione, negare che, se le parti di un rapporto contrattuale intendono ottenere il risultato della individuazione e separazione della “res denaro”, occorre che predispongano una struttura effettivamente adeguata per la realizzazione di un’esigenza del genere e, poi, procedano pure a rispettarla a livello esecutivo (Cass., 27 ottobre 2020, n. 23477, citata; Cass., 12 settembre 2008, n. 23560).

Di contro, il soggetto creditore rimane titolare del corrispondente diritto di credito, da far valere nei modi e nelle forme dell’ammissione al passivo L.Fall., ex artt. 93 e ss. (Cass., 25 gennaio 2018, n. 1891).

7.11 Anche la giurisprudenza penale richiamata dalla società ricorrente, a conforto della propria tesi, non concerne specificamente il tema della spettanza del diritto di proprietà delle somme oggetto di bonifico; tale giurisprudenza si dispone, sul pianoidel tutto diverso da quello qui in esame, della configurazione delle fattispecie di reato di cui all’art. 647 c.p. (poi abrogato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7); nè i portati di questa giurisprudenza sono idonei ad essere estensibili oltre lo specifico ambito della conformazione della “condotta appropriativa” richiesta, per l’appunto dalla norma richiamata.

8. Il quarto motivo è inammissibile, perchè il Tribunale, ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, ha fatto corretto applicazione del criterio della soccombenza, che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e che identifica la parte soccombente, alla stregua del principio di causalità, con quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, abbia dato causa alla lite ovvero con quella che abbia tenuto nel processo un comportamento rilevatosi ingiustificato; tale accertamento, peraltro, ai fini della condanna al pagamento delle spese processuali, è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito e la conseguente pronuncia è sindacabile in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui dette spese, anche solo parzialmente, siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass., 16 giugno 2011, n. 13229; Cass., 4 agosto 2017, n. 19613).

Inoltre, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., 21 luglio 2017, n. 18125; Cass., 17 ottobre 2017, n. 24502).

9. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal Fallimento controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonchè dichiarato obbligato al pagamento dell’ulteriore importo, ove dovuto per legge, e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del Fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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