Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13510 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. I, 03/06/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 03/06/2010), n.13510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CUCINELLA LUIGI

ALDO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto V.G. 2229/06 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

20.12.06, depositato il 31/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. DIDONE Antonio;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “ B.B. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al TAR Campania, in materia di rivendicazioni economiche relative a rapporto di pubblico impiego, svoltosi dal gennaio 2000, data di deposito del ricorso introduttivo, all’ottobre 2005, data di pubblicazione della sentenza di rigetto del ricorso.

La Corte d’appello di Napoli, con decreto del 31 marzo 2007, fissata la durata ragionevole del giudizio dinanzi al TAR in tre anni, riteneva violato il relativo termine per due anni e nove mesi e, liquidato il danno non patrimoniale in Euro 800,00 per ciascun anno di ritardo, condannava la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento di complessivi Euro 2.169,00, dichiarando irripetibili le spese del procedimento. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il B., affidato a sei motivi; ha svolto attivita’ difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri.

OSSERVA:

Con il primo motivo e’ formulato il quesito se la L. n. 89 del 01 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?. Al riguardo va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004), In termini analoghi e’ il principio enunciato dalla Corte costituzionale, che, contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa percio’ manifestamente erroneo, ha affermato che al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio’ sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio’ non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtu’ di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria. In questi termini e’ il principio che puo’ essere enunciato in relazione al quesito posto con il primo motivo.

Il secondo, il terzo ed il quarto motivo attengono al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00. Le censure appaiono manifestamente infondate, giacche’ ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro;

da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa di lavoro abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass., Sez. 1^, 14 marzo 2008, n. 6898).

Viceversa, sono manifestamente fondati il quinto ed il sesto motivo, con cui ci si duole della dichiarazione di irripetibilita’ delle spese, basata sulla mancata costituzione della Amministrazione convenuta – La Corte d’appello si e’ discostata dal principio secondo cui, in tema di spese processuali e con riferimento al processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo, non ricorre un generale esonero dall’onere delle spese a carico del soccombente (Cass., Sez. 1^, 18 giugno 2007, n. 14053).

Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni che la sorreggono e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti innanzi precisati. Si’ che l’impugnato decreto deve essere cassato limitatamente alle spese liquidate e, con decisione ex art. 384 c.p.c., l’Amministrazione intimata deve essere condannata al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari.

In ragione del limitato accoglimento dei motivi di ricorso le spese processuali relative al presente giudizio di legittimita’ possono essere compensate nella misura di 2/3.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 311,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario; che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimita’, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

 

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