Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1351 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. I, 22/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12258/2019 proposto da:

M.T., elettivamente domiciliato in Pesaro, Via San Francesco,

52, presso lo studio dell’Avv. Stefano Vichi, che lo rappresenta e

lo difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta dal cittadino (OMISSIS) M.T. per le ragioni che seguono:

– Con riferimento al riconoscimento dello status di rifugiato, si afferma che le dichiarazioni del ricorrente, anche laddove credibili, restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di miglioramento socioeconomico, atteso che gli aspetti evidenziati rivelano l’esistenza di timori personali circa la necessità di sostenere la famiglia nel Paese di origine. Pertanto, non sussiste alcun rischio concreto di subire atti persecutori diretti ed attuali come richiesto dal combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 7.

– In merito alla mancata concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non sono emersi elementi sufficienti a comprovare il rischio di subire torture o altre forme di trattamenti inumani o degradanti nel Paese di provenienza, tenuto conto che il richiedente ha riferito di una generica possibilità di ritorsione da parte di alcuni vicini di casa, a causa della mancata restituzione di una somma di denaro, prestatagli al fine di lasciare il Bangladesh.

– Tantomeno è risultata integrata l’ipotesi di danno grave di cui dell’art. 14, lett. c) D.Lgs. cit.. Invero, alla luce delle informazioni aggiornate acquisite dall’Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo (EASO), il Bangladesh non è caratterizzato da un livello di violenza indiscriminata, derivante da situazioni di conflitto armato o internazionale, tale da costituire una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile per la sola presenza nel territorio.

Da ultimo, è negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Nonostante il ricorrente abbia fornito la prova di un rapporto di lavoro stabile, questo non legittima, per ciò solo, il rilascio alla protezione suddetta, senza che nel Paese di origine si ravvisi una violazione dei diritti umani e una conseguente impossibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili di vita personale.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione il cittadino straniero. Non ha svolto difese il Ministero intimato.

Nel primo ed unico motivo di ricorso, la difesa lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere il Tribunale adempiuto al dovere di cooperazione officiosa imposto dalla norma citata, in relazione tanto al Paese di origine del richiedente (Bangladesh), quanto a quello di transito (Libia).

A ben vedere, la primaria intenzione del Sig. T. era quella di recarsi in Libia al fine di trovare un’occupazione migliore rispetto a quella precedentemente svolta in Bangladesh, ma l’auspicato stanziamento è risultato impossibile a causa del clima di forte instabilità e di violenza diffusa.

Di conseguenza, una ricerca più approfondita circa la reale situazione socio-politca propria del Bangladesh e della Libia avrebbe portato il giudice a concludere per la sussistenza dei requisiti legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria.

Il motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità. Con riferimento alla situazione socio-politica del Paese di origine (il Bangladesh), il Tribunale ha correttamente esercitato il suo dovere di cooperazione istruttoria, acquisendo informazioni aggiornate e precise dall’EASO (si veda pag. 2 del provvedimento impugnato). Diversamente, la difesa ha lamentato una generica violazione del dovere di cui all’art. 8, D.Lgs. cit., venendo meno all’onere di indicare le fonti che, secondo la sua prospettazione, avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio. Come affermato dalla recente giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di tale allegazione, si paventa l’impossibilità, per la stessa, di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura (Cass., Sez. I, 22769/2020).

Invece, con riguardo specifico al Paese di transito (la Libia), questa Corte ha più volte precisato che l’obbligo di cooperazione istruttoria debba essere assolto solamente ove l’esperienza vissuta nel Paese di transito presenti un certo grado di significatività in relazione alla durata effettiva del soggiorno ed all’intensità delle violenze ivi subite dal ricorrente, le quali devono essere potenzialmente idonee ad ingenerare un forte grado di traumaticità tale da incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass., Sez. I, n. 13758/2020, n. 13758/2020; Cass., Sez. I, n. 13565/2020; Cass., Sez. I, n. 13096/2019).

Nel caso di specie, non risulta integrata nessuna delle suddette ipotesi poichè la permanenza in Libia si è protratta per poco tempo (tre mesi e venti giorni) e il ricorrente non ha dichiarato di aver subito violenze durante questo periodo, ma, al contrario, di aver svolto attività lavorativa come muratore. Ne deriva che la generica asserzione di una situazione di instabilità socio-politica del Paese di transito, tra l’altro non corredata da prove, osti alla possibilità di censurare la mancata attivazione dei poteri istruttori da parte del Tribunale.

Ciò determina l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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