Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13509 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. I, 18/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2836/2014 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via Archimede n.

10, presso lo studio dell’avvocato Callini Viviana, rappresentato e

difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

Curatela Fallimento (OMISSIS) S.p.a.;

– intimata –

avverso il decreto n. 1105/2013 del TRIBUNALE di MARSALA, depositato

il 27/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Cons. Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 1105/2013 (comunicato a mezzo fax all’odierno ricorrente in data 28/11/2013), il Tribunale di Marsala ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 26, proposto dall’avvocato S.V. contro il decreto con cui il Giudice delegato al Fallimento (OMISSIS) S.p.a. ha liquidato le sue competenze per l’attività difensiva espletata nel giudizio svoltosi dinanzi alla Corte d’appello di Palermo, avente ad oggetto la revocatoria fallimentare di rimesse in c/c per Lire 72.277.427 (pari ad Euro 37.328,18), che aveva visto soccombente la curatela fallimentare tanto in primo quanto in secondo grado.

1.1. Avverso detta decisione l’avvocato S.V. propone ricorso straordinario per Cassazione affidato a sei motivi, notificato alla curatela fallimentare in data 09/01/2014.

2. Il Fallimento intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo – rubricato “Motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – violazione dell’art. 113 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della Tariffa Forense in materia civile approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127 e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 9, comma 3” – ci si duole che il tribunale abbia valorizzato l’attribuzione alla causa del valore indicato in parcella (Euro 63.031,45 pari alle rimesse maggiorate degli accessori maturati prima della domanda) – asseritamente “per atto di liberalità verso la Curatela” – nonostante l’art. 6 della menzionata Tariffa, ritenuto applicabile anche per la liquidazione degli onorari a carico del cliente, “specifichi che il valore delle cause revocatorie vada determinato con riferimento “alla entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta””, e sia perciò pari, nel caso di specie, al valore (ben superiore) “dei crediti di massa insinuati al passivo del fallimento” (cfr. Cass. 2279/1960).

2.2. Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., per avere il giudice delegato ridotto il valore della causa indicato in parcella a soli Euro 37.328,18, sottraendo dal petitum gli accessori, nonostante la norma citata imponga di tener conto ai fini del valore della causa anche di interessi e rivalutazione monetaria, se richiesti, tenendo conto non già del decisum bensì del deductum.

2.3. Il terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – omessa pronuncia circa fatti controversi e decisivi per il giudizio – nullità della sentenza” per non essersi il tribunale pronunciato sul terzo motivo di reclamo, riguardante le affermazioni del g.d. circa la “non particolare complessità della causa ed il numero limitato delle questioni trattate in appello” e l’aver egli “tenuto conto, nella liquidazione di quanto dovuto al difensore della curatela, “della liquidazione delle spese di lite operata nella sentenza a carico della predetta ed a favore della parte vincitrice””.

2.4. Il quarto mezzo prospetta congiuntamene la violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24, dell’art. 4 e di varie ulteriori disposizioni della Tariffa Forense approvata con D.M. n. 127 del 2004 (in tema di diritti spettanti all’avvocato, indennità di trasferta e numerose altre voci), dell’art. 115 c.p.c., in uno alla “violazione del criterio di ragionevolezza” nonchè “motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

2.5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 della Tariffa più volte menzionata, in tema di liquidazione degli onorari, nonchè “motivazione omessa circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in quanto, anche a volersi applicare il valore della causa indicato in parcella (Euro 63.031,45), l’applicazione del relativo scaglione avrebbe richiesto una liquidazione degli onorari pari ad Euro 5.254,00 (valori medi) o almeno ad Euro 2.640,00 (minimi tariffari), in luogo dell’importo liquidato di soli Euro 1.500,00.

2.6. Con il sesto mezzo si deduce – dichiaratamente nella prospettiva dell’accoglimento del ricorso per cassazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè “motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, avuto riguardo al diniego di rifusione delle spese del giudizio di reclamo “stante la contumacia della curatela resistente”.

3. Preliminarmente occorre dare atto dell’ammissibilità del ricorso straordinario in esame, in quanto rivolto contro un provvedimento con cui il tribunale fallimentare, pronunciando sul reclamo proposto avverso un decreto emesso dal Giudice delegato ai sensi della L. Fall., art. 26, ha proceduto alla liquidazione del compenso dovuto al reclamante per l’attività giudiziale prestata in favore della curatela del fallimento – che, avendo carattere definitivo ed incidendo su un diritto soggettivo, è impugnabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. 21826/2017, 15941/2007, 7782/2007).

3.1. Il ricorso è anche tempestivo, in quanto notificato nel termine di sessanta giorni decorrente non già, come ordinariamente, dalla notificazione eseguita ad istanza di parte, bensì dalla comunicazione, a cura della cancelleria, del provvedimento camerale reso dal tribunale ai sensi della L. Fall., art. 26 (Cass. 23173/2020, 13565/2012, 16755/2010; cfr. Cass. Sez. U., 12062/1998), comunicazione che può essere effettuata tanto ai sensi dell’art. 136 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c., quanto in altra forma equipollente (nel caso di specie a mezzo fax), alla duplice condizione che la stessa risulti idonea ad assicurare la piena conoscenza del provvedimento da parte del destinatario, in modo tale da consentirne l’impugnazione, e che risulti certa la relativa data (Cass. 23173/2020, 2615/2007, 20279/2005).

4. Passando all’esame dei motivi, il primo di essi va respinto perchè – in disparte i profili di inammissibilità derivanti dalla censura di insufficienza della motivazione, esclusa dallo spettro del sindacato di legittimità sulla motivazione, attualmente circoscritto al rispetto del “minimo costituzionale” (v. Cass. Sez. U., 8053/2014, per cui “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile””) – risulta infondato.

4.1. Invero, al di là del rilievo del giudice a quo per cui era stato lo stesso ricorrente ad indicare in parcella il valore della causa non già con riferimento alla “entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta”, bensì nella misura di Euro 63.031,45 (pari alle rimesse oggetto di revocatoria, maggiorate degli accessori maturati prima della domanda), occorre considerare il contenuto e la portata delle disposizioni dettate dall’art. 6 della Tariffa Forense in materia civile, approvata con D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127 – applicabile ratione temporis – che disciplina nel comma 1 la “liquidazione degli onorari a carico del soccombente” e nel secondo (come nel quarto) la “liquidazione degli onorari a carico del cliente”.

4.2. In particolare, il comma 1, prevede che “Nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo nei giudizi per azioni surrogatorie o revocatorie, all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta, nei giudizi di divisione, alla quota o ai supplementi di quota in contestazione, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”.

4.2.1. Il comma 2 prevede, invece, che “Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile”.

4.3. Nel caso in esame, nel quale si controverte della liquidazione degli onorari a carico del cliente, deve applicarsi il comma 2, che, nel confermare implicitamente il rinvio ai criteri di determinazione del valore della causa indicati dal codice di procedura civile, ne prevede – a differenza del comma 1 – la deroga per la sola ipotesi in cui il valore effettivo della controversia risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile. Ipotesi peraltro non direttamente rilevante nel caso di specie, relativo a revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario, in cui il codice di procedura civile non fa riferimento, per la determinazione del valore della causa, ad alcuna presunzione: a norma dell’art. 14 c.p.c., comma 1. “Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili (art. 812 c.c.) il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore”. Rettamente, dunque, il giudice di merito ha determinato il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente, in corrispondenza con l’ammontare delle somme di denaro che la Curatela aveva richiesto in restituzione alla banca.

4.4. Il Collegio non ignora che, con riguardo alle distinte regolamentazioni dei due tipi di liquidazione, questa Corte abbia più volte affermato, anche di recente (Cass. Sez. 2 n. 195/2020; n. 765/2012), che le deroghe ai criteri fissati dal codice di procedura civile previste, in relazione a determinate cause (principalmente quelle di divisione) per la determinazione degli onorari a carico del soccombente, possano trovare applicazione in via di analogia anche nella liquidazione a carico del cliente, in quanto, a differenza dei criteri previsti dal codice di procedura civile, dirette a collegare il valore della causa all’interesse perseguito in concreto dalla parte, e quindi a realizzare l’obiettivo di fondo che la tariffa in questione pone per la liquidazione degli onorari a carico del cliente. E tuttavia, nel caso di specie, non ricorre tale necessità di applicazione analogica dal momento che il criterio di determinazione del valore della causa, a norma dell’art. 14 c.p.c., in base alla somma richiesta in restituzione,si manifesta ben più idoneo a collegare il valore stesso all’interesse perseguito in concreto dalla Curatela con la domanda di revocatoria delle rimesse rispetto al criterio basato sul valore “dei crediti di massa insinuati al passivo del fallimento”.

4.5. Può quindi concludersi che non sussista la lamentata violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, come del resto lo stesso ricorrente aveva rettamente opinato nel predisporre la parcella.

5. Il secondo motivo è invece fondato e va accolto.

5.1. Invero, anche alla luce delle osservazioni sopra svolte, risulta evidente come il “valore della causa”, ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente, sia disciplinato dalla Tariffa forense per relationem agli artt. 10-15 c.p.c. (concernenti la determinazione del valore della causa ai fini della competenza) e come dell’art. 10 c.p.c., comma 2, preveda che, a tal fine, “gli interessi scaduti, le spese e i danni (1223, 1282, 2043 c.c.) anteriori alla proposizione si sommano col capitale”; di conseguenza, il giudice delegato non avrebbe dovuto determinare il valore della causa espungendo l’ammontare degli interessi e rivalutazione monetaria richiesti dalla parte attrice, nè il Tribunale avrebbe dovuto rilevare che, trattandosi di azione revocatoria, alla sorte capitale non vanno cumulati nè la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta, nè gli interessi legali, che decorrono solo dalla domanda giudiziale. Il valore della causa deve infatti determinarsi in base alla somma domandata (il disputatum), non rilevando se tale domanda fosse, in tutto o in parte, infondata: ciò non solo perchè l’art. 6 prevede il correttivo del decisum per la sola liquidazione degli onorari a carico del soccombente, ma soprattutto perchè, operando tale correttivo, si giungerebbe alla conclusione incongrua che il rigetto totale della domanda – come nella specie – escluderebbe ogni compenso a carico del cliente (cfr., con riguardo allo stesso soccombente, Cass. 28417/2018 e Cass. 25553/2011 per cui, “in caso di rigetto della domanda, nei giudizi per pagamento di somme o risarcimento di danni, il valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico dell’attore soccombente, è quello corrispondente alla somma da quest’ultimo domandata, dovendosi seguire soltanto il criterio del “disputatum”, senza che trovi applicazione il correttivo del “decisum””).

6. Il terzo mezzo è infondato, poichè il tribunale si è in realtà pronunciato sul punto in discussione, affermando che la liquidazione degli onorari risultava “rispettosa della tariffa di riferimento ed adeguata alla complessità della vertenza e all’entità delle attività processuali svolte”, come si legge a pag. 4 del decreto impugnato.

7. Il quarto motivo, che come visto denunzia, oltre al vizio di violazione di legge, la “violazione del criterio di ragionevolezza” e la “motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, presenta plurimi profili di inammissibilità.

7.1. In primo luogo esso veicola confusamente vizi eterogenei, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, in contrasto con il principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 26790/2018, 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 16657/2017, 19133/2016).

7.2. In secondo luogo, le censure motivazionali sono formulate senza l’osservanza dei canoni imposti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5), per cui il ricorrente è tenuto a indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nonchè la sua “decisività” (Cass. Sez. U., 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020).

7.3. Inoltre, le contestazioni dettagliatamente svolte attengono a questioni valutative di merito, non sindacabili in questa sede, poichè sottoporre a verifica la sufficienza o razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U., 28220/2018; Cass. 1229/2019, 27033/2018, 9356/2017).

7.4. D’altro canto, le eventuali anomalie motivazionali denunciabili in questa sede sono, come detto, solo quelle che si tramutino in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. U., 8054/2014, 34474/2019, 20867/2020), sia perchè la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene semmai alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia perchè con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, le valutazioni delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016).

7.5. In simili casi va fatta applicazione del principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio) miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze probatorie operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U., 34476/2019).

8. Il quinto motivo va disatteso poichè contesta la liquidazione di onorari inferiori al minimo tariffario senza tener conto che la stessa è stata dichiaratamente effettuata al netto di un acconto (non meglio indicato) e di un credito di oltre quattromila Euro vantato dalla procedura nei confronti dello stesso legale istante, come risulta dal contenuto del decreto di liquidazione del giudice delegato trascritto a pag. 3 del ricorso (“liquida in prededuzione a favore dell’Avv. S.V. (…) la somma omnicomprensiva di Euro 2.723,00, di cui Euro 1.223,00 per diritti, Euro 1.500,00 per onorari, oltre Euro 534,99 per esborsi, Euro 150,00 per anticipazioni in nome e per conto dell’assistito ed accessori di legge, al netto dell’acconto già corrisposto e del credito vantato dalla procedura nei confronti del medesimo di Euro 4.442,00”).

8.1. In ogni caso, il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio “in iudicando” il quale richiede, ai fini dell’ammissibilità della censura, che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un’inammissibile indagine sugli atti di causa (così Cass. 22983/2014), fermo restando che rientra nella discrezionalità del giudice di merito la determinazione della misura degli onorari tra i minimi e i massimi tariffari (Cass. 19250/2015).

9. Resta assorbito il sesto motivo, in quanto vertente sulla liquidazione delle spese giudiziali, che viene rimessa in sede di rinvio.

10. In conclusione, il decreto impugnato va cassato con rinvio in accoglimento del solo secondo motivo, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo e il terzo, dichiara inammissibili il quarto e il quinto ed assorbito il sesto, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Marsala, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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