Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13509 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. I, 03/06/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 03/06/2010), n.13509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 91,

presso lo studio dell’avvocato BEATRICE GIOVANNI, rappresentato e

difeso dall’avvocato BEATRICE LUIGI, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto E.R. 3 0/07 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del

6.11.06, depositato il 19/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. DIDONE Antonio;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “ O.A. con ricorso del 24 febbraio 2006 adiva la Corte d’appello di Perugia allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento ad un giudizio civile con cui aveva richiesto la rimozione di una videocamera posta di fronte ad un condominio nonche’ il risarcimento dei correlati danni, giudizio promosso nel maggio 1999, conclusosi in primo grado nel settembre 2002 ed ancora pendente, dal febbraio 2003, in appello. La Corte d’appello di Perugia, con decreto del 19 gennaio 2007, respingeva la domanda, ponendo a carico del ricorrente le spese del giudizio.

La Corte d’appello ha quantificato la durata ragionevole in tre anni per il primo grado ed in due anni per la fase di appello. Ha quindi osservato che il giudizio di primo grado ha avuto una durata sostanzialmente in linea con il detto criterio, tenuto conto della necessita’ di una c.t.u. per la decisione. Quanto al giudizio di appello, la Corte di merito ha dato rilievo alla circostanza che, all’udienza del 7 maggio 2003, le parti chiesero, concordemente, un rinvio che ottennero e che fu disposto al maggio 2005, senza peraltro che le parti di cio’ si dolessero o revocassero la richiesta di rinvio; ed e’ giunta alla conclusione che il superamento della ragionevole durata del procedimento e’ addebitabile non all’amministrazione convenuta, ma al ricorrente. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso O.A., affidato a due motivi; ha svolto attivita’ difensiva il Ministero della giustizia.

OSSERVA:

I due motivi del ricorso – con i quali, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, si censura che la Corte di merito non abbia riconosciuto la sussistenza della irragionevole durata del processo presupposto – sono manifestamente fondati, nei sensi di seguito precisati.

Difatti, in ordine alla durata del giudizio di appello, la Corte territoriale, nell’addebitare al comportamento delle parti, che chiesero un rinvio dell’udienza, l’intero periodo che va dal maggio 2003 al maggio 2005, si e’ discostata dal principio secondo cui, in tema di valutazione della ragionevole durata del processo, non tutto il lasso di tempo intercorso tra un’udienza e l’altra puo’ essere imputato al comportamento della parte che abbia chiesto un rinvio, dovendo il giudice adito in sede di equa riparazione verificare se l’entita’ del rinvio sia ascrivibile anche a concorrenti carenze dell’organizzazione giudiziaria (Cass., Sez. 1^, 7 aprile 2004, n. 6856).

Inoltre il giudice del merito ha omesso di prendere in considerazione il rinvio d’ufficio operato dalla Corte d’appello di Roma per impedimento del relatore dal 1 giugno 2005 al 24 maggio 2006.

Generiche appaiono invece le censure mosse all’accertamento compiuto dalla Corte territoriale in ordine al mancato superamento della ragionevole durata nel primo grado del giudizio presupposto.

Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2. – Il Collegio ritiene di non poter condividere le conclusioni della relazione in quanto il secondo motivo di ricorso – in violazione dell’art. 366 bis c.p.c. – e’ del tutto privo di quesito di diritto e di sintesi conclusiva mentre il quesito formulato a conclusione del primo motivo non e’ conforme alle indicazioni della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, cosi’ da consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. In altri termini, “il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (Sez. 3, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008).

Requisiti, questi, del tutto mancanti nel quesito formulato a conclusione del primo motivo.

Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimita’ – liquidate in dispositivo – in favore del Ministero resistente.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al Ministero resistente le spese processuali del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 600,00 oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

 

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