Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13502 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. II, 20/05/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 20/05/2019), n.13502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12422/2015 proposto da:

MINI CASA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. DEL CORSO 504, presso lo

studio dell’avvocato VICTOR GENNARO MATRONE, rappresentata e difesa

dagli avvocati FRANCESCO BELLESIA, FRANCESCO BRUINI;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE EVA SAS DI D.F. & C., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE ANGELICO 38, Presso lo studio dell’avvocato ELENA

ALLOCCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALESSANDRO LENTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 455/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del

03/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2019 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Bruini Francesco, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Lentini Alessandro, difensore del resistente, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Immobiliare Eva s.a.s. ebbe ad evocare in causa,avanti il Tribunale di Modena, la srl Mini Casa,deducendo di esser proprietaria di fondo edificato sito in (OMISSIS) sulle aree scoperte del quale la società convenuta pretendeva di godere di un diritto reale ed aveva interrato dei manufatti al servizio del suo immobile limitrofo.

Sostenendo invece l’assoluta libertà del proprio bene da ogni aggravio la sas Immobiliare Eva chiedeva al Giudice modenese conseguente accertamento con ordine di rimozione delle opere illegittimamente eseguite.

Resistette la srl Mini Casa, sostenendo invece la comproprietà delle aree scoperte oggetto di causa, anche acquisita mediante usucapione.

Il primo Giudice ebbe a rigettare la domanda della società attrice e ad accogliere la pretesa riconvenzionale proposta dalla società convenuta, riconoscendo la comproprietà delle aree scoperte collocate tra gli edifici, in signoria esclusiva a ciascuna delle due parti in causa.

Interpose gravame la sas Immobiliare Eva e, resistendo la srl Mini Casa, la Corte d’Appello di Bologna ebbe ad accogliere il gravame, riconoscendo la piena proprietà, libera da ogni aggravio, in capo alla società appellante delle zone scoperte oggetto di lite e regolando le spese del procedimento.

La Corte felsinea sulla scorta della documentazione contrattuale versata in atti e delle dichiarazioni testimoniali assunte in causa ha ritenuto che le aree oggetto di contesa fossero esclusivamente in signoria della sas Immobiliare Eva senza l’esistenza di alcuna aggravio a favore della controparte,nonchè ebbe a rigettare la pretesa della srl Mini Casa di aver acquisito la comproprietà in base all’usucapione.

Avverso la sentenza di seconde cure la srl Mini Casa ha interposto ricorso per cassazione articolando tre ragioni di censura.

La sas immobiliare Eva resiste con controricorso.

Ambedue le parti hanno depositate note difensive.

All’odierna udienza pubblica, entiti il P.G. – rigetto del ricorso – ed i difensori delle parti presenti, la Corte adottava decisione siccome illustrato in presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dalla srl Mini Casa s’appalesa infondato e va rigettato.

In limine va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per inosservanza del disposto ex art. 369 c.p.c., comma 2, levata in note difensive dalla società resistente, posto che la sentenza siccome notificata alla società ricorrente, proprio dalla sas Immobiliare Eva – eccipiente -, risulta presente nel fascicolo di parte della parte ricorrente.

Con la prima ragione di impugnazione la società ricorrente denunzia violazione del disposto ex art. 115 c.p.c.,in relazione agli artt. 2699 e 2700 c.c., in quanto la Corte distrettuale non ha esaminato adeguatamente la documentazione dimessa da essa impugnante a conforto della sua tesi.

La svolta censura, benchè veicolata siccome violazione di norma giuridica, si compendia in concreto nella elaborazione di ricostruzione di parte delle risultanze desumibili dalla documentazione contrattuale dimessa in causa dai contendenti che viene meramente contrapposta a quella elaborata dalla Corte felsinea.

Difatti i Giudici emiliani hanno puntualmente esaminato i rogiti del 1951 – atti con i quali si iniziò a dividere l’originario unica compendio oggi in signoria anche alle parti in causa -, nonchè il rogito del gennaio 1962.

All’esito del puntuale esame di detti contratti la Corte distrettuale ha sottolineato come con gli stessi non era stata anche ceduta la zona oggi in contestazione e come l’acquirente del 1962 acquistava esattamente quanto acquistato nel 1951 dal suo venditore,così ricollegando ai fini di causa l’immobile oggetto del contratto del 1962 a quello del 1951.

Dunque la Corte non ha dimenticato di esaminare i documenti portati dalla società ricorrente a sostegno della sua critica, semplicemente ne ha tratte conclusioni non gradite alla stessa.

Un tanto non configura violazione della norma ex art. 115 c.p.c., vvero delle norme a disciplina del valore probatorio degli atti pubblici, poichè la Corte ha deciso sulla base delle prove dimesse in causa dalle parti, in particolare esaminando i contratti segnalati dalla Mini Casa srl.

Con la seconda ragione di doglianza la società ricorrente lamenta omessa o insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia, in quanto la Corte felsinea avrebbe fatto proprio l’argomentazione elaborato dal consulente di parte della società resistente senza adeguato esame degli atti ed assegnato maggior valore ad allegato tecnico, solamente richiamato in rogito notarile, rispetto a quanto invece pattuito nello stesso contratto dalle parti.

La censura appare inammissibile, posto che veicola mera contestazione della motivazione adottata dalla Corte felsinea a supporto della sua decisione,ossia fattispecie non prevista dalla norma ex art. 360 c.p.c., comma 1, evocata, significativamente senza nemmeno il necessario cenno ad una delle cinque figure tipizzate nella stessa.

Difatti la Corte ha esaminato,come dianzi precisato,i documenti versati in atti ed al riguardo ha esposto specifica motivazione, che semplicemente la parte reputa errata.

Tuttavia una volta esclusa la concorrenza di una delle figure tipiche ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 – omessa motivazione ovvero omesso esame di fatto decisivo – la censura proposta sulla motivazione rimane in effetti priva di specificità e comunque inammissibile.

Con la terza doglianza la società ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo con relazione al dedotto acquisto del diritto di comproprietà delle aree scoperte oggetto di causa mediante usucapione ex art. 1159 c.c., poichè la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare la domanda subordinata tesa all’accertamento d’un tanto, avendo malamente interpretata la sua eccezione al riguardo relativa al compossesso e fondata sulla norma ex art. 1159 c.c..

La censura s’appalesa priva di pregio sotto tutti i profili evocati.

Anzitutto la società resistente deduce omesso esame di fatto decisivo, ma in effetto svolge critica circa la valutazione delle prove, siccome operata dalla Corte felsinea – oltre ai testimoni anche i documenti e le sentenze rese in sede possessoria – ossia questione che non attiene al vizio di legittimità denunziato. Quindi parte ricorrente evoca questione fondata sul ricorrere dei requisiti fattuali prescritti dall’art. 1159 c.c., per il maturare dell’acquisto mediante fatto, nonchè l’assoluto rilievo in questa causa di decisioni adottate in sede di procedimenti possessori già intercorsi tra le parti, rimanendo però – in ricorso – al livello di considerazioni astratte e generiche per poi, dettagliare concretamente l’argomento critico solamente in sede di nota difensiva (non a caso diffusa per 44 pagine), ossia tardivamente con conseguente inutilizzabilità delle argomentazioni nuove non aventi carattere meramente illustrativo (cfr. da ultimo Cass. 30760/18).

Comunque la Corte distrettuale ha esaminate le prove sia documentali che orali portate a sostegno del preteso acquisto del diritto di comproprietà sulle aree de quibus, ritenendo che le stesse fossero inidonee a provare il concretizzarsi e di una situazione di possesso – in relazione all’uso del servizio igienico e collocamento della fognatura – e di un possesso protratto ininterrottamente per un periodo di tempo apprezzabile, quindi anche ultradecennale, in relazione alle altre due condotte indicate siccome lumeggianti il compossesso ad usucapionem. Alcun rilievo assumono nella causa petitoria le decisioni rese in sede possessoria stante le caratteristiche fattuali e giuridiche assolutamente diverse dei due tipi di procedimento, poichè la Corte felsinea nella specie ha puntualmente esaminate le emergenze delle prove acquisite in questo procedimento e ha escluso la configurabilità, nel corso degli anni, di esercizio del possesso utile all’usucapione, restando quindi irrilevante la configurabilità dell’ipotesi di usucapione ordinaria o abbreviata.

Dunque non appare concorrere alcuna omessa valutazione di fatto decisivo, anche perchè detto vizio non s’attaglia ad – eventuale – errore nell’attività di valutazione delle prove assunte.

Al rigetto del ricorso segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna della srl Mini Casa a rifondere, alla sas Immobiliare Eva, le spese di questo giudizio di legittimità, tassate in globali Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario, siccome precisato in dispositivo. Concorrono i requisiti per il raddoppio del contributo unificato a carico della società ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione verso la società resistente delle spese di questo giudizio di legittimità,liquidate in globali Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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