Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13501 del 20/05/2019

Cassazione civile sez. II, 20/05/2019, (ud. 10/01/2019, dep. 20/05/2019), n.13501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6449/2015 proposto da:

F.N., e G.N., rappresentati e difesi dagli Avvocati

CLAUDIO VERGINE e ANGELO SCARPA, ed elettivamente domiciliati presso

lo studio del secondo in ROMA, VIA TEULADA 52;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di MUGGIA, in persona del Sindaco legale rappresentante pro

tempore Dott. N.N., rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANDREA CRISMANI e STEFANO GATTAMELATA, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio del secondo in ROMA, VIA di MONTE FIORE 22;

– controricorrente –

e contro

ACEGAS APS s.p.a., (oggi ACEGASAPSAMGA s.p.a. con socio unico) e

A.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 38/2014 della CORTE di APPELLO di TRIESTE,

pubblicata il 24/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/01/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione in data 24.8.2006, F.N. e G.N. convenivano innanzi al Tribunale di Trieste il COMUNE di MUGGIA e ACEGAS APS s.p.a. chiedendo: a) di accertare e dichiarare che i convenuti avevano, senza titolo, quanto al primo, proceduto alla posa nella proprietà attorea del pozzetto, tubature e annesso contatore e, quanto alla seconda, al suo utilizzo, anche mediante illegittimo accesso di proprio personale nella proprietà attorea; b) di accertare e dichiarare che non era stata costituita servitù di posa del pozzetto e del contatore, nè di accesso di personale dei convenuti nella proprietà attorea; c) di condannare i convenuti a rimuovere dalla proprietà attorea il detto manufatto con accessori, con obbligo della messa in pristino, e loro interdire l’accesso nella proprietà attorea; d) di condannare i convenuti in solido al risarcimento del danno patrimoniale per l’attività legale stragiudizialmente svolta nell’ammontare di Euro 500,83, oltre che del danno morale, riservandone la quantificazione in corso di causa; e) con vittoria di spese.

Si costituiva in giudizio ACEGAS APS s.p.a., chiedendo il rigetto di tutte le domande attoree e di accertare l’intervenuta usucapione del diritto di servitù di acquedotto e di passaggio di acque a carico del fondo di proprietà degli attori. In via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento delle istanze attoree, chiedeva di accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva del Comune di Muggia in ordine ai fatti di causa e condannare il medesimo a tenere indenne ACEGAS APS s.p.a. rispetto a qualsiasi somma che quest’ultima fosse eventualmente tenuta a corrispondere.

Si costituiva anche il Comune di Muggia, il quale, in via preliminare, eccepiva il difetto di legittimazione, nonchè il difetto di giurisdizione/competenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria a favore del Tribunale Regionale delle Acque; chiedeva di respingere le istanze attoree per avere il Comune di Muggia acquistato per usucapione il diritto di servitù di passaggio di acque pubbliche e di posa del pozzetto; in via riconvenzionale, chiedeva di accertare l’acquisto per usucapione della servitù di passaggio delle acque pubbliche e di posa del pozzetto.

Il G.I., all’udienza del 24.1.2008, ordinava l’intervento in causa di A.I., ritenendo che la causa fosse ad essa comune ex art. 107 c.p.c., in quanto titolare del contratto di fornitura d’acqua connesso con il pozzetto e il misuratore oggetto di causa.

Si costituiva in giudizio A.I., la quale chiedeva di accertare e dichiarare l’efficacia delle ordinanze, ormai definitive, del Tribunale di Trieste dell’1.2.2007, in composizione monocratica e del 12.12.2007, in composizione collegiale, quantomeno nei rapporti tra F. – G. e A.; nell’ipotesi di accoglimento della domanda degli attori, uniformare tale declaratoria con l’ordine di reintegrazione dell’1.2.2007 e del 26.3.2007, con le modalità attuative di cui all’ordinanza collegiale del 12.12.2007; in via gradata, accertare e dichiarare il diritto, pacifico e non condizionato, della A. ad accedere al pozzetto contenente il contatore Acegas e, in caso di spostamento, ordinarsi che venisse collocato nella sua proprietà, nel luogo indicato nella piantina di cui all’allegato n. 8, a spese dei F. – G..

Con la sentenza n. 1302/2011 del 22.11.2011, il Tribunale di Trieste accertava che il Comune di Muggia aveva esercitato per un tempo ultra ventennale la servitù di acquedotto sul fondo degli attori e a vantaggio del fondo del terzo chiamato mediante l’apposizione e il mantenimento di condotta idrica e di un pozzetto per l’ispezione di una valvola e di un contatore, tempo utile al fine dell’usucapione; dichiarava l’avvenuto acquisto per usucapione della servitù sopra descritta da parte del Comune di Muggia; respingeva tutte le domande degli attori e le eccezioni e le altre domande avanzate dai convenuti e dalla terza chiamata; condannava gli attori al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta sentenza proponevano appello i F. – G., chiedendone l’integrale riforma, lamentando che: a) il Tribunale avesse omesso di considerare le risultanze istruttorie, da cui si evinceva che il pozzetto in questione non fosse il medesimo al quale avevano fatto riferimento i testimoni; b) che il Giudice di primo grado avesse arbitrariamente affermato che il pozzetto e la conduttura d’acqua potessero essere qualificati come “opere visibili e permanenti” nell’accezione di cui all’art. 1061 c.c., da cui potessero evincersi l’apparenza della servitù e la sua idoneità a essere usucapita; c) che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto che il Comune di Muggia potesse essere qualificato come il soggetto titolare di una servitù a favore del terzo proprietario del fondo dominante, laddove il Comune era solo il proprietario delle tubature idriche; d) che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto che il Comune di Muggia avesse fornito valida prova del possesso continuativo per venti anni, come richiesto dall’art. 1158 c.c.; e) infine, che il Tribunale avesse errato nel ritenere possibile, in regime tavolare, l’acquisto per usucapione in forza dell’accessione nel possesso da parte del Comune di Muggia, dell’Acegas e della A..

Si costituiva il Comune di Muggia chiedendo il rigetto del gravame e, in via subordinata, in caso di accoglimento dell’appello, disporsi che lo spostamento delle opere venisse posto a carico dell’Acegas Aps, sulla base del contratto di concessione.

Si costituivano altresì A.I. e Acegas Aps, chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 34/2014, depositata in data 24.1.2014, la Corte d’Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trieste, che confermava nel resto, dichiarava l’usucapione ivi pronunziata, senza la precisazione “a vantaggio del fondo del terzo chiamato”; compensava le spese di lite di primo e secondo grado tra attori/appellanti e terza chiamata; condannava gli appellanti al pagamento delle spese del grado in favore del Comune di Muggia e di Acegas.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione i F. – G., sulla base di tre motivi; resiste il Comune di Muggia con controricorso; gli intimati Acegas Aps e A.I. non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione degli artt. 1027 e/o 1031 e/o 1061 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e/o dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto la Corte di merito, erroneamente interpretando le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione, ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado, limitandosi a eliminare il riferimento al titolare del fondo dominante ( A.), unico cui è funzionale il passaggio della conduttura. Così facendo la Corte medesima ha affermato implicitamente che il diritto di servitù di acquedotto dovrebbe essere riconosciuto in capo al proprietario del manufatto (pozzetto e conduttura idrica), anzichè al titolare del fondo a cui essa serve; ha cioè erroneamente escluso dagli elementi costituivi della fattispecie quello della predialità della servitù. Se invece la Corte, stravolgendo la domanda del Comune di Muggia (quindi, in violazione dell’art. 112 c.p.c.), avesse inteso costituire una servitù c.d. “irregolare”, la sentenza sarebbe comunque viziata, in quanto quel genere di servitù non rientra tra i diritti reali, bensì tra i diritti relativi e, di conseguenza, non potrebbe essere usucapita.

1.1. – Il motivo non può essere accolto.

1.2. – La Corte di merito ha correttamente applicato il principio consolidato (estensibile anche alle tubazione del gas) secondo cui la titolarità della servitù attiva di acquedotto postula la proprietà degli impianti e della rete di distribuzione dell’acqua, sicchè tale ius in re aliena non è configurabile sulla base dell’utenza del servizio di fornitura idrica (Cass. n. 8815 del 2003; Cass. n. 1991 del 1980; Cass. n. 2078 del 1974). Pertanto, l’azione volta ad ottenere l’accertamento della inesistenza della servitù di apporre le tubature e la conseguente condanna alla loro rimozione va proposta non nei confronti dell’utente del servizio di fornitura comproprietario del muro, che è privo di legittimazione passiva, ma nei confronti dell’ente erogatore del gas, quale proprietario del fondo dominante costituito dall’impianto di distribuzione (Cass. n. 22050 del 2018; Cass. n. 11784 del 2006).

Sotto questo profilo, dunque, il motivo non è fondato, conformandosi, peraltro, la Corte di merito anche al consolidato orientamento di legittimità per il quale è usucapibile, per decorrenza del termine ventennale, la servitù di acquedotto da parte dell’Ente che sia titolare degli impianti e della rete di distribuzione (Cass. n. 14384 del 2010; Cass. n. 8815 del 2003, cit.).

Infatti, condizione necessaria per l’acquisto di tale diritto di servitù è (come detto) la proprietà degli impianti e non, come erroneamente indicato dai ricorrenti, la titolarità del fondo dominante.

1.3. – Quanto alla dedotta censura circa la non usucapibilità delle servitù irregolari, si rileva che questa risulta inammissibile, trattandosi di questione di diritto nuova, di cui la sentenza impugnata non parla ed il ricorso non indica (come doverosamente viceversa dovuto) dove e quando essa sarebbe stata proposta nel corso del giudizio di merito. Trattasi, infatti, di una mutatio libelli, da parte dei ricorrenti, che comporta la diversità dei fatti costitutivi e la necessità di nuovi temi di indagine, su cui sviluppare il contraddittorio delle parti (Cass. n. 6389 del 2017; Cass. n. 14261 del 2007). Laddove il tema del vantaggio del terzo formava oggetto di dibattito in appello (v. sentenza impugnata pag. 5).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione dell’art. 1061 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, poichè, con riferimento alla censura mossa dagli appellanti circa la non apparenza della servitù, la Corte di merito ha motivato che, quanto alla visibilità delle opere, bastasse avere riguardo alla documentazione fotografica prodotta dagli stessi appellanti, senza indicare da quale documento risultasse provata l’apparenza della servitù. Si tratterebbe di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (sub specie motivazione meramente apparente), “che persino alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e dell’art. 348 ter c.p.c., non può che portare all’annullamento della sentenza”.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – A prescindere dalla non comprensibilità del richiamo all’art. 348 ter c.p.c., art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 4 gennaio 2014) consente (Cass. n. 8053 e n. 8054 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

2.3. – Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i ricorrenti avrebbero, dunque, dovuto specificamente e contestualmente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Viceversa, nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter accedere all’esame del parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non v’è traccia. Sicchè, le censure mosse in riferimento a detto parametro si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente. Inoltre, è noto che l’accertamento del requisito dell’apparenza è riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito che, correttamente motivato, è sottratto ad ogni sindacato da parte della Corte di legittimità (Cass. n. 8736 del 2001; Cass. n. 8633 del 1998; Cass. n. 3405 del 1996).

In ogni caso, poi, neppure potrebbe farsi riferimento ad una (asserita ma non provata) decisività del fatto per la soluzione della controversia, dato che per l’usucapione della servitù di uso pubblico, non è necessario il requisito dell’apparenza (Cass. n. 20138 del 2011; Cass. n. 3024 del 2005).

Da ciò, l’inammissibilità della dedotta violazione dell’art. 1061 c.c..

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la “Violazione dell’art. 1146 c.c., comma 2 e/o R.D. n. 499 del 1929, art. 5e/o art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e/o violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e/o difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. I medesimi, nell’atto di appello, si erano lamentati della violazione del R.D. n. 499 del 1929, art. 5 (“principio di buona fede tavolare”), dell’art. 1158 c.c. (possesso ventennale) e dell’art. 1146 c.c. (accessione nel possesso). In particolare, evidenziavano di avere acquistato il fondo su cui insiste il pozzetto nel 1981, libero da pesi o gravami, sulla fede di libri tavolari e che il Comune di Muggia aveva provato, tramite i propri testi, che l’antico pozzetto contatori non esisteva più e che era stato posto in opera un nuovo pozzetto contenente un unico contatore e che con il contratto stipulato nel 2000 il Comune suddetto si era spossessato dell’acquedotto di proprietà immettendone nel possesso Acegas, con la conseguente interruzione dei termini per usucapire. La Corte di merito, su questi punti, ha motivato ritenendo irrilevante il riferimento al regime tavolare, poichè l’usucapione si era comunque maturata dopo l’acquisto del fondo da parte degli appellanti. I ricorrenti deducono, quindi, la violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che su alcune domande (applicabilità del R.D. n. 499 del 1929, art. 5; art. 1146 c.c., in regime tavolare, mancato compimento del ventennio) non vi era stata di fatto alcuna pronuncia; nonchè la motivazione apparente, che deve portare all’annullamento della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Alternativamente, gli stessi rilevano che la statuizione debba essere cassata per violazione dell’art. 1146 c.c.e/o R.D. n. 499 del 1929, art. 5 e/o art. 1158 c.c.: in regime tavolare, per un verso l’acquisto viene eseguito sulla base della fede del Libro Tavolare (nella fattispecie libero da servitù), per altro verso, non è applicabile l’istituito dell’accessione nel possesso, previsto dall’art. 1146 c.c.. Dal momento che l’acquisto della proprietà del fondo dei ricorrenti avveniva nel 1981 e il possesso della conduttura veniva trasferito dal Comune ad Acegas nel 2000, il Comune di Muggia aveva esercitato il possesso ad usucapionem per 19 anni e quindi per un periodo inferiore a quello previsto dall’art. 1158 c.c..

3.1. – Il motivo va rigettato.

3.2. – Come già affermato da questa Corte (Cass. n. 15020 del 2013; conf. Cass. n. 10875 del 2018, entrambe in motivazione), ai sensi del R.D. 28 marzo 1929, n. 499, art. 2, il diritto di proprietà e gli altri diritti reali immobiliari non si acquistano per atto fra vivi se non con l’iscrizione nel libro fondiario. Per contro gli acquisti a titolo (derivativo mortis causa, oppure) originario non sono soggetti a tale regola, con la conseguenza che la loro eventuale pubblicità non ha efficacia costitutiva, ma solo dichiarativa. L’esistenza di diritti extra tavolari, come tali sottratti al principio dell’iscrizione, importa che la certezza della pubblica fede del libro fondiario in ordine alle vicende traslative ivi iscritte non si estende alla completezza delle sue informazioni, visto che un diritto extra tavolare può sorgere e sussistere senza che se ne dia pubblicità.

In base all’art. 5, comma 3, R.D. cit., restano però salvi in ogni caso i diritti dei terzi acquistati sulla fede del libro fondiario anteriormente all’iscrizione o cancellazione, o all’annotazione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’iscrizione dell’usucapione o la cancellazione dei vincoli. Tale norma disciplina il conflitto fra l’acquirente per atto tra vivi e colui che abbia acquistato un diritto extra tavolare incompatibile, e lo risolve dando la prevalenza alla priorità dell’intavolazione, purchè assistita dalla buona fede del soggetto a favore del quale è effettuata; di talchè è onere di chi sostiene di aver usucapito un immobile provare che colui che ha acquistato il medesimo bene dal titolare in base al libro fondiario era in malafede, essendo stato a conoscenza della sussistenza dell’usucapione maturata, ma non giudizialmente dichiarata ed iscritta, o essendo stato in grado di apprendere ciò facendo uso dell’ordinaria diligenza (cfr. Cass. n. 6393 del 2011; Cass. n. 9735 del 2002).

Allorchè, invece, come nella fattispecie, non venga in rilievo un conflitto di acquisti fra loro contraddittori, di che occorra stabilire la prevalenza dell’uno sull’altro, ma sorga un problema di concorso tra diritti “non incompatibili”, l’uno intavolato e l’altro extra tavolare, come appunto nel caso di servitù, non è applicabile l’art. 5, comma 3, cit. e non viene in rilievo, di conseguenza, l’atteggiamento soggettivo di colui il quale abbia acquistato la proprietà sulla base della fede del libro fondiario. Nè la contraddittorietà fra l’uno e l’altro diritto può farsi discendere dal fatto che la proprietà del fondo servente sia stata acquistata dal dante causa “libera da pesi o gravami”; l’assenza dei quali è oggetto non già di un diritto reale uguale e contrario a quello di servitù costituito per usucapione a favore del fondo dominante, ma di un’obbligazione del venditore, il quale, dichiarando che sul fondo alienato non gravano diritti reali limitati, si assume la relativa garanzia ai sensi dell’art. 1489 c.c..

3.3. – Nella specie, la seppur sintetica motivazione della Corte di merito si fonda sull’assunto implicito (ma coerente al sistema) della esclusione che la intavolazione dell’acquisto operato dagli attori avesse valore interruttivo dell’usucapione in corso. Trattasi di apprezzamento di fatto, riservato all’indagine del giudice di merito (basato sulle stesse circostanze dedotte dagli attori). D’altronde, emerge dagli atti che la situazione dei luoghi fosse tale che i ricorrenti medesimi sarebbero stati in grado di rendersi conto dell’altrui possesso ovvero che, usando l’ordinaria diligenza, avrebbero dovuto rendersi conto che quanto in contestazione fosse compreso nel fondo oggetto dell’acquisto (cfr. Cass. n. 29089 del 2017, cit., in motivazione).

E’, infine, fuori luogo il richiamo all’accessione, giacchè correttamente la Corte di merito ha considerato il possesso del Comune di Muggia protrattosi per un periodo successivo all’acquisto da parte degli appellanti nel 1981, ed ha confermato l’avvenuto acquisto per usucapione in favore del Comune medesimo e non di altri.

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla refusione delle spese di lite in favore di parte controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2019

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