Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 135 del 04/01/2011

Cassazione civile sez. I, 04/01/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 04/01/2011), n.135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Marra Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli n.

3567/07 depositato il 28 aprile 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 10 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. ZANICHELLI

Vittorio.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.V. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 3.312 per anni quattro e mesi cinque di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania dal 3.2.2000 al 10.7.2007.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 è inammissibile per inidoneità del quesito. Posto invero che “Il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso” (Cassazione civile, sez. 3, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, con i quali si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione deducendosi che la Corte d’appello non avrebbe correttamente determinato la durata del processo sulla quale parametrare il danno in quanto ha ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare (Indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte Europea sono manifestamente infondati alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte Europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione Europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Con il quarto e il quinto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi già affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralità dell’occupazione e sulla relativa opportunità di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’Indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001” (Cassazione civile, sez. 1, 12 gennaio 2009, n. 402).

Gli ulteriori motivi con i quali ci si duole dell’avvenuta compensazione delle spese fondata unicamente sulla mancata opposizione all’accoglimento della domanda da parte dell’Amministrazione.

I motivi sono manifestamente fondati in quanto è principio già acquisito quello secondo cui “I giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e seg. c.p.c., trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano, secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito. Ne consegue che la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione convenuta, non implicando acquiescenza alla pretesa dell’attore, non è sufficiente di per sè a giustificare la compensazione delle spese processuali, la quale postula che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione in tal senso, dal momento che è pur sempre da una colpa organizzativa dell’Amministrazione della giustizia che dipende la necessità per il privato di ricorrere al giudice. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1101 del 22/01/2010).

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto l’Amministrazione condannata alla rifusione delle spese della fase di merito liquidate come in dispositivo.

L’accoglimento solo parziale del ricorso giustifica la compensazione in ragione della metà delle spese di questa fase che, per il residuo, debbono essere poste a carico del Ministero soccombente.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 873, di cui Euro 445 per onorari, Euro 378 per diritti e Euro 50 per spese, oltre spese generali e accessori di legge, nonchè della metà delle spese del giudizio di legittimità, che per l’intero liquida in complessivi Euro 700, di cui Euro 600 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, dichiarando compensato il residuo;

spese di entrambi i gradi distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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