Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13499 del 30/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 30/06/2016), n.13499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina L. – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22388-2014 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato MICHELA REGGIO D’ACI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO

CIMINO, ALESSANDRO PIZZATO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A., N.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1278/2014 del TRIBUNALE di VICENZA del

14/04/2014, depositata il 02/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato Antonio Cimino difensore del ricorrente che si

riporta al ricorso ed alla memoria.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione 1. “Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Vicenza, ha rigettato l’appello proposto dal geometra V.G. nei confronti delle signore R.A. e N.A., avverso la sentenza n.57/2010 del Giudice di Pace di Lonigo, con la quale era stata accolta la domanda di queste ultime di condanna del professionista al risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale (con riferimento all’attività di direttore dei lavori per un intervento edilizio all’interno di un immobile di cui la prima era nuda proprietaria e la seconda usufruttuaria).

2. Il ricorso per Cassazione C svolto con due motivi. Le intimate non si difendono.

3. Col primo motivo è dedotto L’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente, al fine di censurare i motivi rigettati in appello, assume che “il fatto storico dedotto in giudizio e non considerato dal Giudice è che li soppalco (rectius “ripostiglio”) richiesto dalle signore R. e N. non era autorizzabile nè sanabile e che tale circostanza era stata comunicata dal professionista alle clienti; e che la sanatoria è stata rilasciata per un’opera diversa e mai commissionata al professionista, cioè per un “vano tecnico” che è opera completamente differente dal “soppalco” (rectius “ripostiglio)”.

A fondamento di questa censura il ricorrente pone un'(asserita) inesatta ricostruzione dei fatti da parte del giudice di pace, cui sarebbe seguita l’altrettanto (asserita) inesatta ricostruzione dei fatti da parte del tribunale, mediante rinvio alla prima sentenza.

Svolge quindi una serie di considerazioni concernenti le differenze tra un vano accessorio ad uso ripostiglio posto su soppalco (quale quello che, a suo dire, gli sarebbe stato chiesto dalle clienti, ricevendo il suo rifiuto) ed il vano tecnico (quale quello che, a suo dire. sarebbe stato realizzato ad iniziativa della committenza e poi sanato con l’intervento di altro professionista).

Il ricorrente sostiene che la decisione sarebbe sorretta da un’illogica ed insufficiente motivazione. avendo il tribunale irrazionalmente dedotto da una sanatoria rilasciata per un vano tecnico, la sanabilità di un’opera diversa quale quella di soppalco (uso ripostiglio), laddove il ripostiglio non sarebbe stato sanabile come tale ed egli dì citi avrebbe informato le committenti.

Secondo il ricorrente le prove documentali e testimoniali assunte in primo grado dimostrerebbero sia che la sanatoria sarebbe stata richiesta per un ripostiglio e rilasciata per un vano tecnico (opera, quest’ultima, che non gli sarebbe mai stato chiesto di realizzare) sia che egli avrebbe fatto presente alle committenti che il ripostiglio non era realizzabile ed addirittura avrebbe dato disposizioni per la sua chiusura (dopo che il vano sarebbe stato realizzato a sua insaputa).

3.1.- Il motivo è inammissibile.

Esso è basato sulle risultanze della prova documentale e di quella testimoniale concernenti – per stessa ammissione del ricorrente –

proprio il fatto storico su cui è basata la decisione impugnata. Il ricorrente pretende un nuovo esame della detta prova al fine di concludere nel senso che egli non sarebbe stato responsabile della realizzazione di un’opera non compresa nell’originaria DIA nè di errate informazioni tecniche in punto di sanabilità dell’opera nei confronti delle committenti.

Trattasi all’evidenza di censura non riconducibile alla disposizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, dato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Cass. S.U. n. 8053/14). A maggior ragione, il vizio non è nemmeno sussumibile nel nuovo testo normativo, laddove si lamenti, come nella specie, l’errata od incompleta valutazione di siffatte risultanze.

4.- Col secondo motivo, è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 342 c.p.c., in quanto secondo il ricorrente, il Tribunale di Vicenza, erroneamente affermando che l’appellante aveva richiamato genericamente argomentazioni in atti e i motivi di primo grado, avrebbe reso una decisione non chiara, perchè non seguita dalla statuizione di inammissibilità dell’appello.

Nel formulare questa censura, il ricorrente ribadisce che le contestazioni svolte avverso la sentenza di primo grado sarebbero state sviluppate in maniera chiara ed esaustiva nell’atto di appello.

4.1.- Il motivo è inammissibile, perchè rivolto avverso un’affermazione del Tribunale priva di valenza decisoria.

Infatti, come riscontrato dallo stesso ricorrente, il Tribunale non ha richiamato l’art. 342 cod. proc. civ. al fine di addivenire ad una pronuncia di inammissibilità dell’appello. Piuttosto, considerato il tenore dell’intera motivazione, l’affermazione del giudice d’appello qui censurata appare rivolta a sorreggere la decisione di conferma della ricostruzione dei fatti e delle conclusioni tratte dal primo giudice, in quanto non validamente contrastate, nel merito (e non sotto il profilo formale), da parte dell’appellante.

In conclusione, si propone la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso”.

La relazione è stata notificata come per legge.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto della relazione.

L’esame degli argomenti esposti nella memoria non offre elementi per modificare la proposta del relatore, riproducendo le deduzioni, in fatto ed in diritto, confutate nella memoria quanto all’interpretazione da darsi al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012.

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità poichè le intimate non si sono difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile – 3 della Corte suprema di cassazione, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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