Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13497 del 29/05/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13497 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 19418-2011 proposto da:
GASPARINI ROSELLA GSPRLL50C56H575Q, SCHIAVETTI
ALESSANDRO SCHLSN82A27H501Y, nella loro qualità di eredi di
Schiavetti Emilio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE
DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI
ANGELOZZI, che li rappresenta e difende giusta procura a margine
del ricorso;

– ricorrenti contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del suo Presidente legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI
CALIULO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN,

Data pubblicazione: 29/05/2013

GIUSEPPINA GIANNICO giusta procura speciale in calce al
controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 2081/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’Il /04/2013 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito l’Avvocato GIOVANNI ANGELOZZI difensore dei ricorrenti
che ha chiesto la trattazione del ricorso in P.U.;
udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI difensore del
controricorrente che si è riportato alla memoria.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI
che si riporta alla relazione.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, Schiavetti
Emilio, dipendente dell’Istituto Mobiliare Italiano (I.M.I.), conveniva
in giudizio l’I.N.P.S., per ottenere del diritto alla maggiorazione
contributiva L. n. 257 del 1992, ex art. 13, comma 8, in relazione alla
dedotta esposizione ultradecennale a fibre di amianto aerodisperse
nell’ambito dell’edificio sito in Roma, via dell’Arte 25, dove aveva
prestato attività lavorativa dal maggio 1975 al novembre 1999. Il
Tribunale rigettava la domanda e la decisione veniva conferma dalla
Corte di appello di Roma. Osservava la Corte territoriale che dalla
espletata c.t.u. fosse rimasta esclusa l’esposizione dello Schiavetti
(deceduto nelle more del giudizio di appello) per un periodo
ultradecennale al rischio morbigeno rilevante ai fini di causa.
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ROMA del 4/03/2011, depositata il 24/03/2011;

Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorrono
Alessandro Schiavetti e Rosella Gasparini (quali eredi di Emilio
Schiavetti) affidandosi a tre motivi.
L’I.N.P.S. resiste con controricorso.
Con primo motivo i ricorrenti denunciano: “Omessa, insufficiente

il giudizio, con particolare riferimento al disposto di cui agli artt. 116 e
132 cod. proc. civ. (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)”. Si dolgono del fatto
che la Corte territoriale, con motivazione eccessivamente sintetica, non
abbia spiegato l’infondatezza dei rilievi critici sollevati avverso
l’elaborato peritale, né abbia disposto la nomina di un ingegnere
chimico per accertare le tecniche ricostruttive del palazzo e verificare,
in base ad esse, l’utilizzo dell’amianto quale coibentante non solo delle
strutture portanti ma anche delle pareti divisorie, dei controsoffitti,
della moquette. Censurano, inoltre, l’accertamento tecnico recepito
dalla statuizione, per non essere stata confacentemente delineata
l’esposizione morbigena dello Schiavetti al rischio asbesto correlato, né
i valori di fibre presenti nell’ambiente di lavoro.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa
applicazione del combinato disposto di cui all’art. 13, comma 8, della
legge n. 257 del 1992 ed al d.lgs. n. 277 del 1991 e successive
modifiche ed integrazioni in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.”.
Osservano che non esisteva alcuna soglia minima di esposizione
all’amianto fino alla novella del 2003 e che comunque il verbale
dell’USL del 1987 aveva attestato l’esposizione ambientale in misura
tale da richiedere la decontaminazione del sito.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano: “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc.
civ.)”. Osservano che la Corte di merito, con erronea valutazione, ha
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e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per

omesso di porre a fondamento del proprio convincimento il verbale
dell’USL del 18 luglio 1987, che aveva disposto la decontaminazione
dell’edificio, sebbene si trattasse di atto pubblico, assistito da
presunzione di legittimità ed avente l’efficacia probatoria prevista
dall’art. 2700 cod. civ..

La Corte territoriale, pur con motivazione estremamente sintetica,
ha esaminato e valutato le osservazioni critiche rivolte alla c.t.u.,
ritenendole inidonee a contrastarne efficacemente le conclusioni. Né i
ricorrenti, in riferimento à denunciati “palesi” vizi dell’elaborato
peritale, hanno provveduto a trascrivere in ricorso le parti oggetto di
censura, come imponeva il principio di autosufficienza del ricorso, in
tal modo non consentendo a questa Corte di legittimità di verificare se,
rispetto alle argomentazioni e valutazioni del consulente officiato nel
corso del giudizio, gli stessi fossero di rilievo tale da imporre, come
richiesto dall’appellante, un supplemento di indagine tecnica. Peraltro,
poiché, in linea di principio, anche un medico chirurgo può essere
provvisto delle conoscenze ed esperienze sufficienti a valutare quale
possa essere la incidenza sui lavoratori operanti in un edificio, in cui
non si svolgono operazioni industriali e produttive, della presenza di
fibre di amianto nei materiali impiegati ai fini di isolamento, le
lamentate lacune delle indagini compiute andavano puntualmente
indicate laddove, nella specie, i ricorrenti si sono limitati a deduzioni
del tutto generiche ed ipotetiche, senza concreto riferimento a quei
dati che avrebbero giustificato specifici approfondimenti.
Anche il secondo è infondato.
Lo stesso, infatti, contrasta con consolidati precedenti di questa
Suprema Corte e, in particolare, con l’arresto secondo cui il disposto
della legge n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, deve essere interpretato
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Il primo motivo è infondato.

nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto spetta unicamente
ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti e
alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di
dieci anni (periodo in cui vanno valutate le pause fisiologiche, quali
riposi, ferie e festività) un’esposizione a polveri di amianto superiori ai

22 dicembre 2006 n. 27451; id. 15 aprile 2009 n. 8914; 2 agosto 2010
n. 17988; 11 luglio 2012 n. 11677; 14 giugno 2012 n. 9704; 12 luglio
2012n. 11908).
Questa linea interpretativa (che si collega con l’orientamento del
Giudice delle leggi che ha ripetutamente rilevato, con le sentenze nn.
5/2000 e 434/2002, che la norma in esame ha una portata precettiva
delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di
esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle
potenzialità morbigene dell’amianto contenuti nel d.lgs. n. 277 del
1991, e successive modifiche) si riconnette all’esigenza di individuare
una soglia di esposizione al rischio che valga a dare concretezza alla
nozione di esposizione all’amianto presa in considerazione dalla
disposizione di legge, che non contiene, nella mera formulazione
letterale, quegli elementi di delimitazione del rischio, quali sono,
invece, rappresentati, nella previsione del comma 6, dal particolare tipo
di lavorazione (nelle cave o nelle miniere di amianto), o in quella del
comma 7, dall’insorgenza di una malattia professionale correlata
all’esposizione stessa.
In tal contesto si è, quindi, precisato, con orientamento che può
ritenersi ormai acquisito, che del riferimento complessivo al d.lgs. n.
277 del 1991, artt. 24 e 31, è rilevante in concreto il dato emergente
dalla prima norma, la quale indica (o meglio, indicava, stante
l’abrogazione di tutto il capo 3 del d. lgs. n. 277 del 1991,
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limiti previsti dal d.lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 (v., ex multis, Cass.

comprendente sia l’art. 24 che l’art. 31, da parte del d.lgs. 25 luglio
2006, n. 257, art. 5, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria
2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina nel
d. lgs. n. 626 del 1994) il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro
cubo, in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore, quale soglia il

lavoro come esposta ad un rischio qualificato e concreto, richiedente
l’adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio (quali
l’obbligo di notifica all’organo di vigilanza, l’informazione periodica al
lavoratore circa i rischi, la delimitazione dei luoghi esposti al rischio,
con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione in favore
dei lavoratori dei mezzi individuali di protezione, la misurazione
periodica dei livelli di esposizione, l’apprestamento di particolari
misure in ordine agli indumenti di lavoro) – cfr. in tal senso Cass.
16256/2003; Cass. 16119/2005; Cass. 400/2007; Cass. 18495/2007;
Cass. 29660/2008; Cass. 849/2009; Cass. 4650/2009; Cass.
17916/2010; Cass.21089/2010 -.
Merita soggiungere che il d.lgs. n. 626 del 1994, art. 59-decies,
introdotto dal d.lgs. n. 257 del 2006, art. 2, ha ormai fissato (in
attuazione della già rammentata direttiva comunitaria) nel valore di 0,1
fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione ad amianto.
La stessa soglia è stata recepita, con utilizzazione di una diversa unità
di misura, dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (conv., con modificazioni,
nella legge n. 326 del 2003 ed il cui ambito di operatività è stato
ulteriormente precisato dalla legge n. 350 del 2003, art. 3, comma 132),
che, se ha modificato ratione temporis la portata e la misura del beneficio
contributivo accordato, ha, comunque, confermato la necessità, anche
con riferimento al periodo pregresso, di una soglia di esposizione
quantitativamente precisata (cfr. Cass. 21257/2004; Cass. 400/2007).
Ric. 2011 n. 19418 sez. ML – ud. 11-04-2013
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cui superamento implica la valutazione della relativa posizione di

Alla luce di tali precedenti, il ricorso non offre elementi per non
dare continuità all’orientamento già espresso dalla Corte.
Nella valutazione delle censure che precedono resta assorbito
l’esame dell’ultimo motivo di ricorso, comunque, non conforme alla
regola dell’autosufficienza non avendo la parte ricorrente riprodotto il

Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso
con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5″.
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le
considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto
condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di
legittimità in materia.
Né apporta elementi ammissibili la memoria depositata dai
ricorrenti corredata di documentazione che esula dai limiti tracciati
dall’art. 372 cod. proc. civ. in quanto diretta ad evidenziare la
sussistenza di rischio espositivo nei locali di lavoro frequentati dal
dante causa e dunque relative al merito della controversia. In ogni caso,
considerata la soglia il cui superamento implica la valutazione della
relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato e
concreto nei termini sopra precisati, è irrilevante la circostanza
dell’avvenuta effettuazione di un’attività di bonifica dell’edificio dal
materiale contenente amianto.
Quanto alle ulteriori deduzioni di cui alla memoria le stesse vieppiù
dimostrano che le censure mosse dai ricorrenti in realtà, più che
enucleare reali vizi o lacune nella motivazione della sentenza, tali da
rendere la decisione priva di razionale giustificazione, si risolvono,
attraverso la messa in discussione delle conclusioni del c.t.u., in critiche
strumentali ad una revisione del merito del convincimento del giudice

Ric. 2011 n. 19418 sez. ML – ud. 11-04-2013
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contenuto del documento su cui si fonda la doglianza.

e, per ciò stesso, incompatibili con il sindacato di sola legittimità
proprio del giudizio di cassazione.
Del resto è decisiva la considerazione che la consulenza tecnica
non è un mezzo di prova, bensì un mezzo istruttorio sottratto alla
disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del

compiuti e valutare l’opportunità di disporre indagini tecniche
suppletive o integrative di quelle già espletate, ovvero di sentire a
chiarimenti il consulente, nonché di procedere alla rinnovazione delle
indagini con la nomina di altri consulenti; e l’esercizio di tale potere
(così come il suo mancato esercizio) non può essere sindacato in sede
di legittimità sotto il profilo del difetto di motivazione salvo che non
vengano individuati gli specifici passaggi della sentenza idonei ad
inficiarne, anche per derivazione dal ragionamento del consulente, la
logicità. Peraltro, la confutazione delle contestazioni formulate nei
confronti della disposta consulenza d’ufficio è implicita nel giudizio di
piena attendibilità ed esaustività dell’elaborato tecnico – che la Corte di
merito ha espresso tenendo conto anche dei rilievi critici degli
appellanti – e di tale giudizio il giudice di appello ha dato congrua
giustificazione (con ciò sottraendosi alla censura di illogicità) riferendo
della correttezza della metodica seguita dal proprio ausiliare e
concludendo nel senso della non percorribilità dell’ipotesi di una
esposizione qualificata al rischio di inalazione di fibre di amianto.
Va, dunque, ritenuto che non sussistano motivi per discostarsi da
quanto osservato in sede di relazione e che pertanto il ricorso,
sussistendo il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la
definizione camerale del processo, soluzione condivisa dal Procuratore
generale, che ha aderito alla relazione.
4 – Conseguentemente, il ricorso va rigettato.
Ric. 2011 n. 19418 sez. ML – ud. 11-04-2013
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giudice, al quale spetta decidere sulla esaustività degli accertamenti già

5 – Alla pronuncia segue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali in favore dell’I.N.P.S. non ricorrendo le
condizioni previste per l’esonero dei soccombenti dal rimborso a
33o
– nna &Miti 152 digp, att. cod. proc. civ, nel ten -u tíAParafire,

Seguito delle modifiche apportate dall’art. 42 u_c_ del D.L. n. 269/2003,,

P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento,

in favore dell’I.N.P.S., delle spese processuali del presente giudizio di
legittimità che liquida in euro 50,00 per esborsi ed euro 2.000, 00 per
compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, 1’11 aprile 2013.

conv. in L. n. 326/2003.

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