Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13495 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/06/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 20/06/2011), n.13495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 79, presso lo studio dell’avvocato CIOCIOLA ROBERTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato NANGANO ANNA MARIA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (già Ferrovie dello Stato Società

di Trasporti e Servizi per Azioni), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2995/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/02/2006 r.g.n. 11059/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato CIOCIOLA ROBERTO;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega MORRICO ENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 29365/2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da S.F. nei confronti della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., intesa ad ottenere il riconoscimento dello svolgimento da parte della attrice, fin dal novembre 1989 e fino alla cessazione del servizio, delle superiori mansioni di dirigente con conseguente diritto al corrispondente trattamento economico, nonchè l’inquadramento definitivo, fin dal 1- 2-1990, nella qualifica di dirigente con diritto al corrispondente trattamento economico, e la condanna della società al pagamento in suo favore delle conseguenti differenze retributive, indennitarie e pensionistiche.

La S. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda e deducendo la erroneità della decisione sia in ragione della valutazione di rilevanza della prova orale acquisita dal teste D.S., sia, soprattutto, in ragione della errata valutazione di continenza da parte dell’area quadri, delle mansioni svolte dall’appellante quali emergenti dai documenti e dalle prove espletate.

La appellata si costituiva resistendo al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 17-2-2006, rigettava l’appello e compensava le spese.

In sintesi la Corte territoriale, analizzate le caratteristiche proprie delle declaratorie contrattuali dei dirigenti e dei quadri di 9A categoria e valutate le mansioni in concreto svolte, affermava che queste ultime, come emerse e descritte dalla stessa appellante, rientravano in quelle di quadro di 9A categoria.

La Corte di merito evidenziava poi che l’appellante non basava le sue rivendicazioni tanto sulle caratteristiche delle mansioni svolte quanto sull’articolazione organizzativa della struttura in cui era inserita ed affermava che irrilevante era la collocazione come “posizione di Staff, indicativa comunque di una funzione di tipo ausiliario, sia pure di alto livello, incompatibile con la funzione dirigenziale.

Per la cassazione di tale sentenza la S. ha proposto ricorso con due motivi.

La Rete Ferroviaria Italiana ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c, degli artt. 2103, 2094, 2095, 2097 c.c., nonchè dell’art. 1 ccnl 90/93 dei dirigenti ferrovieri e degli artt. 1 e 2 del Regolamento dei dirigenti (del 271/86), in sostanza lamenta che la Corte di merito non avrebbe dato “compiuta ragione della decisione”, attraverso il necessario accertamento “trifasico”, avendo trascurato il Regolamento dei Dirigenti (all. 85 ricorso di 1^ grado e all. 2 del ricorso per cassazione) che “specifica nel dettaglio le funzioni del dirigente stesso”.

Inoltre la ricorrente si duole che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che la “funzione di staff sarebbe “incompatibile con la funzione dirigenziale”, atteso che l’art. 1 del detto Regolamento prevede che i dirigenti “dirigono, coordinano, partecipano a staff, comitati e gruppi, sono preposti ad attività di studio, coordinamento, progettazione e, consulenza e ricerca”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito (v. Cass. 30-10-2008 n. 26234, Cass. 31-12-2009 n. 28284, Cass. 27-9-2010 n. 20272), “nel procedimento logico – giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalle individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. L’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione”.

Nella fattispecie la Corte di merito ha dapprima accertato, sulla base delle risultanze della prova testimoniale le mansioni concretamente svolte dalla S., analizzando le testimonianze della collega S. e del capo servizio D.S., ed evidenziando che, in base alle precisazioni fornite da quest’ultimo, era emerso che la S. poteva “adottare tutte quelle decisioni che non impegnavano il servizio rispetto alla Direzione Generale e, quindi, non richiedevano la formale approvazione” del capo servizio. La stessa “svolgeva anche funzioni di studio ed aveva rapporti con i fornitori, in via autonoma, per i problemi di gestione ordinaria, mentre, per la stipula dei contratti, lei istruiva la pratica, quindi relazionava al capo servizio e, quindi, l’approvazione competeva all’ufficio legale ed alla divisione”.

Tanto accertato la Corte territoriale ha quindi esaminato attentamente le declaratorie contrattuali, applicabili alla fattispecie ratione temporis, relative ai dirigenti FF.SS. e ai quadri della 9A categoria, ed infine ha concluso che “alla stregua delle richiamate declaratorie non appaiono di per sè rilevanti ai fini dell’inquadramento come dirigente, nè lo svolgimento di “attività che implicano facoltà di rappresentanza e funzioni di sovraintendenza, responsabilità, coordinamento, controllo, vigilanza e gestione delle risorse”, nè la preposizione ad impianti od unità organizzative di rilevante entità e/o complessità”, nè “la autonomia di iniziativa e di decisione, con connessa e diretta responsabilità sui risultati da conseguire, con discrezionalità di poteri, nei limiti delle direttive generali e per l’attuazione dei programmi, indirizzi e obiettivi fissati dall’Ente”, trattandosi di caratteristiche proprie anche della qualifica attribuita” alla S..

Tale motivazione risulta congrua e priva di vizi logici e resiste alla censura della ricorrente.

Peraltro, la argomentazione ulteriore contenuta nell’impugnata sentenza, concernente il fatto che la ricorrente non ha basato “le sue rivendicazioni tanto sulle caratteristiche delle mansioni svolte quanto sull’articolazione organizzativa della struttura in cui era inserita” e la conseguente affermazione secondo cui la collocazione in “posizione di staff sarebbe “incompatibile con la funzione dirigenziale”, è stata svolta dalla Corte di merito ad abundantiam.

di guisa che la censura rivolta contro la detta argomentazione risulta comunque inammissibile (v. Cass. 22-11-2010 n. 23635, Cass. 16-9-2010 n. 19588, Cass. 5-6-2007 n. 13068, Cass. 23-11-2005 n. 24591).

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando difetto di motivazione, in sostanza lamenta che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di considerare alcuni documenti allegati al ricorso di primo grado (in particolare ai nn. 16. 34, 35, 44, 47, 49, 51, 52,54), a suo dire significativi ai fini della responsabilità, della autonomia e della alta professionalità delle mansioni in concreto svolte.

Tale motivo è inammissibile in quanto privo di autosufficienza, non essendo stato riportato nel ricorso il contenuto dei documenti richiamati.

Come questa Corte ha più volte affermato “nel caso in cui, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’incongruità o l’illogicità della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali (nella specie documentali), è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti” (v. fra le altre Cass. 28-7-2004 n. 14262, Cass. 12-7-2005 n. 14601, Cass. 23-8- 2006 n. 18377).

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della società controricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente le spese, liquidate in Euro 26,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

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