Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13493 del 29/05/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13493 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: CURZIO PIETRO

ORDINANZA

sul ricorso 13587-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – società con socio
unico – in persona del Presidente del Consiglio dei
Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso
lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la
rappresenta e difende giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrente –

?013
?895

contro

CALABRITTO MAURIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA ENRICO FERMI 80, presso lo studio dell’avvocato
PESCE SALVATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato
CATANEO BENIAMINO giusta procura speciale a margine del

Data pubblicazione: 29/05/2013

controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 3082/2010 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI del 14/04/2010, depositata il 26/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 04/04/2013 dal Consigliere Relatore Dott.
PIETRO CURZIO;
è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO
PATRONE.

,

Ordinanza

Poste italiane propone un ricorso articolato in più motivi, concernenti il mancato
accoglimento dell’eccezione di mutuo consenso, la legittimità della apposizione del
termine in base a quanto previsto dalla contrattazione collettiva; Ti ius superveniens
costituito dall’art. 32 1. 183 del 2010.
Il lavoratore si difende con controricorso.
Poste ha depositato una memoria.
Il primo motivo, concernente il mancato accoglimento dell’eccezione di mutuo
consenso alla estinzione del contratto, è privo di fondamento. La relativa censura
viene proposta come vizio di “erronea motivazione”.
In effetti, come questa Corte ha costantemente rilevato, il giudizio sulla sussistenza di
un accordo per facta concludentia, sulla estinzione del contratto, viene devoluto al
giudice di merito, la cui valutazione si sottrae a censure in sede di controllo di
legittimità della decisione, se la motivazione non presenta i vizi indicati dall’art. 360,
n. 5 (tra le molte e tra le ultime, cfr. Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279, cui si rinvia per
ulteriori richiami).
Nel caso in esame la motivazione sussiste, è sufficientemente articolata ed è priva di
contraddizioni. Le critiche della società non integrano uno di questi vizi, i soli idonei
a comportare l’annullamento della decisioni ai sensi dell’art. 360, n. 5 cpc, ma
propongono una diversa valutazione nel merito, il che non è possibile in sede di
legittimità.
Quanto al problema posto con gli ulteriori motivi, la posizione articolata da Poste
italiane non è conforme alla giurisprudenza costante di questa Corte in controversie
del tipo di quella in esame: contratto a termine, stipulato ai sensi dell’accordo
integrativo del 25 settembre 1997, dopo la data del 30 aprile 1998.
Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni
ricordano che l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, nel demandare alla
contrattazione collettiva la possibilità di individuare -oltre le fattispe ‘

2835
J2

Poste italiane chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Napoli,
pubblicata il 25 maggio 2010, che, accogliendo il ricorso di Maurizio Calabritto, ha
dichiarato la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato tra
le parti con decorrenza dal 10 ottobre 2000 al 31 gennaio 2001 per ‘esigenze
eccezionali’, con i provvedimenti consequenziali.

tassativamente previste dall’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 e successive
modifiche nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito con
modificazioni dalla legge 15 marzo 1983 n. 79- nuove ipotesi di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in
bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione
di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge
(principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo
2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive
hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato
accordo integrativo del 25 settembre 1997.
Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadito la
legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in
particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate
le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente
ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante
degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere
a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono
discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di
quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad
assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al
30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio
secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto
comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si
deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e,
quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i
quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il
contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass.
n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).
La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di
una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale,
nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui
possano avere qualche effetto, anziché in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed
infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti
temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la
conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza
senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).
La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n.
18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti
come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio
2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e
cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che e

Deve invece essere accolto il motivo relativo alla quantificazione del risarcimento
del danno, essendo applicabile l’art. 32 della legge 183 del 2010 e quindi sul
punto la decisione deve essere cassata con rinvio.

PQM
La Corte accoglie il motivo di ricorso sul risarcimento del danno, rigetta gli altri.
Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa
composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sesta sezione civile del 4 aprile
2013

parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti,
con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la
suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris
dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere
che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento
dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro
pubblico, secondo la disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare
retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto
della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

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