Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13491 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. III, 20/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 20/06/2011), n.13491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.D. (OMISSIS), S.A. (OMISSIS),

F.A. (OMISSIS), FA.AN.MA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato GAETA ALESSANDRO,

rappresentati e difesi dall’avvocato PETRONE DAIBERTO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

CIDAS ASSICURAZIONI SPA, L.G. (OMISSIS),

C.G. (OMISSIS), FONDIARIA SAI SPA (OMISSIS),

C.E. (OMISSIS), R.M.T.

(OMISSIS), INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE

CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (OMISSIS), C.S.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 550/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione seconda civile, emessa il 26/02/2008, depositata il

04/04/2008; R.G.N. 1564/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato GAETA ALESSANDRO (per delega PETRONE DAIBERTO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Grosseto (sentenza del 3 marzo 2003) condannava gli eredi (la moglie S.A., in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore An.Ma., i figli D. e A.) di F.G. (deceduto per altra causa) al pagamento – in solido tra loro e con l’Assicurazione (CIDAS spa), garante per la responsabilità civile, tenuta oltre i limiti del massimale per interessi e maggior danno – di diversi importi a diverso titolo, in favore degli eredi (la moglie M.T. R., in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore G., i genitori C.A. e L.G., i fratelli S. e E.) di C.N., deceduto nel sinistro stradale, rispetto al quale accertava la responsabilità esclusiva del F.. Condannava, inoltre, gli stessi eredi, al pagamento di circa Euro 220.000,00, in via di surroga, in favore dell’INAIL. 2. In parziale accoglimento dell’appello proposto dagli eredi (la moglie S.A., i figli D. e A.) di F. G., dopo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Fa.An.Ma. (nel frattempo divenuta maggiorenne) e nella contumacia di C.A., L.G., S. C., e dell’Assicurazione, la Corte di appello di Firenze (sentenza del 4 aprile 2008): escludeva il danno patrimoniale riconosciuto a R.M.T. e C.G. (pari a circa Euro 173.000,00); escludeva la solidarietà tra gli eredi ( A. S., D., A. e A.M.) di F.G., che dichiarava tenuti, in ragione delle rispettive quote ereditarie, al pagamento di quanto spettante agli appellati; confermava nel resto la sentenza di primo grado.

3. Avverso la suddetta sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi (la moglie S.A., i figli D., A. e A. M.) di F.G., con quindici motivi di ricorso.

Gli intimati, Fondiaria Sai spa (incorporante la Polaris Assicurazioni, a sua volta sorta dalla fusione tra la CIDAS spa e la Sipea), l’INAIL e gli eredi (la moglie R.M.T., la figlia G., divenuta maggiorenne, i fratelli E. e S. contumace in appello e la madre L.G. contumace in appello) di C.N., nonchè gli stessi G., S., C.E. e L.G., in qualità di eredi di C.A. (padre di N., nelle more deceduto), non si sono difesi, benchè ritualmente intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. E’ applicabile ratione temporis l’art. 366-bis cod. proc. civ..

2. Il primo e secondo motivo, che per la loro stretta connessione possono trattarsi congiuntamente, sono inammissibili per due ragioni.

Entrambi i motivi concernono la “transazione” – quietanza, intervenuta dopo la sentenza di primo grado e prima dell’appello dei F., con la quale gli eredi C. accettavano la somma erogata dall’Assicurazione. Con il primo, si deduce la violazione degli artt. 1965, 1966 e 1967 cod. civ. nella parte in cui la Corte non ha considerato l’atto transattivo liberatorio anche nei confronti degli eredi C.; con il secondo, vizi motivazionali sempre rispetto alla quietanza-transazione. Le censure sono inammissibili, innanzitutto, per difetto del requisito di autosufficienza del ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Pur concernendo l’atto di quietanza-transazione, i ricorso ne riproduce letteralmente solo stralci; nè risulta specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto come si deve, secondo giurisprudenza consolidata, Sez. Un. 25 marzo 2010, n. 7161; per il profilo motivazionale, il principio è stato affermato ex art. 360-bis. cod. proc. civ., da Cass. 30 luglio 2010 n. 17915).

Inoltre, la questione, prospettata in riferimento all’intervenuto effetto liberatorio nei confronti di tutti gli obbligati in solido, è nuova rispetto a quanto chiesto in appello dagli stessi F., e cioè di “dichiarare che l’ammontare del risarcimento dei danni nella misura in concreto posta a carico dell’assicuratore …e da questi già liquidata, è esaustivo di ogni effettivo credito risarcitorio degli attori” (p. 19 ricorso).

3. Il terzo, quarto e quinto motivo censurano la sentenza nella parte in cui ha confermato la responsabilità esclusiva del F..

3.1. Con il terzo si deduce violazione di legge (artt. 115, 116 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 150 cod. pen., agli artt. 129, 359 e 411 cod. proc. pen.) per aver il giudice di merito utilizzato la relazione redatta dal consulente del P.M., nell’ambito di un procedimento estinto per morte del reo.

Il motivo va rigettato.

La Corte, nell’ambito della generale possibilità per il giudice civile di utilizzare prove raccolte in diverso giudizio, fra le stesse o altre parti, ha riconosciuto l’utilizzabilità della consulenza tecnica disposta dal P.M. in un procedimento penale (Cass. 2 luglio 2010, n. 15714; Cass. 20 dicembre 2001, n. 16069; Cass. 11 agosto 1999, n. 8585). Ciò che conta, ai fini del giudizio civile, è che la documentazione sia stata ritualmente acquisita al processo, in modo che le parti di quest’ultimo possano farne oggetto di valutazione critica e stimolarne la valutazione da parte del giudice (in part. Cass. 5 dicembre 2008, n. 28855); in definitiva, ciò che rileva è l’effettiva esplicazione del contraddittorio nel processo civile, dove la stessa viene acquisita. Conseguentemente, nessun rilievo ha, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la ragione per cui il processo, percosiddire di provenienza, si sia concluso e se la stessa relazione tecnica sia stata o meno utilizzata dal giudice penale per giungere ad una decisione, di merito o di rito.

3.2. Con il quarto motivo, si deduce violazione di legge (artt. 115, 116 cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 101,244, 245, 246, 247, 251, 252, 253 cod. proc. civ.) per aver il giudice di merito utilizzato le dichiarazioni rese da terzi ai Carabinieri, senza che le stesse fossero confermate attraverso rituali testimonianze nel processo civile.

Il motivo va rigettato.

La Corte si è pronunciata più volte su tale profilo. Ha sempre ritenuto possibile che le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, le informazioni di polizia e le assunzioni di testi senza giuramento, le informazioni raccolte dai Carabinieri, possano essere autonomamente valutate dal giudice civile, ai fini del proprio convincimento, purchè ritualmente introdotte nel giudizio civile, nel rispetto del contraddittorio delle parti (Cass. 19 ottobre 2007, n. 22020; Cass. 9 giugno 2005, n. 12166; Cass. 16 giugno 2003, n. 9620; Cass. 10 maggio 2001, n. 6502).

3.3. Con il quinto motivo si deducono vizi motivazionali della sentenza, nella parte in cui non ha posto a raffronto le (assunte come contraddittorie) risultanze della relazione del consulente del P.M. e del verbale dei Carabinieri.

La censura è inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza del ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che il ricorso riporta solo sintesi dei suddetti documenti.

Nè specifica in quale sede processuale i documenti risultino prodotti (il principio è stato affermato ex art. 360-bis cod. proc. civ., da Cass. 30 luglio 2010 n. 17915). 4. I motivi sesto, settimo, ottavo, nono e decimo, censurano, sotto diversi profili, la sentenza di appello, nella parte in cui aveva confermato quella di primo grado in ordine alla quantificazione del danno morale riconosciuto agli eredi C..

4.1. La sentenza impugnata aveva rigettato l’appello sul punto ritenendo non sussistente il vizio di extrapetizione e, comunque, di eccessiva liquidazione del danno morale, perchè: le minori somme chieste originariamente dai danneggiati erano solo indicative, avendo essi chiesto anche somme “maggiori o diverse secondo giustizia”;

quanto liquidato dal primo giudice “è congruo, in considerazione anche dei valori indicati dalle tabelle in uso presso gli uffici giudiziari”. Quindi il giudice indicava gli importi minimi e massimi secondo le tabelle utilizzate dal primo giudice.

4.1.2. Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 2059 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui il giudice aveva confermato la sentenza di primo grado, che aveva quantificato il risarcimento del danno morale in misura notevolmente superiore a quella chiesta specificamente dalle parti e si sostiene che non può attribuirsi rilievo alla clausola di stile “o in quelle somme maggiori o minori che risulteranno di giustizia”.

Con l’ottavo motivo si deduce la violazione dell’art. 2059 cod. civ. in relazione agli artt. 112 e 114 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza aveva confermato la decisione di primo grado rispetto alla quantificazione del danno morale, effettuata in via equitativa, senza che tale richiesta fosse stata mai formulata dai danneggiati, non potendosi rinvenire la stessa nella richiesta di maggiori o minori some. Tali motivi sono infondati.

Preliminarmente va detto che l’art. 114 cod. proc. civ. non è conferente, riferendosi alla equità concordata, diversa dalla equità giudiziale, con conseguente irrilevanza della mancata richiesta di liquidazione equitativa da parte dei danneggiati.

D’altra parte, è principio pacifico nella giurisprudenza della Corte quello secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire in base a valutazione equitativa (da ultimo, Cass. 21 gennaio 2011, n. 1410).

In ordine alla non corrispondenza tra quanto chiesto dai danneggiati e quanto liquidato equitativamente dal giudice, deve dirsi che, correttamente, il giudice di merito ha considerato solo indicative le somme richieste per il danno morale. L’irrilevanza di tale mancata corrispondenza deriva dalla valutazione necessariamente equitativa che il giudice compie nel tener conto del caso concreto, anche facendo riferimento ai valori tabellari previsti per il danno biologico (Cass. 9 novembre 2006, n. 23918). Tale irrilevanza si inserisce nel consolidato indirizzo giurisprudenziale che: sulla base della unitarietà del diritto al risarcimento, ritiene la domanda generica riferita a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta, salvo che siano articolate voci specifiche (Cass. 7 dicembre 2004, n. 22987); nega la ricorrenza del vizio di ultrapetizione nel riconoscimento dei danni morali, se a fondamento della domanda di risarcimento è posto un fatto illecito costituente reato, anche in assenza di specifica domanda della parte in ordine ai danni non patrimoniali (Cass. 8 giugno 2007, n. 13391); nega la sussistenza di un mutamento della domanda nel caso di quantificazione del danno diversa tra atto di citazione e udienza di precisazione delle conclusioni, sempre che attraverso il mutamento non si introducano nel giudizio fatti nuovi o nuovi temi di indagine (Cass. 10 gennaio 2011, n. 1083).

4.1.3, Con il settimo, si deduce omessa motivazione nella parte in cui il giudice di appello aveva confermato gli importi per il danno morale ritenendo “quanto liquidato …congruo in considerazione anche dei valori indicati dalle tabelle in uso presso gli uffici giudiziaria”.

Con il decimo motivo si censura sul piano motivazionale la sentenza d’appello nella parte in cui ha confermato la decisione del primo giudice relativa al danno morale agli eredi C..

I suddetti motivi sono inammissibili. Essi censurano la valutazione di congruità della liquidazione fatta dal giudice di merito senza dedurre vizi sotto il profilo logico-formale e di correttezza giuridica, chiedendo sostanzialmente alla Corte un inammissibile riesame del merito.

4.1.4. Con il nono si deduce la violazione degli artt. 2059 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ. in rubrica e si conclude con il seguente quesito: “il risarcimento del danno morale agli eredi non è legato a tabelle in uso presso gli uffici giudiziari”.

Questo motivo è inammissibile per inadeguatezza del quesito.

Infatti, nella parte esplicativa si fa riferimento alla mancanza di prova, mentre nel quesito si sostiene la non applicabilità delle tabelle, con conseguente non corrispondenza.

5. I motivi undicesimo, dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo censurano, sotto diversi profili, la sentenza di appello, nella parte in cui non avrebbe considerato che gli interessi compensativi non sono applicabili alla liquidazione del danno morale.

I suddetti motivi sono tutti inammissibili per l’assorbente ragione che la sentenza di appello ha confermato la decisione del primo giudice in ordine alla quantificazione del danno morale e gli attuali ricorrenti non avevano censurato, nella qualità di appellanti, la statuizione sul danno morale per il profilo degli interessi compensativi (vedi ricorso p. 11); con conseguente novità della questione proposta.

6. Con il quindicesimo motivo, i ricorrenti deducono un vizio di motivazione, che concernerebbe il contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza della Corte di appello, sempre in riferimento agli interessi liquidati dal primo giudice.

Anche questo motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che la sentenza di primo grado non era stata censurata in appello, dagli odierni ricorrenti, con riferimento alla quantificazione e alla decorrenza degli interessi stabilita dal primo giudice e il giudice di appello – individuata per differenza una diversa somma in conseguenza dell’accoglimento parziale dell’impugnazione – ha confermato per il resto la sentenza impugnata.

7. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Non avendo gli intimati svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

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