Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13488 del 29/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 29/05/2017, (ud. 06/04/2017, dep.29/05/2017),  n. 13488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24752-2015 proposto da:

LADY SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 121, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE VETERE, che la rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati PIERPAOLO CASSIANO e DOMENICO ANTONIO CASSIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 981/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/04/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 29 settembre 2015, la Corte di Appello di Catanzaro, riformando la decisione del Tribunale di Rossano che l’aveva rigettata, accoglieva in parte la domanda proposta da B.R. nei confronti della Lady s.r.l. accertando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le dette parti nel periodo dall’8 luglio 2002 al 31 luglio 2004 – nel corso del quale la ricorrente aveva espletato mansioni di impiegata di cat. B – e condannando la società al pagamento in favore della lavoratrice della complessiva somma di Euro 26.819,63 per differenze retributive e TFR oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali nonchè al risarcimento del danno da omissione contributiva, dichiarando inammissibile la domanda di condanna della Lady s.r.l. al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la L. s.r.l. affidato a due motivi cui resiste la B. con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui si dissente dalla predetta proposta ribadendo le argomentazioni di cui al ricorso e sottolineando ancora un volta la mancanza di prova, nella fattispecie all’esame, della sussistenza dell’assoggettamento della B. al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, elemento questo imprescindibile per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416 e 112 c.p.c. nonchè art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte territoriale: pur in assenza di qualsiasi eccezione nell’appello, ritenuto che la società non avesse specificamente contestato le allegazioni del ricorso introduttivo concernenti la durata e la continuità del rapporto di lavoro, la corresponsione di un compenso mensile in misura fissa nonchè della tredicesima mensilità, lo svolgimento di mansioni impiegatizie, il luogo dell’esecuzione della prestazione lavorativa, laddove tali circostanze non erano state allegate specificamente dalla ricorrente sicchè non sussisteva un onere di puntuale contestazione da parte della convenuta; considerato quelli che erano indici meramente sussidiari della subordinazione sufficienti a qualificare il rapporto come subordinato pur in assenza di prova dell’assoggettamento della lavoratrice al potere gerarchico del datore di lavoro;

– con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2222 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto il giudice del gravame aveva invertito l’onere, gravante sulla B., di provare la sussistenza degli indici propri della subordinazione valorizzando elementi sussidiari e, peraltro, operando una non corretta lettura delle risultanze istruttorie, in particolare della prova orale espletata e determinando l’ammontare del dovuto sulla scorta di conteggi fondati su mere supposizioni;

che entrambi i motivi sono inammissibili in quanto – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolvono nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione perchè, come è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plutimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);

che, peraltro, l’impugnata sentenza con una motivazione ampia ed esaustiva ha scrutinato le risultanze della espletata istruttoria (orale e documentale) evidenziando le circostanze allegate nel ricorso introduttivo del giudizio con sufficiente specificità e non adeguatamente contestate dalla convenuta, le risultanze documentali e le deposizioni dei testi escussi precisando come alla luce di tutti gli indici sussidiari di cui era stata raggiunta la prova seppur privi ciascuno di valore decisivo, globalmente potevano essere valutati come elementi rivelatori della subordinazione;

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200.00 per esborsi, Euro 2.700,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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