Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13488 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 12/04/2010, dep. 03/06/2010), n.13488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, via FILIPPO

GORRIDONI n. 14, presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI MARCO, che

lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.p.a., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’Ufficio Affari Legali e Societari sito

nella propria di piazza G. VERDI n. 10, assieme all’Avvocato TURCO

CHIARA, che la rappresenta e difende per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza definitiva n. 2390/2008 della CORTE D’APPELLO di

ROMA, depositata il 03/07/2008;

e sul ricorso n. 15167/2009 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.p.a., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’Ufficio Affari Legali e Societari sito

nella propria di piazza G. VERDI n. 10, assieme all’avvocato TURCO

CHIARA, che la rappresenta e difende per procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, via FILIPPO

GORRIDONI n. 14, presso lo studio dell’avvocato PALETTI MARCO, che lo

rappresenta e difende per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 7946/2005 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 19/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2010 dal Consigliere Dott. MAMMONE Giovanni;

udito l’Avvocato PAOLETTI;

con la presenza del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

B.G., dipendente dell’IPZS – Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., chiedeva al giudice del lavoro di Roma che fosse annullata la sanzione disciplinare conservativa (multa di tre ore) irrogatagli dal datore di lavoro in data 28.12.00 a seguito della contestazione di due comportamenti (rifiuto di partecipare ad un corso di formazione e rifiuto di sottoporsi al controllo con metal detector) ritenuti non corretti.

Rigettata la domanda con condanna alle spese del dipendente e proposto da questi appello, si costituiva IPZS eccependo l’inammissibilita’ dell’impugnazione e chiedendone il rigetto nel merito. La Corte di appello di Roma con sentenza non definitiva pronunziata il 17.11.05 rigettava l’eccezione di inammissibilita’ dell’impugnazione e disponeva con ordinanza la prosecuzione del giudizio, rimettendo al definitivo la pronunzia sulle spese.

Con sentenza definitiva 20.3 – 3.7.08 la stessa Corte d’appello accoglieva l’impugnazione e, dichiarata inefficace la sanzione disciplinare, condannava l’appellato IPZS alle spese del grado.

Avverso la sentenza definitiva proponeva ricorso per Cassazione il B. lamentando l’omessa pronunzia del giudice di appello in punto di spese del primo grado e invocando la caducazione ex lege (art. 336 c.p.c., comma 1) della statuizione sulle spese della prima sentenza. Deduceva al riguardo quattro motivi:

1) carenza di motivazione, in quanto se la Corte d’appello avesse voluto compensare le spese di primo grado con quelle del secondo, avrebbe dovuto spiegarne le ragioni;

2) violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., con il quesito: se costituisca violazione delle norme in questione la condanna della parte soccombente alle spese del grado di appello e non anche delle spese di primo grado;

3) violazione dell’art. 112 c.p.c., con il quesito: se la mancata statuizione sulle spese di primo grado non integri il vizio di omessa pronunzia;

4) violazione ulteriore degli artt. 91 e 92 c.p.c., con il quesito:

se costituisca violazione delle norme in questione aver lasciato ferma la condanna alle spese del primo giudizio nei confronti dell’attore soccombente in primo grado, ma vincitore in appello.

Si difendeva con controricorso e ricorso incidentale IPZS, esponendo che la sentenza non definitiva era stata pubblicata il 19.1.09 e, quindi, successivamente alla definitiva, e che era sua intenzione proporre ricorso per Cassazione avverso quest’ultima per ribadire l’inammissibilita’ dell’appello.

Con il ricorso incidentale IPZS deduceva:

1) violazione dell’art. 244 c.p.c., dell’art. 414 c.p.c., n. 5, dell’art. 434 c.p.c., e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, per l’irrituale ammissione della prova testimoniale con il quesito: se possa essere ammessa la prova testimoniale richiesta dall’appellante per la prima volta in sede di gravame, su fatti che risultano pacifici, non contestati e provati dall’istruttoria condotta nel giudizio di primo grado;

2) carenza di motivazione a proposito dell’affermazione della correttezza del comportamento del dipendente in relazione ad uno dei comportamenti ascritti (rifiuto di recarsi al un corso di formazione interno) e dell’illegittimita’ della sanzione disciplinare irrogata.

Depositata relazione ex artt. 375 e 380 bis c.p.c. e fissata l’adunanza della camera di consiglio, comparivano i difensori delle parti. Preso atto della segnalazione della difesa di IPZS dell’avvenuta presentazione di un autonomo proprio ricorso anche contro la sentenza non definitiva, il Collegio disponeva la convocazione di una nuova adunanza per la trattazione di tutti i ricorsi in unico contesto.

Con il suo ricorso autonomo (diretto contro la sentenza non definitiva) IPZS proponeva tre motivi con cui deduceva la violazione:

1) degli artt. 133, 430 e 327 c.p.c. in quanto il giudice avrebbe considerato data di pubblicazione della sentenza quella indicata nella comunicazione inviata alle parti dal cancelliere ex artt. 133 c.p.c., comma 2, e art. 430 c.p.c. (10.6.03) e non quella risultante dall’attestazione di deposito (29.5.03) apposta in calce alla sentenza dallo stesso cancelliere;

2) dell’art. 133 c.p.c., il quale al comma 1 afferma che la pubblicazione della sentenza avviene mediante il “deposito” della stessa nella cancelleria, contestandosi l’affermazione che nel caso di specie la prima data (29.5.03) presumibilmente (espressione utilizzata dal giudice di merito) sarebbe quella del deposito della minuta, mentre la seconda (10.6.03) sarebbe quella della formalita’ disciplinata dall’art. 133 c.p.c., comma 1, ovvero della pubblicazione;

3) degli artt. 2699 e 2700 c.c. e dell’art. 221 c.p.c., in quanto, costituendo l’attestazione di deposito atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c, avente efficacia probatoria fino a querela di falso, il giudice di mento assegnando rilevanza esclusiva alla data indicata nell’avviso di deposito avrebbe privato l’atto pubblico della forza probatoria conferitagli dalla legge.

B. rispondeva con controricorso.

Anche in questo caso il consigliere relatore redigeva relazione ex artt. 375 e 380 bis c.p.c., che era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Sono inseriti nel ruolo della odierna adunanza i ricorsi n. 2922/09 r.g. (proposto da B. contro la sentenza definitiva, contrastato da IPZS con controricorso e ricorso incidentale) e 15167/09 r.g. (proposto da IPZS contro la sentenza non definitiva, a sua volta contrastato da B. con controricorso).

B. ha depositato memoria in occasione di entrambe le adunanze; in occasione di quella odierna ha anche depositato, previ gli adempimenti dell’art. 372 c.p.c., un estratto autentico del registro del deposito delle minute del Tribunale di Roma.

I ricorsi sopra indicati debbono essere preliminarmente riuniti, in ragione dell’evidente nesso logico tra di loro esistente.

Procedendo prioritariamente all’esame del ricorso proposto da IPZS contro la sentenza non definitiva e trattando i motivi ivi proposti in unico contesto, deve rilevarsi che il disposto dell’art. 133 c.p.c. prevede che “la sentenza e’ resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata” (comma 1) e che “il cancelliere da atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il dispositivo, ne da notizia alle parti che si sono costituite” (comma 2).

Tali disposizione debbono interpretarsi nel senso che la comunicazione del deposito della sentenza che il cancelliere da alle parti, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., comma 2, e’ attivita’ estranea al procedimento di pubblicazione della sentenza, di modo che il termine annuale di impugnazione delle sentenze, previsto dall’art. 327 c.p.c., decorre dalla pubblicazione della sentenza e, cioe’, dal momento in cui la stessa e’ stata depositata in cancelleria (Cass. 14.2.07 n. 3251 e 17.1.03 n. 639).

E’, dunque, all’esame della sentenza – documento che si deve far riferimento ai fini dell’individuazione della data di pubblicazione della pronunzia giurisdizionale, riscontrando la data e la firma ivi apposta, a prescindere dal contenuto della comunicazione del cancelliere. La giurisprudenza ritiene, anzi, che nessun rilievo assume ai fini della decorrenza del termine di impugnazione l’omessa comunicazione da parte del cancelliere, atteso che l’ampiezza del termine annuale consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis (Cass. 7.8.03 n. 11910).

Nel caso di specie, la considerazione della sentenza in questione – recante il n. 12526/03, prodotta in copia ed allegata al ricorso introduttivo da IPZS ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il cui esame e’ consentito in ragione del vizio dedotto – consente di accertare che in calce alla stessa e’ apposta l’attestazione del cancelliere di avvenuto deposito recante la data del 29.5.03. E’ da questa data, pertanto, che dovra’ farsi decorrere il termine annuale di decadenza per la proposizione dell’appello.

Essendo il ricorso in appello depositato in data 9.6.04, dopo la scadenza di un anno dalla pubblicazione della sentenza, il giudice dell’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’impugnazione, in quando parte appellante era da essa decaduta ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 1.

E’, dunque, fondato il ricorso contro la sentenza non definitiva, la quale ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, deve essere cassata senza rinvio.

La cassazione della sentenza non definitiva, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2, estende i suoi effetti anche alla sentenza definitiva la quale deve ritenersi anch’essa cassata, dal che deriva l’inammissibilita’ per sopraggiunta carenza di interesse del ricorso principale (di B.) e di quello incidentale (di IPZS) contro quest’ultima proposti.

In ragione della soccombenza, B. deve essere condannato alle spese del giudizio di secondo grado ed a quelle del giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE cosi’ provvede:

– riunisce al ricorso iscritto al n. 2922/09 r.g. quello iscritto al n. 15167/09;

– accoglie il ricorso proposto dalla Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., iscritto al n. 15167/09 r.g., e cassa senza rinvio la sentenza non definitiva e quella definitiva;

– dichiara inammissibili il ricorso principale di B. G. iscritto al n. 2922 r.g. ed il ricorso incidentale dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a.;

– condanna B.G. alle spese del giudizio di appello – che liquida in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 700,00 (settecento/00) per diritti ed Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari – e del giudizio di cassazione – che liquida in Euro 50,00 (cinquanta/00) per esborsi ed in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari – oltre, in entrambi i casi, spese generali, Iva e Cpa.

Cosi’ deciso in Roma, il 12 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

 

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