Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13487 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 12/04/2010, dep. 03/06/2010), n.13487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 24222-2008 proposto da:

M.P. e P.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, via GIUSEPPE TUCCIMEI n. 1, presso lo studio dell’avvocato

TRIMARCHI CARMEN, rappresentati e difesi dagli avvocati EMANUELE

MARIA e MENTO GIANCLAUDIO per procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PA.PI., G.M., D.L.B., GI.

G., S.G. e, quali EREDI di A.A.,

C.G., A.N., A.D. e A.

A., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, via TAGLIAMENTO n.

55, presso lo studio dell’avvocato DI PIERRO NICOLA, rappresentati e

difesi dall’avvocato CUCINOTTA ROSARIO per procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE PROVVEDITORATO AGLI STUDI DI

MESSINA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 21322/2007 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata in data 11/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato DI PIERRO per delega dell’Avvocato CUCINOTTA;

con la presenza del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

M.P. e P.P. hanno chiesto la revocazione della sentenza 11.10.07 n. 21322 con cui questa Corte ha respinto il ricorso proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Messina n. 85/04.

A sostegno della domanda di revocazione gli attuali ricorrenti lamentano che la Corte di merito ha pronunziato la sua sentenza nei confronti dei soli appellanti A., Pa., G., S., D.L. e Gi., omettendo di pronunziare anche nei confronti di essi M. e P., i quali, avendo partecipato al giudizio di primo grado, erano litisconsorti necessari ex art. 102 c.p.c., ancorchè non avessero impugnato la sentenza di primo grado;

non avendo la Corte di cassazione rilevato la violazione del contraddittorio, poichè il ricorso per cassazione non era stato ad essi notificato, il giudice di legittimità sarebbe incorso in un errore di fatto risultante dagli atti di causa.

Si difendono con controricorso Pa.Pi., G.M., D.L.B., Gi.Gi., S.G. e, quali eredi D.A.A., C.G., A.N., A.D. e Ab.Al.. Non ha svolto attività difensiva il Ministero.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti.

M. e P. hanno depositato memoria. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4 idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, vale a dire quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui vanta è positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare, restando invece escluso che l’errore possa riguardare la violazione o la falsa applicazione di norme giuridiche, o l’interpretazione e la valutazione dei fatti data dalla Corte, o le argomentazioni logico- giuridiche che ne sorreggono la decisione, o pretesi vizi motivazionali della sentenza impugnata; occorre altresì che l’errore presenti il carattere dell’assoluta evidenza, ossia della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, tale da non imporre una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi (v. tra le tante Cass. n. 2713/07, n. 9396/06 e 2485/06).

Sulla base di tali principi il presunto errore addebitato alla sentenza impugnata non configura un errore revocabile a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4. Infatti, per stessa ammissione degli odierni ricorrenti, l’integrazione del litisconsorzio sarebbe stata omessa nel giudizio di appello, di modo che la verifica della Corte di legittimità avrebbe dovuto spingersi oltre gli atti direttamente esaminabili dalla Corte, senza che essa ne avesse il potere, non essendo stato dedotto alcun vizio che legittimasse tale indagine (Cass. 20.12.94 n. 10968).

Il ricorso è da ritenere, dunque, inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dei controricorrenti. Nulla deve, invece statuirsi al riguardo nei confronti del Ministero, che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese in favore dei controricorrenti nella misura di Euro 30 (trenta) per esborsi e di Euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa. Nulla spese nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

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