Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13486 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. III, 20/06/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 20/06/2011), n.13486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ALLIANZ SPA (OMISSIS), (già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’

S.p.a.), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso

lo studio dell’avvocato ROMA MICHELE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALDO FRIGNANI giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

e contro

P.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 918/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

emessa il 7/10/2008, depositata il 20/10/2008; R.G.N. 770/2007.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito l’Avvocato FRIGNANI ALDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Allianz spa (già Riunione Adriatica di Sicurtà spa) propone ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi, avverso la sentenza n. 918/08 della Corte di Appello di Salerno, pubbl. il 20.10.08, che la ha condannata al pagamento, in favore dell’assicurato P.G., della somma di Euro 103,07 (oltre rivalutazione ed interessi), a titolo di risarcimento del danno, in misura percentuale all’ammontare dei premi RcA corrisposti, causato dalla partecipazione dell’assicuratrice ad intesa anticoncorrenziale sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Non deposita controricorso l’assicurato, mentre la ricorrente illustra le sue ragioni, confutando anche le recenti Cass. 14 marzo 2011, n. 5941 e 5942, con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La ricorrente impugna la gravata sentenza:

2.1. con un primo motivo, di nullità del procedimento per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, concluso con due quesiti di diritto: con il quale essa lamenta non avere i giudici tenuto in alcun conto le sue difese ed i relativi mezzi di prova, intesi a dimostrare che l’aumento dei premi nel settore RcA non era dovuto all’intesa anticoncorrenziale sanzionata dall’Autorità Garante;

2.2. con un secondo motivo, avanzato in subordine per il caso di ritenuto implicito rigetto, riferito ad un vizio di motivazione della sentenza sulle medesime circostanze e richieste;

2.3. con un terzo motivo,. di violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e dei principi generali in materia di presunzioni semplici, concluso con due quesiti di diritto ed articolato sulla doglianza di inammissibilità di una presunzione di secondo grado, quale sarebbe stata applicata dai giudici di merito nella fattispecie in relazione alla deduzione del danno in capo al singolo assicurato dalla esistenza del danno in capo a tutti gli assicurati;

2.4. con un quarto motivo, di vizio di motivazione della sentenza per omessa valutazione delle prove contrarie alla mera prova presuntiva utilizzate dai giudici di merito per affermare l’esistenza di un danno in capo all’assicurato come derivante dall’intesa.

3. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, perchè tutti relativi alla questione dell’accertamento del nesso causale fra il livello del premio e la partecipazione della compagnia assicuratrice all’intesa sanzionata dall’Autorità Garante (o AGCM), non sono fondati.

4. In primo luogo:

4.1. i fatti accertati e le prove acquisite nel corso del procedimento concluso con il provvedimento dell’Autorità Garante, cui abbia preso parte l’odierna ricorrente, non sono nè più revocabili in dubbio, nè utilizzabili a fini e con senso diverso da quello attribuito nel provvedimento stesso; benchè l’accertamento stesso abbia avuto luogo in un procedimento svoltosi tra le imprese e l’Autorità Garante, deve ritenersi che la circostanza che il singolo utente o consumatore sia beneficiario della normativa in tema di concorrenza (per tutte, Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475) comporta pure, al fine di attribuire effettività alla tutela dei primi ed un senso alla stessa istituzione dell’Autorità Garante, la piena utilizzabilità da parte loro, una volta accertate condotte di violazione della normativa di settore posta anche a loro tutela, degli accertamenti conseguiti nel procedimento di cui pure non sono stati formalmente parte;

4.2. il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico condotto dalla stessa Autorità Garante e poi in sede di giustizia amministrativa (tra le altre, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, v. Cass., ord. 22 febbraio 2010, n. 4261), pur non precludendo la facoltà, per la assicura trice, di fornire la prova contraria (per tutte, v. Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305), impedisce che possano rimettersi in discussione proprio i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza, se non altro in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede (sulla fruibilità diretta, da parte dei singoli utenti o consumatori, delle relative decisioni, v., sia pure per profili anche in parte diversi, Cass. 5941/11 e 5942/11);

4.3. in applicazione di tale principio al caso di specie, si osserva che i fatti e le prove che la ricorrente lamenta essere stati illegittimamente pretermessi dalla Corte territoriale sono invece stati già adeguatamente valutati dall’AGCM e dai giudici amministrativi investiti dell’impugnativa del suo provvedimento;

sicchè quest’ultimo fornisce idonee basi presuntive per la ricostruzione sia della condotta dannosa che del danno e la danneggiante non fornisce prove o fatti nuovi, in quanto diversi da quelli già considerati appunto dall’AGCM, specificamente idonei ad escludere il nesso causale tra condotta illecita e danno;

4.4. quanto alla presunzione, va ribadito (come già si è espressa la richiamata Cass. n. 2305 del 2007) che l’assicurato che agisca in risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 33 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 ha il diritto di avvalersi della presunzione che il premio sia stato indebitamente aumentato per effetto del comportamento collusivo e che la misura dell’aumento (e quindi l’entità del danno da lui subito) non sia inferiore al livello medio del 20%: sia per effetto degli accertamenti compiuti dall’Autorità garante; sia in virtù del principio per cui, quando il fatto dannoso sia imputabile a più soggetti e non si possa ricostruire la misura in cui ognuno di essi abbia concorso a cagionare il danno, le colpe – quindi l’apporto causale di ognuno – si presumono uguali; e tanto argomentandosi dall’art. 2055 cod. civ., u.c., norma da ritenersi applicabile al caso in esame, in quanto l’illecito concorrenziale che si traduca in situazioni di svantaggio per i clienti nelle condizioni della contrattazione, può agevolmente qualificarsi come una fattispecie di responsabilità precontrattuale che – la si voglia assimilare alla responsabilità da illecito civile o da contratto – è comunque soggetta al principio di cui alla citata norma.

5. Orbene, come questa stessa Corte si è espressa in un recentissimo precedente specifico (Cass. 10 maggio 2011, n. 10212):

5.1. nell’analisi della situazione di mercato l’AGCM ha accertato che, in conseguenza di tali comportamenti fra il 1994 ed il 2000 i premi sono aumentati del 96,55% (p. 70 provv. 8546/2000) e del 63% rispetto alla media europea; e che, se nel medesimo periodo i premi italiani per le polizze RcA avessero seguito incrementi analoghi a quelli della media degli altri Paesi europei, i consumatori avrebbero risparmiato L. settemila miliardi, nel solo 1999 (p. 76);

5.2. l’AGCM pertanto – pur avendo emesso condanna solo per la violazione della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, – ha altresì accertato chiaramente che l’illecita intesa si è tradotta in un danno economico di rilevante importo per la massa generalizzata degli utenti dei servizi assicurativi RcA, ed il suddetto accertamento ha costituito parte integrante della valutazione di illegittimità dello scambio di informazioni tra le imprese, che avrebbe potuto altrimenti essere ritenuto legittimo, in considerazione delle esigenze di reciproca informazione al fine della valutazione dei rischi;

5.3. il provvedimento sanzionatorio non ha accertato, cioè solo il carattere potenzialmente lesivo dei benefici della concorrenza e degli interessi economici dei consumatori – come prospettato dalla ricorrente – ma anche il fatto che tale comportamento ha prodotto un’ingente e ingiustificata lievitazione dei premi, sul mercato italiano delle polizze RCA;

5.4. ciò che è rimasto incerto ed a cui la giurisprudenza di questa Corte ha fatto riferimento, menzionando il carattere solo potenzialmente lesivo dell’illecito concorrenziale, è la concreta e specifica misura in cui ognuna delle singole imprese sanzionate ha finito con il contribuire, con il suo comportamento e nei rapporti con i suoi assicurati, all’indebita lievitazione dei premi, poichè l’accertamento dell’AGCM ha fatto riferimento ai livelli soltanto medi dei premi europei ed al livello – del pari – medio degli aumenti in Italia, ma poco o nulla specifica circa la misura in cui ogni singola impresa abbia effettivamente tradotto le informazioni acquisite tramite il comportamento collusivo nell’incremento dei premi praticati alla propria clientela.

6. In tale contesto (in questi termini v. sempre la citata Cass. n. 10212 del 2011):

6.1. la già riconosciuta facoltà della compagnia assicuratrice convenuta in risarcimento del danno, di fornire la prova contraria alla suddetta presunzione di responsabilità in ordine alla sussistenza del nesso causale fra l’illecito concorrenziale e il danno ed all’entità del danno medesimo, non può avere ad oggetto circostanze attinenti alla situazione generale del mercato assicurativo – quanto ai costi gravanti su tutte le imprese a causa delle truffe, degli adeguamenti imposti dalle Direttive comunitarie, ecc. – ed in particolare le medesime circostanze e prove (o elementi di prova) che l’AGCM ha già tenuto presenti nel formulare il suo giudizio e che ha ritenuto irrilevanti al fine di escludere il collegamento fra i comportamenti collusivi e la lievitazione dei premi;

6.2. la stessa AGCM ha infatti tenuto conto dei dati di costo e di settore esposti dalle imprese e riassunti nei pareri ISVAP o nelle altre difese analoghe, ma ha comunque rilevato che il comportamento collusivo ha impedito che le imprese stesse fossero motivate ad operare in modo da ridurre i loro costi per potere ridurre i prezzi (ciò che rientra tra i benefici effetti di un libero mercato concorrenziale: cfr. pp. 77, 78, 240, 259 ss., 263 del provvedimento dell’AGCM, sul punto – e per quel che qui rileva – confermato dal Consiglio di Stato), mentre bene è stato osservato che neppure la necessità di recuperare il passivo accumulato nel precedente periodo di tariffe amministrate o comunque la circostanza dell’operatività in perdita del settore giustificano comportamenti collusivi, poichè questi trasferiscono sui consumatori, in misura maggiore rispetto a quella che il corretto comportamento commerciale consentirebbe, perdite che il settore imprenditoriale bene o male recupera, o che ritiene comunque vantaggioso affrontare;

6.3. in particolare, i dati contenuti nel parere dell’ISVAP sono stati già sottoposti all’esame dell’AGCM, che li ha ritenuti inidonei ad escludere sia il comportamento collusivo, sia gli effetti dannosi che ne sono derivati in termini di incremento dei prezzi per i consumatori (cfr. 192 ss.); con l’ulteriore specificazione che le perdite denunciate dalle compagnie assicuratrici sono anche effetto di inefficienze produttive e del mancato controllo dei costi, conseguente alla violazione delle regole della concorrenza (p. 255 ult. cpv. e p. 263);

6.4. proprio sulla base degli elementi prodotti dalla ricorrente può concludersi (ancora una volta, v. Cass. 10212 del 2011) per l’abnormità dell’incremento dei premi assicurativi in Italia dopo il 1994 e per l’anomalia del mercato italiano nel contesto dei Paesi UE, sebbene in questi Paesi sia in vigore la medesima normativa comunitaria, siano presenti le stesse problematiche tipiche dell’industria RcA (lotta alle frodi, criteri di risarcimento del danno biologico, costo dei ricambi e delle riparazioni) e l’imposizione fiscale in Italia non sia eccessiva rispetto a quella rilevata altrove (cfr. per esempio pp. 6, 6.2, 7.2): e può ascriversi “l’anomalia italiana” al mancato funzionamento del sistema concorrenziale, per cui gli aumenti dei costi vengono trasferiti integralmente sui premi, senza che vi sia alcuna pressione per il contenimento dei costi medesimi e per la razionalizzazione dell’attività (quali ad esempio i fattori di costo inerenti al sistema di distribuzione tramite agenti monomandatari, che sono frutto di scelte delle stesse imprese).

7. Di conseguenza, correttamente la documentazione prodotta dalla ricorrente al fine di contestare la sussistenza del nesso causale è stata ritenuta irrilevante dalla sentenza in questa sede impugnata e (come si esprime la già citata Cass. n. 10212 del 2011):

7.1. la Corte di appello, con sintetica motivazione, ha respinto le argomentazioni e le prove dedotte dalla ricorrente, ritenendole inidonee a dimostrare che l’entità del premio, nel caso concreto, non fosse nemmeno in minima parte ascrivibile causalmente all’accertata intesa anticoncorrenziale, puntualizzando che l’istanza di consulenza tecnica avrebbe richiesto la specifica indicazione di quali momenti o fasi del complesso meccanismo di determinazione del premio finale andassero verificati;

7.2. in tal modo, applicando adeguatamente i principi generali desumibili dall’art. 2055 cod. civ. in ordine all’irrilevanza – nei confronti del danneggiato – della concreta misura dell’apporto causale del singolo danneggiante, la Corte salernitana si è correttamente uniformata al principio per cui la prova dell’insussistenza del nesso causale non può essere tratta da considerazioni di carattere generale attinenti ai dati che influiscono sulla formazione dei premi nel mercato generale delle polizze assicurative, ma deve riguardare situazioni e comportamenti che siano specifici dell’impresa interessata;

7.3. per vincere la presunzione fondata idoneamente sul richiamato provvedimento dell’AGCM e sugli accertamenti e le valutazioni dei medesimi fatti già svolti ed espletate in quella sede (idonei a dimostrare che il premio applicato in polizza all’assicurato, nel periodo in cui la compagnia è stata ritenuta partecipe del comportamento collusivo, è ingiustificatamente elevato, nella misura indicata), era cioè indispensabile fornire dati relativi alla singola impresa assicuratrice convenuta, al singolo assicurato od alla singola polizza;

7.4. occorreva, in particolare, che tali dati fossero tali da dimostrare che – nel caso oggetto di esame – il livello del premio non era stato determinato dalla partecipazione all’intesa illecita, ma da altri fattori: perchè, in ipotesi, la compagnia ebbe a discostarsi dal trend degli aumenti accertato in misura media dall’AGCM (circostanza da dimostrare tramite la documentazione relativa ai criteri da essa seguiti per la determinazione dei premi, ai dati di costo su di essa specificamente gravanti, ecc, nel periodo dell’illecito, rispetto a quello precedente o successivo); o perchè la compagnia versava in peculiari difficoltà economiche (desumibili però dalla comparazione dei propri stessi bilanci – in tal senso già Cass. 5941 e 5942 del 2011 – nella loro evoluzione diacronica), che hanno imposto determinate scelte di prezzo; o perchè il contratto copriva particolari rischi, normalmente non inclusi nella polizza, o si riferiva ad assicurati il cui comportamento era caratterizzato da abnorme sinistrosità; e così via;

7.5. pertanto, in difetto di idonei elementi di confutazione delle conclusioni cui legittimamente poteva pervenirsi in base alla normativa sulle presunzioni, correttamente questa è stata applicata al fine di ritenere fondata la prova dei fatti costitutivi addotti dal danneggiato a sostegno della sua domanda di risarcimento del danno.

8. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto in questa sede alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

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