Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13485 del 29/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.29/05/2017),  n. 13485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8252-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS,

rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 191/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/03/2010 R.G.N. 1028/2007.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 22 marzo 2010 la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia del Tribunale di Monza che aveva dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine “per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito presso la Regione Lombardia, assente nel periodo dal 22.9.2003 al 19.12.2003”, di cui al contratto di lavoro stipulato tra V.M. e Poste Italiane Spa, ritenendo che la giustificazione della causale, pur non generica, non era stata “adeguatamente dimostrata sul piano probatorio”; ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alla condanna alla riammissione in servizio disposta in primo grado, atteso che nelle more il V. era stato licenziato e, in motivazione, ha condannato la società al pagamento delle retribuzioni spettanti, detratto l’aliunde perceptum, sino al 13.2.2007, data di ricezione della lettera di recesso;

che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui non ha opposto difese il V. nonostante il ricorso per cassazione sia stato notificato in data 22 marzo 2011;

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la società non avesse dimostrato la sussistenza delle esigenze sostitutive poste a fondamento dell’assunzione del V.; con il secondo motivo si lamenta “insufficiente motivazione” su di un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; che tali motivi, congiuntamente esaminabili, non possono trovare accoglimento atteso che tendono ad una rivalutazione della quaestio facti, con doglianze anche attinenti alla rilevanza ed alla valutazione della prova, che sfuggono al sindacato di questa Corte, laddove, come nella specie, il decisum dei giudici di merito sia sorretto da adeguata motivazione, avendo essi anche accertato che il V. aveva sostituito una lavoratrice “non assente con diritto alla conservazione del posto”;

che con il terzo e quarto motivo si censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha confermato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a causa della dichiarata illegittimità del termine, omettendo anche di pronunciarsi sulla eccezione sollevata dalla società secondo cui, anche in caso di termine nullo, non avrebbe luogo la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato;

che le doglianze non meritano accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte in numerose pronunce dalle quali non v’è ragione di discostarsi (Cass. n. 12985 del 2008; conf. Cass. n. 7244 del 2014);

che con il quarto motivo, in via subordinata, si denuncia ancora violazione e falsa applicazione di legge in ordine alle richieste economiche del lavoratore sostenendo che questi avrebbe avuto diritto alle retribuzioni solo dal momento della effettiva ripresa del servizio; in ogni caso la società sul punto ha invocato l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32;

che tali censure vanno accolte per quanto di ragione, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. 12.8.2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati); nè rileva l’avvenuta abrogazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 55, lett. f, (da ultimo Cass. n. 7132 del 2016);

che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;

che pertanto non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto della L. n. 183 del 2010, art. 32 affinchè la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;

che, pertanto, respinti gli altri motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062 del 2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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