Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13485 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/07/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 02/07/2020), n.13485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22321/12 R.G. proposto da:

BITRADE S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dall’avv. Mariani Alessandro, giusta procura

in calce al ricorso, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

De Battista Flavio, in Roma, Corso d’Italia, n. 97;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio

n. 49/40/12 depositata in data 29 febbraio 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 novembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

Che:

La società Bitrade s.p.a. in liquidazione impugnava la cartella di pagamento emessa sulla base di un controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, all’esito del quale l’Amministrazione aveva disconosciuto crediti di imposta maturati nel 2001 derivanti da cessione di crediti da parte delle società Finleader s.r.l. e Finitel s.r.l..

La Commissione tributaria provinciale di Latina rigettava il ricorso, rilevando l’inosservanza dell’obbligo di notifica del credito di imposta da parte del cessionario e l’inesistenza dei crediti in capo alle società cedenti.

Interposto appello dalla contribuente, la quale eccepiva, in particolare, che non era consentito il ricorso al metodo di accertamento previsto dall’art. 36-bis citato, che non era stato preso in considerazione il condono e che i crediti non erano mai stati chiesti a rimborso dalle società cedenti, i giudici regionali respingevano l’impugnazione.

In particolare, affermava che la cessione del credito non era valida ed efficace nei confronti dell’Erario, in quanto non notificata con le modalità previste dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 1, e che l’Ufficio aveva dimostrato che il credito ceduto nel 2001 era inesistente, circostanze queste non contestate dalla contribuente; riconosceva, altresì, la legittimità della cartella di pagamento oggetto di impugnazione, in quanto il credito compensato non era stato riscontrato dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione la società Bitrade s.p.a., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la contribuente denuncia violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis.

Premettendo che la liquidazione ai sensi dell’art. 36-bis citato è ammissibile e può evitare l’attività di rettifica quando il dovuto sia determinato con una semplice rilevazione risultante da un errore commesso dal contribuente e sulla base dei soli elementi presenti nella dichiarazione stessa, sostiene che, nel caso di specie, la cartella impugnata non poteva essere emessa all’esito del controllo automatizzato in quanto era scaturita da una interpretazione ed elaborazione della documentazione allegata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697,2727 e 2729 c.c., lamentando che la Commissione regionale ha ritenuto che l’Ufficio avesse adempiuto all’onere di provare l’inesistenza del credito, omettendo di esaminare la documentazione versata che comprovava la correttezza della dichiarazione reddituale e l’esistenza del credito.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dalla esistenza del credito ceduto nel 2001 e si duole del fatto che i giudici di appello non hanno preso in considerazione la documentazione allegata comprovante che la contribuente aveva maturato i crediti di imposta ed operato le compensazioni riconosciute dall’Ufficio con verbale di ispezione del 16 febbraio 2004.

4. Con il quarto motivo deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto circa la prescrizione e la decadenza maturate”, precisando che era stato eccepito sin dal primo grado di giudizio che la cartella di pagamento era stata notificata il 31 maggio 2007, oltre il termine di quattro anni, per cui era maturata la prescrizione.

5. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

5.1. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, stabilisce che l’Amministrazione, avvalendosi di procedure automatizzate, provvede a: “e) ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione”.

La norma prevede, dunque, il ricorso al controllo automatizzato anche in sede di disconoscimento di crediti del contribuente, a condizione che i presupposti di tale disconoscimento non derivino da un’attività di natura accertativa o rettificativa, ma emergano “sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione”.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 17758 del 8 settembre 2016, hanno confermato che “il procedimento di controllo automatizzato dei dati è eseguito senza alcun intervento diretto degli uffici e in forza delle disposizioni di legge di cui ai ricordati artt. 36-bis e 54-bis può essere attivato nei casi di mancata considerazione dei pagamenti effettuati, errata o incompleta trasmissione e/o ricezione dei dati della dichiarazione, errori di compilazione della dichiarazione da parte del contribuente sanabili e facilmente riconoscibili, errata individuazione del contribuente, incoerenza della dichiarazione, eccedenze di imposta non completamente confermate dal sistema informativo (circ. n. 100/E e n. 143/E del 2000; circ. n. 34/E del 2012 e 21/E del 2013), concludendosi la procedura con un atto liquidatorio ai fini dell’iscrizione a ruolo a titolo definitivo”. Hanno, inoltre, precisato che ” (…) la CTR ha erroneamente ritenuto che l’attività dell’Ufficio correlata alla contestazione di detrazioni e crediti indicati dal contribuente implicasse un’attività valutativa, invece la stessa nascendo da una verifica dei dati indicati dallo stesso contribuente negli anni 2001, 2002 e 2003 e dalle incongruenze dagli stessi risultanti. Sulla base di tali considerazioni, ha dunque errato la CTR nel ritenere non correttamente utilizzato lo strumento di cui ai ricordati artt. 36-bis e 54-bis, potendo peraltro in fase processuale il contribuente pienamente dimostrare l’esistenza dei crediti che l’Ufficio ha disconosciuto sulla base della verifica dei dati esposti dal medesimo nelle dichiarazioni”.

La legittimità del controllo automatizzato è, quindi, subordinata al carattere meramente formale e non valutativo del disconoscimento del credito d’imposta, potendo quest’ultimo appunto dipendere sia da una valutazione giuridica ed accertativa di inesistenza ovvero non compensabilità del credito – ipotesi nella quale il controllo automatizzato non è consentito – sia dal riscostro puramente obiettivo della dichiarazione – ipotesi nella quale il controllo è, invece, ammesso (Cass., ord. n. 29582 del 16 novembre 2018; Cass. ord. n. 7960 del 21 marzo 2019).

5.2. Dalla sentenza impugnata si evince chiaramente che, nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2002 presentata dalla società contribuente, ha rilevato l’abusiva utilizzazione in compensazione di un credito Irpeg non riscontrato nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e ritenuto, quindi, inesistente.

Il disconoscimento del credito non risulta, dunque, operato per contestazioni di merito, ma sulla base di un mero confronto formale tra i dati emergenti dalla dichiarazione relativa all’anno 2002 e quella presentata per l’anno precedente, sicchè la pretesa impositiva ben poteva essere fatta valere a mezzo di cartella di pagamento all’esito di controllo automatizzato.

5.3. L’utilizzo, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del controllo cartolare non precluderebbe alla ricorrente di provare, in giudizio, l’esistenza del credito ceduto, e, quindi di contestare l’inesistenza dello stesso credito opposta dall’Amministrazione.

Va, tuttavia, rilevato che la contribuente, con i motivi di ricorso in questa sede articolati, non ha impugnato la concorrente ed autonoma ratio decidendi della sentenza d’appello con la quale i giudici di merito hanno accertato l’inefficacia e, quindi, l’inopponibilità all’Amministrazione della cessione avente ad oggetto il credito utilizzato in compensazione per effetto dell’omessa notifica della stessa all’Erario secondo le modalità e con le forme di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70.

Ne consegue che, fermo l’onere per la ricorrente di censurare tutte le ragioni poste dai giudici di merito a fondamento della propria decisione, qualora la sentenza sia sorretta, come nel caso in esame, da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. Sez. U, n. 7931 del 29/3/2013; Cass. sez. 6 – 5, ordinanza n. 9752 del 18/04/2017; Cass. n. 18641 del 27/7/2017).

6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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