Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13482 del 29/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.29/05/2017),  n. 13482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7823-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.R. C.F. (OMISSIS);

– intimato –

nonchè da:

V.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 10051/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/03/2010 R.G.N. 962/2007.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza n. 10051/2009, la Corte di Appello di Roma ha riformato la pronuncia, emessa in data 8.2.2006 dal Tribunale della stessa città, dichiarando la nullità del termine apposto al contratto, intercorso tra Poste Italiane spa e V.R., dall’1.2.2001 al 31.5.2001, a norma dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, come novellato dall’art. 25 CCNL 11.1.2001, per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, nonchè derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti e servizi”, nonchè la persistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dall’1.2.2001 ed il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate e spettanti dal 10.7.2003, nei limiti di un triennio dalla cessazione dell’ultimo contratto di lavoro, oltre accessori;

che avverso tale sentenza Poste Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, chiedendo comunque la applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 medio tempore sopravvenuta;

che il V. ha resistito con controricorso proponendo ricorso incidentale;

che il P.G. non ha formulato richieste

che sono state depositate memorie da parte di V.R..

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 230 del 1962, art. 3 (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere i giudici di secondo grado attribuito alla società l’onere probatorio in ordine al rispetto della clausola di contingentamento; 2) l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere ritenuto la Corte territoriale che era onere della società fornire la prova documentale del rispetto della clausola di contingentamento; 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 CCNL 2001, L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3) perchè, a differenza di quanto precisato nella gravata pronuncia, la violazione del rispetto della clausola di contingentamento avrebbe potuto indurre conseguenze sanzionatorie destinate ad operare sul comportamento e non sull’atto e che nè la L. n. 56 del 1987, art. 23 nè il CCNL del 2001 prevedevano espressamente alcuna sanzione; 4) la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, le retribuzioni avrebbero potuto decorrere solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio e perchè sull’aliunde perceptum era onere del lavoratore di provare di non avere intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro nè di avere percepito somme a titolo retributivo; la ricorrente chiede, poi, in caso di rigetto delle suindicate censure, l’applicazione della sopravvenuta disciplina in tema di risarcimento introdotta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che, con il ricorso incidentale, articolato su nove censure, V.R. si duole del risarcimento del danno, quantificato come sopra indicato, perchè adottato con motivazione contraddittoria e perchè statuito in violazione degli artt. 1226, 2729, 1218, 1223, 1227 e 2697 c.c., artt. 432 e 114 c.p.c.;

che, con riguardo ai primi tre motivi, il ricorso principale è infondato: infatti, come è stato affermato da questa Corte (cfr. Cass. 1.8.2014 n. 17535; Cass. ord. 27.11.2012 n. 21100) l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine, in base alle regole di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 3, incombe sul datore di lavoro che deve dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro;

che la determinazione, da parte della contrattazione collettiva, in conformità di quanto previsto dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, della percentuale massima di contratti a termine rispetto a quelli di lavoro a tempo indeterminato nella azienda, è stabilita per la validità della clausola appositiva del termine per le causali individuate dalla medesima contrattazione collettiva (cfr. Cass. 24.11.2011 n. 22009 implicitamente e Cass. 3.3.2006 n. 4677 nonchè Cass. ord. 20.11.2012 n. 20398); l’illegittimità si evince chiaramente non solo dalla formulazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 che stabilisce appunto che i contratti collettivi stabiliscono il numero percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato, ma anche dall’interpretazione sistematica di tale norma che fissa parametri rigidi per la individuazione delle fattispecie autorizzatorie; in tal senso si è espressa, del resto, univocamente la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 19.1.2010 n. 839; Cass. 19.1.2013 n. 701; Cass. 6.2.2015 n. 2269) la quale ha costantemente confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto illegittimo il contratto a termine stipulato in violazione della clausola di contingentamento con la conversione dello stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato;

che, in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, anche nella vigenza della L. n. 56 del 1987, è applicabile la disposizione di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 3 circa l’onere della prova a carico del datore di lavoro sulle condizioni che giustificano l’apposizione del termine al contratto (cfr. Cass. 28.6.2011 n. 14283);

che la Corte territoriale, attraverso motivazione congrua ed immune da rilievi di carattere logico-giuridico, ha rilevato, da un lato, che il prospetto prodotto per la regione Abruzzo nel 2001 indicava una quota di assunzioni di lavoratori a termine superiore alla quota del 5% e, dall’altro, che non era stata dimostrata l’esistenza di accordi di secondo livello che prevedevano l’elevazione di una percentuale ulteriore del 3% fino ad arrivare alla dedotta percentuale dell’8%;

che, quanto in particolare al terzo motivo, oltre ai profili di infondatezza sopra evidenziati, emergono anche aspetti di inammissibilità perchè, nell’eccepire la violazione di una norma di legge e di una disposizione del CCNL, non sono state indicate specificamente le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si pretendono errate;

che è, invece, fondato l’ultimo motivo limitatamente alla richiesta di applicazione dello ius superveniens atteso che, come da ultimo chiarito da Cass. Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive, e quindi applicabili al rapporto dedotto, in considerazione che non si richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico e che sul capo della sentenza, con il quale erano state regolate le conseguenze economiche, non si era formato alcun giudicato;

che, conseguentemente, l’esame di tutte le doglianze di cui al ricorso incidentale devono ritenersi assorbite;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte intimata ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr tra le altre Cass. n. 3062/2016).

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 respinti gli altri e assorbito il ricorso incidentale, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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