Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13481 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/07/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 02/07/2020), n.13481

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 512-2014 proposto da:

CAMPANIA MEAT SRL, elettivamente domiciliato in MARIGLIANO C.SO

UMBERTO I 366, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIUSEPPE, che

lo rappresenta e difende unicamente agli avvocati DI FIORE LORENA,

LO GIUDICE BRUNO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2013 della COMM. TRIB. REG., depositata il

06/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. ARMONE GIOVANNI MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. l’Agenzia delle entrate in data 6 novembre 2009 ha notificato alla Campania Meat srl un avviso di accertamento relativo all’anno 2003, con cui ha proceduto al recupero dell’IVA detratta in relazione ad acquisti di carne dalla RO.GI srl, sul presupposto che tale ultima società fosse una cd. “cartiera” e che le fatture di acquisto fossero soggettivamente inesistenti;

2. la Campania Meat srl ha impugnato detto avviso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che ha respinto il ricorso;

3. la Commissione tributaria regionale di Napoli, davanti alla quale la società ha interposto appello, con sentenza depositata il 6 maggio 2013 ha rigettato l’appello e confermato la sentenza di primo grado;

4. la Campania Meat srl propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, affidato a sei motivi;

5. l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, sostenendo che la sentenza impugnata, nel confermare il raddoppio dei termini per l’emissione delle rettifiche, non avrebbe verificato la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e sarebbe perciò illegittima;

2. con il secondo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’illegittimità della sentenza impugnata per carenza assoluta di motivazione e per travisamento delle risultanze processuali;

3. con il terzo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.p.c. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe fatto malgoverno delle regole sull’onere della prova in materia di recupero concernente l’IVA fondando la sua decisione esclusivamente sulla dichiarazione di un terzo;

4. con il quarto motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.p.c. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe violato le regole sull’onere della prova in materia di recupero concernente l’IVA anche nella parte in cui ha affermato che la contribuente, a fronte della contestazione dell’ufficio, avrebbe dovuto fornire la prova del diritto alla detrazione mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti;

5. con il quinto motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ancora una volta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.p.c. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe assunto che il diritto alla detrazione dell’IVA non dipende dalla buona fede dell’acquirente;

6. con il sesto motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. 29 Settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe legittimato l’operato dell’Ufficio finanziario, il quale ha ritenuto che la metà dell’IVA restituita alla ricorrente rappresentasse per quest’ultima un ricavo non contabilizzato, così procedendo, in violazione dell’art. 39, a un recupero analitico non consentito;

7. il primo motivo deve essere disatteso;

8. in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 5 agosto 2015, n. 128 e alla L. 31 dicembre 2015, n. 208, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.;

9. la dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato, e non dipende dal suo accertamento in concreto;

10. come più volte chiarito da questa S.C., anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera pertanto in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass., Sez. VI, 28/06/2019, n. 17586, Cass., Sez. V, 13/09/2018, n. 22337; Cass., Sez. VI, 30/05/2016, n. 11171);

11. ciò naturalmente non rende di per sè legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento;

12. tali precisazioni non sono tuttavia idonee a giustificare l’accoglimento del motivo di ricorso nel caso di specie;

13. la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011 ha infatti chiarito che, in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità”, con la precisazione però che “il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato” (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale);

14. da ciò discende che il contribuente, ove voglia contestare l’accertamento compiuto oltre il termine ordinario, dovrà denunciare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia e non potrà mettere in discussione la sussistenza del reato, nè sotto il profilo dell’elemento oggettivo, nè sotto quello dell’elemento soggettivo, nè infine dal punto di vista del suo autore;

15. nella specie, parte ricorrente ha invece incentrato il motivo di ricorso sull’assenza di prova che, nella specie, la denuncia presentata e il procedimento penale che ne è scaturito “riguardassero la società contribuente per fatti ascrivibili alla sua amministratrice”, in tal modo censurando la sentenza impugnata per non aver esercitato un controllo sull’esistenza del reato;

16. poichè tuttavia tale controllo è precluso al giudice tributario, ciò rende inammissibile il motivo di ricorso in esame,

17. il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

18. a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione è deducibile quale vizio di legittimità solo quando si concreti in una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; ciò accade solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile (v. tra le tante Cass., Sez. VI, 25/09/2018, n. 22598);

19. nella specie tali condizioni non ricorrono;

20. la sentenza impugnata, sia pure in modo sintetico, illustra l’iter logico che ha condotto alla decisione e gli elementi probatori posti a suo fondamento, così sottraendosi al vizio denunciato;

21. quanto al presunto travisamento delle risultanze processuali, tale vizio, ove esistente, non darebbe luogo a nullità della sentenza impugnata, poichè attiene alla sua motivazione e può dunque formare oggetto di denunzia davanti alla Corte di cassazione solo ove ricorrano i presupposti fissati dal nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, presupposti che, nella specie, non sono stati neppure invocati;

22. il terzo motivo è inammissibile, in quanto, a dimostrazione della violazione delle regole sull’onere della prova, parte ricorrente adduce una circostanza che attiene invece alla valutazione delle risultanze probatorie, e cioè il fatto che la sentenza abbia basato il suo convincimento solo sulle dichiarazioni del terzo (circostanza peraltro inesatta, avendo la CTR al contrario affermato che l’accertamento trova riscontro obiettivo anche nelle scorte di magazzino e nella documentazione contabile parallela);

23. a tale riguardo, va rammentato che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo “se il giudice del merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo (cioè attribuendo ronus probandi” a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni), non anche quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre” (Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13395 e ivi riferimenti alla giurisprudenza precedente);

24. il quarto e il quinto motivo, per la loro stretta connessione, devono essere esaminati congiuntamente, previa enunciazione di alcuni principi di recente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità ed Euro-unitaria;

25. secondo un orientamento ormai consolidato, in tema di recupero dell’IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una cd. “frode carosello”, essa ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’inesistenza del fornitore, ma anche, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva (o avrebbe potuto sapere), con l’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta; solo una volta fornita tale prova, incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (v. Corte di giustizia 3 ottobre 2019, Altic, C-329/18, par. 31; Corte di giustizia 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14, par. 50; Cass., Sez. V, 30/10/2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 30/10/2018, n. 27555; Cass., Sez. V, 24/08/2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20/04/2018, n. 9851);

26. tali principi, applicati al caso di specie, conducono alle seguenti conclusioni;

27. il quarto motivo è infondato, poichè la CTR, pur avendo affermato che spetta al contribuente provare la legittimità e la correttezza delle detrazioni, in realtà ha fondato la propria decisione sulla sussistenza di alcune circostanze obiettive (dichiarazioni del legale rappresentante della società cartiera, scorte di magazzino e documentazione contabile parallela), dalle quali ha ritenuto di poter riscontrare l’accertamento compiuto dall’Ufficio in ordine alla fittizietà soggettiva dell’operazione;

28. la sentenza si è così di fatto attenuta ai canoni sopra enunciati in materia di distribuzione dell’onere della prova nella presente materia, con riferimento all’elemento oggettivo dell’inesistenza del fornitore;

29. il quinto motivo è invece fondato, poichè la sentenza impugnata non ha rispettato i suddetti canoni con riferimento alla prova, sempre a carico dell’Amministrazione finanziaria, dell’elemento soggettivo, cioè della mala fede o dell’ignoranza inescusabile del cessionario nel caso concreto; la CTR ha infatti espressamente affermato che la buona fede non assume alcun rilievo, essendo il contribuente tenuto a contrastare la pretesa impositiva dimostrando la correttezza delle detrazioni e l’effettività delle operazioni a cui le stesse si riferiscono;

30. in tal modo, cioè completamente svalutando la prova dell’elemento soggettivo e appesantendo il contenuto della prova a carico del contribuente, la CTR ha violato le regole sull’onere della prova per come sopra delineate dalla più recente giurisprudenza della S.C., anche alla luce delle pronunce della Corte di giustizia;

31. la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, la quale, oltre a regolare le spese del giudizio di cassazione, dovrà verificare se, sulla base degli elementi acquisiti al processo, l’Amministrazione finanziaria avesse fornito elementi sufficienti a dimostrare, anche in via indiziaria, che la società odierna ricorrente sapeva o avrebbe potuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta;

32. il sesto e ultimo motivo è da considerare assorbito, in quanto relativoa lle contestazioni successive all’accertamento dell’operazione di illegittima detrazione dell’Iva, accertamento sul quale dovrà svolgersi il giudizio di rinvio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo e il quarto, accoglie il quinto e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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