Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1348 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. I, 22/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4731/2019 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in Pesaro, Via S. Francesco,

52, presso lo studio dell’Avv. Stefano Vichi, che lo rappresenta e

lo difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta dal cittadino (OMISSIS) G.M., per le seguenti ragioni:

Con riferimento al riconoscimento dello status di rifugiato ha condiviso il giudizio di non credibilità del ricorrente espresso dalla C.T. anconetana ed ha ritenuto che il carattere episodico, occasionale e non specifico dell’asserita minaccia subita dal richiedente avrebbe escluso qualsivoglia possibilità di reiterazione da parte degli aggressori. Ne è conseguito l’infondatezza del timore di subire atti persecutori diretti ed attuali ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 7.

In merito alla mancata concessione della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), attesa la non credibilità del ricorrente, non sono emersi elementi sufficienti a comprovare il rischio di subire torture o altre forme di trattamenti inumani o degradanti, tenuto conto che nello Stato di provenienza sono presenti istituzioni in grado di fornire adeguata protezione in caso di pericolo effettivo.

Tantomeno è risultata integrata l’ipotesi di danno grave di cui dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. cit.. Invero, alla luce delle informazioni aggiornate acquisite dall’EASO (pag 3-5 del provvedimento impugnato), il Bangladesh non è caratterizzata da un livello di violenza indiscriminata, derivante da situazioni di conflitto armato o internazionale, tale da costituire una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile per la sola presenza nel territorio.

Da ultimo, è stato negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, poichè non si ravvisano condizioni individuali di elevata vulnerabilità che, ancorchè credibili e giustificate, precludano, in caso di rimpatrio, la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili di vita personale.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione il cittadino straniero. Non ha svolto difese il Ministero intimato.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 101 c.p.c., posto che il Collegio giudicante ha delegato l’audizione del richiedente ad un G.O.T. estraneo alla composizione del Collegio stesso. Pertanto, il decreto impugnato è stato emesso sulla base delle sole dichiarazioni riportate nel verbale di udienza, con conseguente violazione del diritto della parte di fornire informazioni relative ai presupposti della domanda di protezione direttamente ai giudici che sono tenuti a decidere.

La censura non supera il vaglio di ammissibilità dal momento che la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha ripetutamente escluso la nullità del procedimento nell’ambito del quale il Collegio della Sezione Specializzata in materia di immigrazione abbia delegato ad un giudice onorario di tribunale il compito di procedere all’audizione del richiedente, riservandosi la decisione della causa all’esito di tale adempimento: in proposito, infatti, è stata richiamata la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 116 del 2017, recante la riforma organica della magistratura onoraria, precisamente le disposizioni dettate dall’art. 10, che consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, ivi compresa l’assunzione di testimoni, e dall’art. 11, il quale esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari soltanto per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non sono compresi quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (cfr. Cass., Sez. I, n. 23983 del 2020; Cass., Sez. I, n. 7878 del 2020; Cass., Sez. I, n. 4887 del 2020; Cass., Sez. I, n. 3356 del 2019).

Nel secondo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), per non avere il Tribunale valorizzato in maniera adeguata il racconto del ricorrente, il quale precisa di aver già subito un episodio di violenza a cagione del proprio orientamento politico e di temere, in caso di rimpatrio, di essere vittima di ulteriori persecuzioni. Inoltre, considerato il clima di forte instabilità politica e sociale che contraddistingue il Bangladesh, è lecito aspettarsi che tale singolo episodio possa assumere i connotati di una vera e propria persecuzione politica ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e) del D.Lgs. cit..

Il motivo di ricorso è inammissibile poichè il Tribunale ha ritenuto non attendibile il racconto del ricorrente nel pieno rispetto dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed ha correttamente motivato l’iter logico sotteso a tale conclusione (si rinvia a pag. 2-3 del decreto). Per contro, la difesa non ha fornito elementi volti a superare tale giudizio negativo, limitandosi a prospettare una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate in sede di audizione. Una censura siffatta attiene esclusivamente al merito e, quindi, non può essere sollevata in sede di legittimità (si veda Cass. Sez. I, n. 3340 del 2019, Cass. Sez. I, n. 21377 del 2019 e Cass. Sez. I, n. 2561 del 2020).

In conclusione, stante il difetto di credibilità del ricorrente e l’insussistenza dei requisiti legittimanti il riconoscimento dello status di rifugiato, non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 2, comma 1, lett. e) del D.Lgs. cit..

Ciò determina l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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