Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13475 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/07/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 02/07/2020), n.13475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6399-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

LEADER AUTOMOBILI DI G.E. SNC, G.E., P.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA GERMANICO 197, presso lo

studio dell’avvocato NAPOLEONI MARIA CRISTINA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SARTI ANDREA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 68/2012 della COMM. TRIB. REG. della Toscana,

depositata il 16/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2019 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio di Prato – a seguito di un accesso presso la sede sociale e conseguente attività ispettiva – notificò a Leader Automobili di G.E. e P.C. s.n.c. (di seguito anche “Leader” o “la società”), nonchè ai predetti soci in proprio, relativamente alla rispettiva quota di partecipazione, tre avvisi di accertamento in relazione all’anno 2004. In particolare, l’Ufficio contestò, ai fini IRES e IRAP, ricavi non dichiarati per Euro 39.093,00 e, ai fini IVA, l’omessa fatturazione di operazioni imponibili per l’importo di Euro 7.819,00 e l’indebita detrazione d’imposta per l’importo di Euro 208.800,00; era infatti emerso – quanto a tale ultima contestazione – che Wunderwagen s.r.l., che aveva emesso n. 33 fatture verso la società per l’acquisto di autovetture, era in realtà una “cartiera”, sicchè la detrazione da parte della Leader era da ritenersi riferita ad operazioni inesistenti.

Impugnati detti avvisi dalla società e dai soci con separati ricorsi, la C.T.P. di Prato – previa loro riunione – li respinse con sentenza n. 52/03/10. Con successiva sentenza del 16.7.2012, la C.T.R. della Toscana accolse però l’appello proposto dalla società e dai soci, riformando la prima decisione e annullando gli avvisi impugnati. In particolare, contrariamente a quanto opinato dalla C.T.P., osservò il giudice d’appello che l’Ufficio aveva solo presunto, ma non adeguatamente provato, la fittizietà delle operazioni con Wunderwagen s.r.l., nè che Leader conoscesse o fosse in grado di conoscere le frodi compiute dalla prima, o che addirittura vi avesse partecipato. Quanto al recupero di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, la C.T.R. ritenne adeguata la spiegazione fornita dalla società circa il riscontrato segno negativo del conto cassa, da imputarsi ad un errore materiale.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di tre motivi, cui resistono con controricorso la società (ora Leader Automobili di G.E. s.n.c.), nonchè il socio G.E. e l’ex socio P.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19 D.P.R. n. 633 del 1972, nonchè degli artt. 2697 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Osserva la ricorrente che, nonostante la C.T.R. abbia ritenuto che l’Ufficio avesse fornito significativi elementi indiziari – in particolare: a) la Leader, anzichè acquistare le autovetture direttamente in UE, aveva utilizzato la Wunderwagen s.r.l., priva di qualsiasi esperienza, di mezzi e di una idonea struttura di impresa; b) la Wunderwagen non aveva un luogo di esercizio dell’attività, operando solo a seguito di ordini ricevuti per telefono o per e-mail; c) i soci della Leader ignoravano la sede della Wunderwagen; d) quest’ultima ometteva il versamento IVA e poteva quindi vendere le auto a prezzo inferiore, così come la stessa Leader; e) i soci della Leader avevano dichiarato di pagare l’acquisto delle vetture in contanti, ma non v’era prova della consegna del denaro alla Wunderwagen -, tuttavia la stessa C.T.R. ha poi erroneamente ritenuto come l’Agenzia non avesse fornito la prova della fittizietà dell’interposizione di Wunderwagen, ossia che si fosse trattato, nella specie, di “frode carosello”. Ciò in quanto, secondo il giudice d’appello, non era stato provato che le vetture in discorso provenissero alla Leader direttamente dall’estero, nè che le ditte fornitrici fossero diverse da quella indicate in fattura, nè ancora quali fossero i presunti fornitori (diretti) esteri; la C.T.R. ha poi proseguito rilevando che Wunderwagen consegnava direttamente le auto ordinate, emettendo regolare fattura e incassando gli assegni emessi dalla Leader, a nulla rilevando che essa non avesse una idonea struttura aziendale, dovendo limitarsi ad acquistare e vendere vetture su ordinazione; quanto a Leader, la precarietà della sua struttura aziendale non si era rilevata determinante, considerato il volume d’affari raggiunto per l’anno in questione (più di un milione di Euro); infine, il giudice penale non aveva condannato il legale rappresentante della Wunderwagen per operazioni fraudolente ai danni dell’Erario in concorso con la Leader, bensì solo per omesso versamento dell’IVA e per la distruzione delle scritture contabili. Su tali premesse, sostiene la ricorrente come la sentenza impugnata si ponga in contrasto con l’insegnamento della S.C. in tema di “frode carosello” (segnatamente, Cass. n. 19127/2012 e Cass. n. 23560/2012), sia riguardo al riparto dell’onere della prova sul profilo oggettivo (sufficiente essendo dimostrare l’esistenza di una cartiera, senza necessità di risalire alla precisa identificazione dei fornitori comunitari, come invece affermato in sentenza), sia riguardo all’idoneità della prova presuntiva a sostenere la pretesa fiscale quanto al profilo soggettivo circa la conoscenza o conoscibilità della frode da parte del cessionario, che non s’era comportato come un avveduto operatore commerciale, in quanto Wunderwagen era la sola fornitrice della Leader per un consistente volume d’affari e gli stessi responsabili di quest’ultima avevano dichiarato di sapere che la prima non aveva una struttura operativa, giacchè il L.R. di Wunderwagen operava solo telefonicamente.

1.2 – Con il secondo motivo si lamenta insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Per il caso in cui si ritenesse che le statuizioni della C.T.R. costituiscano accertamento in fatto, l’Agenzia denuncia l’insufficienza e l’illogicità della motivazione, non avendo il giudice d’appello esaminato elementi essenziali, quali la circostanza che Wunderwagen era l’unico fornitore di Leader, nonchè quella per cui la prima s’era rivelata totalmente sfornita di struttura operativa. Inoltre, quanto alla sentenza penale cui ha fatto riferimento la C.T.R., da essa emergevano elementi a sostegno della tesi dell’Ufficio, ma non considerati dalla stessa C.T.R., come il fatto che Wunderwagen non aveva una propria struttura nè un magazzino, tanto che in un paio di occasioni era stato lo stesso G.E. (odierno controricorrente e socio della Leader, n. d.e.) a recarsi in Germania per prelevare le vetture, su delega del L.R. della stessa Wunderwagen. Da qui, quindi, l’apoditticità dell’affermazione secondo cui le vicende del giudizio penale nulla avevano a che vedere con l’oggetto di questo giudizio.

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, nonchè insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Avuto riguardo alla contestazione circa l’inattendibilità della contabilità della Leader per l’annotazione del conto cassa di segno negativo, con conseguente ripresa fiscale del relativo importo, la C.T.R. ha affermato come essa potesse ritenersi giustificata da un errore materiale nella scritturazione, essendo stato interessato il sottoconto cassa (34100) anzichè quello per finanziamento soci (34010), non avendo l’Ufficio dimostrato aliunde la sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati. Sostiene la ricorrente, in proposito, come la C.T.R. non abbia sottoposto ad alcun vaglio critico quanto affermato dagli appellanti circa la suddetta giustificazione, tanto più che la mera sussistenza del segno negativo del conto cassa, in quanto logicamente impossibile, comporta l’inversione dell’onere probatorio, a carico del contribuente.

2.1 – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sollevata dai controricorrenti.

L’Agenzia delle Entrate fa effettivamente riferimento a numerosi atti e documenti prodotti nella fase di merito, senza però indicare quando essi siano stati prodotti, nè in quale sede processuale essi siano rinvenibili. Tuttavia, è noto che “In tema di ricorso per cassazione, la verifica dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) deve compiersi con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione e la mancata specifica indicazione (ed allegazione) dei documenti sui quali ciascuno di essi, eventualmente, si fondi può comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonchè la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili….” (Cass., Sez. Un., 16887/2013).

Come si vedrà dall’esame dei singoli motivi, il pur sussistente deficit in cui è incorsa l’Agenzia ricorrente non si traduce nell’inammissibilità del ricorso (o anche dei singoli motivi analiticamente considerati) per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non assumendo al riguardo detti documenti valenza fondamentale (nel senso prima esposto) ai fini della comprensione delle specifiche censure proposte.

3.1 – Ciò posto, il primo motivo è inammissibile.

In proposito, va evidenziato che, in relazione agli elementi tipici delle cc.dd. frodi carosello, e al relativo riparto dell’onere probatorio, la giurisprudenza di questa Corte s’è ormai assestata nel senso che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (così, ex multis, Cass. n. 9851/2018).

3.2 – Ora, la C.T.R. ha ritenuto che l’Ufficio aveva solo presunto, ma non adeguatamente provato, la fittizietà delle operazioni con Wunderwagen s.r.l., nè che la Leader conoscesse o fosse in grado di conoscere le frodi compiute dalla prima, o che addirittura vi avesse partecipato. Ciò ha fatto, considerando che gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio (riportati supra, par. 1.1, lett. a-e) “seppur sospetti, non tutti sono rilevanti e pertinenti e comunque non sono sufficienti”, per le ragioni sinteticamente riassunte nello stesso par. 1.1, cui si rinvia. Ma la stessa C.T.R. ha soggiunto che, benchè non vi fosse tenuta, la società contribuente aveva addirittura dimostrato che essa nulla sapeva e poteva sapere riguardo alla “eventuale frode” realizzata dalla Wunderwagen, in quanto: aa) essa non conosceva i fornitori esteri della Wunderwagen; bb) per essa società, la Wunderwagen era una normale ditta venditrice, regolarmente iscritta alla CCIAA e operante nel settore auto; cc) la stessa Wunderwagen consegnava direttamente le auto ordinate, emetteva regolari fatture e incassava gli assegni della Leader; dd) non vi era possibilità, per i responsabili della Leader, di conoscere l’idoneità o meno della struttura aziendale della Wunderwagen, non essendosi mai recati presso la sua sede, nè essi potevano conoscere se la fornitrice tenesse regolarmente la contabilità, o se l’IVA venisse versata, o ancora “se i prezzi pagati dalla stessa all’estero erano uguali o più alti di quelli praticati alla Leader Automobili, ecc.”; ee) lo stesso Ufficio aveva impiegato diversi mesi per accertare le presunte frodi, segno della difficoltà per la Leader di fare altrettanto; ff) il mancato versamento dell’IVA e l’irregolare tenuta della contabilità non erano un problema della Leader.

3.3 – Come si evince da quanto precede, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, non è affatto vero che la C.T.R. abbia ritenuto che l’Ufficio avesse fornito gli elementi indiziari in discorso; all’opposto, essa ha valutato l’inidoneità di alcuni di quelli “riferiti dall’Ufficio” stesso, ossia già in astratto, a supportare la ripresa fiscale per cui è processo. In particolare, sul piano oggettivo, la C.T.R. ha evidenziato che non erano stati individuati i fornitori esteri della Wunderwagen (ossia, in tesi, della Leader), e ha ritenuto irrilevante che la fornitrice italiana non fosse dotata di una idonea struttura aziendale (“dovendo la soc. Wunderwagen limitarsi ad acquistare e vendere automobili su ordinazioni, e non con offerta e presentazione di auto al pubblico”), a nulla rilevando anche la precarietà della struttura operativa della stessa Leader; inoltre, ha sottolineato la diversità dei fatti rilevanti, oggetto del giudizio penale citato, rispetto a quelli qui in discussione; e ha poi chiosato con la mancata dimostrazione del coinvolgimento della Leader. La C.T.R., anzi, si è spinta fino a ritenere fornita la prova, da parte della Leder, della propria buona fede, nei termini poc’anzi evidenziati.

In proposito, ritiene la Corte che le superiori valutazioni si traducano, nel complesso, in accertamenti in fatto non censurabili sul piano della violazione di norma di diritto (se non sotto il profilo dell’errore di sussunzione, qui non in discussione), ma solo sul piano del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente, applicabile ratione temporis. Non è affatto casuale che la stessa Agenzia – del tutto consapevole della precaria tenuta del primo motivo, esattamente per il profilo in discorso (v. ricorso, p. 12) – abbia censurato la decisione d’appello anche sotto il profilo motivazionale, in relazione al detto accertamento di fatto, proprio con il secondo motivo, che ci si accinge a scrutinare.

4.1 – Il secondo mezzo è fondato.

Come può agevolmente evincersi dalla lettura della motivazione, la C.T.R. – in un quadro complessivamente critico rispetto alla tesi di fondo dell’Agenzia, con lettura “a freddo” degli elementi indiziari da essa allegati – incorre in evidente apoditticità di talune affermazioni, che inficiano la tenuta dell’intera motivazione stessa anche sul piano logico, avuto riguardo al thema decidendum, consistente appunto nella inscrivibilità o meno della fattispecie nell’ambito delle cc.dd. frodi carosello.

In particolare – pur avendo accertato che il giudizio penale a carico del L.R. di Wunderwagen s’era concluso con la sua condanna per omesso versamento IVA e per la distruzione delle scritture contabili – il giudice d’appello non spiega adeguatamente il perchè, in tali condizioni (da valutarsi non già sotto il profilo della indiscussa estraneità della Leader alla detta vicenda penale, ma come elemento dotato di indubbia valenza indiziaria), la mancanza di una adeguata struttura aziendale da parte di Wunderwagen non assuma alcun rilievo nel caso che occupa, nè per quale ragione essa “dovesse” limitarsi ad acquistare e vendere automobili “su ordinazione”, anzichè operare in forma tradizionale. Assolutamente illogica, poi, è la successiva affermazione secondo cui la mancanza di adeguata struttura aziendale anche della cessionaria Leader non sarebbe determinante, “considerate le vendite per più di un milione di Euro in un anno”: l’elevato volume d’affari, per una società dedita al commercio di autoveicoli, è di regola frutto di articolata organizzazione aziendale, sicchè la circostanza che tale ultima non sussista o sia “precaria”, come valutato dalla C.T.R., non può ordinariamente legarsi al volume d’affari stesso, perchè ne resti dimostrata l’adeguatezza. Al contrario, proprio l’eccezionalità del risultato indica la necessità, per il giudice di merito, di specificare con maggior rigore quali siano gli elementi fattuali che giustificano il raggiungimento del detto risultato, sulla base delle nozioni di comune esperienza.

Quanto poi al profilo dell’estraneità di Leader alla “eventuale frode messa in atto dalla predetta soc. Wunderwagen” (così la sentenza impugnata), è il caso di evidenziare che, con principio affermato in relazione alla fruibilità del c.d. regime del margine D.L. n. 41 del 1995, ex art. 36, comma 1, conv. in L. n. 85 del 1995, ma senz’altro estensibile anche alla materia che qui occupa (v. Cass. nn. 21807, 21808, 21809 e 23214 del 2019), è preciso dovere del rivenditore di veicoli usati “… dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto”.

Pertanto, l’operato “diligente” del rivenditore di autoveicoli usati non può essere improntato alla mera ricerca del profitto, ma deve opportunamente essere orientato ad evitare transazioni che si presentino idonee a farne sospettare l’illegittimità.

Anche su tale aspetto, la motivazione è assolutamente carente, perchè – proprio a fronte della pur valutata “precarietà” delle strutture aziendali sia del cedente che del cessionario – il giudice d’appello giunge ad affermare che la Leader aveva comunque assolto il proprio onere, senza tuttavia spiegare come possa dirsi irrilevante, ai fini della valutazione della diligenza di quest’ultima, la circostanza che i suoi responsabili non si fossero mai recati presso la sede del fornitore, nè sapevano dove fosse; nè per quale ragione non dovesse loro interessare se il prezzo degli autoveicoli pagato dalla Wundervagen all’estero fosse uguale o più alto di quello praticato alla Leader.

Si tratta di questioni decisive che entrano a pieno titolo nel perimetro della verifica della diligenza del cessionario, ma rimaste – nella valutazione fattane dalla C.T.R. – sul piano della assoluta apoditticità.

5.1 – Anche il terzo motivo è fondato.

Infatti, è evidente che l’affermazione della C.T.R., secondo cui l’annotazione del conto cassa di segno negativo sia verosimilmente frutto di un errore materiale è apodittica e comunque errata, restando abilitato l’Ufficio – per effetto della riscontrata negatività del conto cassa (che è registrazione ontologicamente falsa, non essendo essa ipotizzabile neanche sul piano teorico) – a procedere alla rideterminazione del reddito d’impresa su base induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), anche avvalendosi di presunzioni semplici, purchè dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, nonchè – qualora ricorrano le ipotesi di cui al comma 2 – con facoltà di avvalersi anche della presunzioni cc.dd. supersemplici, cioè prive dei detti requisiti. Presunzioni che, in ogni caso, devono essere vinte dal contribuente con argomenti (anche sul piano probatorio) puntuali, e non con mere supposizioni, inspiegabilmente valorizzate, nella specie, dal giudice d’appello.

Del resto, è ampiamente ricevuto l’insegnamento secondo cui “In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed IVA, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo” (Cass. n. 25289/2017; Cass. n. 656/2014; Cass. n. 11988/2011; Cass. n. 27585/2008).

6.1 – In definitiva, il primo motivo è inammissibile, il secondo e il terzo sono accolti. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, che esaminerà nuovamente l’appello della società e dei soci fornendo adeguata motivazione sui profili fattuali prima evidenziati, applicando il principio enunciato riguardo al terzo motivo e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo e il terzo Cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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