Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13470 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. I, 03/06/2010, (ud. 04/05/2010, dep. 03/06/2010), n.13470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IMPRESA ELISEO ING. RENATO S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), già Eliseo

Ing. Renato, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 113, presso

l’avvocato ROMEO FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato

POTENTE RENATO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CERIGNOLA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. S. NITTI 11,

presso l’avvocato NAPOLETANO PAOLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MANDRONE MICHELE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 791/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 21/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L’ing. E.R. con citazione dell’8 novembre 1990 convenne dinanzi al tribunale di Foggia il Comune di Cerignola chiedendo che fosse risolto un contratto intercorso con il Comune convenuto e che questo fosse condannato al risarcimento dei danni.

Instauratosi il contraddittorio, con successive note scritte l’attore addebitò al Comune oltre che una responsabilità contrattuale anche una responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1375 cod. civ., Il tribunale, con sentenza del maggio 2001 dichiarò inammissibile la domanda di risoluzione e accolse la domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, condannando il Comune al pagamento della somma di L. 30.680.00, oltre accessori.

Appellata la sentenza da entrambe le parti, la Corte d’appello di Bari, con sentenza 21 settembre 2004, riformò la sentenza del tribunale rigettando le domande proposte. L’Impresa Eliseo ing. Renato, s.r.l., nei cui confronti la sentenza impugnata risulta emessa, ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 18 aprile 2005 al Comune di Cerignola formulando tre motivi ai quali il Comune resiste con controricorso notificato il 27 maggio 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto non proposta la domanda di risarcimento per responsabilità precontrattuale, come dimostrato dalle conclusioni prese con l’atto di appello incidentale (che si riportano), essendo stata invece tale domanda proposta sia in primo grado che in appello. Ciò risulterebbe dalle note del 21 ottobre 1991, 11 novembre 1993, 2 marzo 1995 e 4 marzo 1996 del giudizio di primo grado e il tribunale avrebbe correttamente ritenuto tale domanda proposta.

Il motivo è inammissibile per non essere con esso censurata la “ratio decidendi” della sentenza della Corte d’appello sul punto.

La Corte d’appello – nel riformare la sentenza di primo grado rigettando la domanda di risarcimento per responsabilità precontrattuale in quanto decidendo su di essa il giudice di primo grado aveva statuito “ultra petita” – ha affermato: a) che la domanda proposta con l’atto di citazione era una domanda di risarcimento per responsabilità contrattuale, avendo parte attrice solo con le successive note del 21 ottobre 1991 prospettato anche una eventuale responsabilità precontrattuale; b) che in tutte le tre udienze di precisazione delle conclusioni che si sono tenute nel giudizio di primo grado parte attrice ha fatto riferimento esplicito alle sole conclusioni dell’atto di citazione, che riguardavano esclusivamente una domanda di risarcimento per responsabilità contrattuale; c) che, pertanto, era stata accolta una domanda non contenuta nelle conclusioni formulate.

Il nucleo essenziale della “ratio decidendi” risulta quindi costituito dall’avere parte attrice formulato, nel giudizio di primo grado, conclusioni in cui si richiamavano specificamente quelle dell’atto introduttivo del giudizio, non riferibili a una domanda di risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale, in quell’atto non formulata.

A nulla rileva, pertanto, che nel motivo si deduca che con note successive all’atto di citazione detta domanda sia stata formulata, essendo ciò irrilevante rispetto alla sopra menzionata “ratio decidendi”, che non è stata censurata.

2. Con il secondo motivo si denunciano vizi motivazionali in relazione alla ritenuta extrapetizione, per non avere la Corte d’appello tenuto conto della formulazione della domanda in questione nei sopra detti scritti difensivi e confermata nella richiesta formulata nell’appello incidentale di conferma della sentenza di primo grado, nonchè per non avere considerato che non vi è vizio di extrapetizione ove la domanda risulti implicitamente formulata e per non avere motivato al riguardo.

Anche tale motivo è inammissibile per le stesse ragioni indicate al numero precedente riguardo alla deduzione che la domanda era stata proposta in atti successivi alla citazione. Quanto invece al dedotto vizio motivazionale nell’interpretazione della domanda originaria, esso è infondato, per essere la “ratio” dell’interpretazione della Corte d’appello fondata sulla circostanza che, essendo stata chiesta con la citazione la risoluzione del contratto in questione e il risarcimento in conseguenza di essa, risulta correlativamente e motivatamente accertato che tale risarcimento non poteva essere stato richiesto a titolo di responsabilità precontrattuale. Nè, del resto, con il motivo si prospettano elementi non esaminati, presenti nell’atto di citazione, che potessero comunque configurare un vizio motivazionale sul punto.

3. Con il terzo motivo si denunciano la violazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, comma 4, e vizi motivazionali “circa la competenza della giunta municipale nell’aggiudicazione definitiva dell’appalto”.

Si deduce in proposito che la Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare l’appello incidentale, con il quale si deduceva l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile la domanda di risoluzione del contratto e rigettato quella di risarcimento conseguente alla risoluzione.

Infatti, avendo il CO.RE.CO. ratificato l’aggiudicazione definitiva, annullando le deliberazioni di giunta solo nella parte in cui non prevedevano l’obbligo di reperire la copertura finanziaria attraverso un mutuo prima della stipula del contratto, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito il vincolo contrattuale si sarebbe perfezionato, in conformità del principio secondo il quale nei contratti della p.a. con il sistema dell’asta pubblica o licitazione privata il verbale di aggiudicazione definitiva equivale a contratto.

Inoltre la Corte d’appello avrebbe anche errato nel ritenere l’aggiudicazione definitiva di competenza del consiglio comunale e non della giunta municipale, nonostante che il CO.RE.CO. in sede di controllo, non avesse rilevato alcun vizio sotto tale profilo e ratificato l’aggiudicazione, divenuta pertanto esecutiva. Errata sarebbe anche l’affermazione della Corte d’appello secondo la quale il perfezionamento del contratto, come risultava dalla lettera d’invito alla gara, era sottoposto alla condizione di finanziamento e quindi l’aggiudicazione non ne comportava il perfezionamento, poichè nei contratti della p.a. con il sistema dell’asta pubblica o licitazione privata il verbale di aggiudicazione definitiva equivale a contratto.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che il contratto in questione non si fosse perfezionato a seguito dell’aggiudicazione e della sua approvazione da parte della giunta comunale di Cerignola – avvenuta in data 21 ottobre 1986 con delega al sindaco per la stipulazione del contratto – annullata per tale ultima parte dall’organo di controllo mancando il relativo finanziamento, da compiersi mediante accensione di un mutuo garantito da contributo regionale.

La Corte di merito ha ritenuto in proposito, con attività ermeneutica ad essa riservata e statuizione costituente autonoma ed assorbente “ratio decidendi”, da sola idonea a sorreggere la decisione, che nel caso di specie il contratto non poteva intendersi stipulato con l’aggiudicazione, poichè la lettera d’invito alla gara recava l’indicazione che l’opera pubblica oggetto di essa era ancora “da finanziare ai sensi della L. n. 457 del 1978, art. 18, con mutuo da assumere con il Banco di Napoli”, così rendendo manifesto ai concorrenti che l’amministrazione doveva intendersi obbligata alla stipulazione del contratto solo a seguito dell’erogazione di detto mutuo. Ha pertanto ritenuto che alla fattispecie non fosse applicabile la regola generale secondo la quale, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 16, comma 4, i processi verbali di aggiudicazione definitiva in seguito a incanti pubblici o licitazioni private equivalgono per ogni effetto legale al contratto, in quanto l’assunzione dell’impegno contrattuale da parte del Comune presupponeva la previa stipulazione del mutuo, solo a seguito della quale il contratto poteva essere stipulato.

Essendo tale interpretazione – in relazione alla quale non sono state formulate censure idonee a inficiarla – conforme al principio enunciato dalla costante e risalente giurisprudenza di questa Corte secondo la quale dal bando di gara può risultare, anche implicitamente, la volontà dell’amministrazione di rinviare la costituzione del vincolo ad un momento successivo (Cass. sez. un., 17 giugno 1991, n. 6846; 11 giugno 1998, n. 5807; Cass. 19 novembre 1997, n. 11513 e da ultimo Cass. 26 maggio 2006, n. 12629), ne deriva il rigetto del motivo e del ricorso.

A ciò consegue la condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di Euro millesettecento, di cui Euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

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