Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1347 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. I, 22/01/2021, (ud. 15/04/2020, dep. 22/01/2021), n.1347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34872/2018 proposto da:

A.H., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico, n.

38, presso lo studio dell’Avv. Roberto Maiorana, che lo rappresenta

e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di ROMA n. 15212/2018, pubblicato in

data 23 ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex art. 35 bis del D.Lgs. n. 25 del 2008, A.H., nato in (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Roma, il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato di essere di fede musulmana e di essere sposato con una ragazza algerina, che lo aveva seguito in Italia e che aspettava un figlio da lui; che la sua famiglia non aveva accettato il matrimonio; che non era riuscito a pagare il camion che si era comprato per vendere la frutta e che il venditore si era vendicato mettendogli della droga nel negozio e aveva, quindi, subito una condanna a quattro anni di reclusione, ridotti poi ad un anno grazie all’intervento dell’avvocato; che una volta fuori era stato nuovamente processato per il mancato pagamento del camion ed era stato condannato a 10 anni di carcere, ma lui si era nascosto in campagna con la moglie e non aveva avuto modo di ricorrere ad un legale; che temendo l’arresto e la vendetta del suo creditore, un mafioso locale molto potente, aveva lasciato l’Algeria nel (OMISSIS) ed era andato in Svizzera e da qui mandato in Italia.

3. Il Tribunale ha respinto la domanda, con Decreto del 23 ottobre 2018, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, anche umanitaria.

4. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso A.H., con atto notificato il 22 novembre 2018, svolgendo tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo A.H. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e l’omesso ed errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente, avendo il ricorrente dichiarato, durante l’audizione del 2 luglio 2018 davanti al giudice, di essere arrivato in Italia con la moglie e di avere avuto un figlio da lei il (OMISSIS) e di vivere con loro in un centro di accoglienza a (OMISSIS).

2. Con il secondo motivo A.H. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e l’omesso esame delle condizioni del paese di provenienza del ricorrente e delle conseguenze in caso di rimpatrio; l’omesso esame concretizzato in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

3. Con il terzo motivo A.H. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato il Tribunale a non applicare al ricorrente la protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017, che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e all’art. 3 CEDU.

3.1 Il primo motivo è fondato.

In particolare, il ricorrente deduce l’omesso esame delle dichiarazioni rese al giudice in sede di audizione, avvenuta il 2 luglio 2018, e in particolare, del fatto che era arrivato in Italia con la moglie e di avere avuto un figlio da lei il (OMISSIS) (successivamente all’audizione innanzi la Commissione territoriale) e di vivere con loro in un centro di accoglienza a (OMISSIS).

3.2 Sul punto, il Tribunale nella parte descrittiva ha richiamato la circostanza riferita dal richiedente che la moglie aspettava un figlio da lui, ma nulla ha affermato sulla nascita del figlio del richiedente in data (OMISSIS).

3.3 Questa Corte non ignora che, in alcune decisioni, la situazione di essere padre convivente di un figlio minore è stata risolta nel senso dell’insufficienza della qualità di padre convivente di un minore presente sul territorio italiano al fine di giustificare la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass., 26 maggio 2000, n. 9823; Cass., 9 marzo 2020, n. 6857).

Ancora questa Corte ha affermato che “è pur vero che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, indica come soggetti non espellibili gli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi, e le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, implicitamente negando rilievo alla mera veste di genitore affidatario di figlio minore sul territorio italiano” e, tuttavia, “il comma 2-bis dello stesso articolo (inserito dal D.L. n. 89 del 2011, art. 3, comma 1, lett. g), n. 2), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 129 del 2011) dispone, tra l’altro, che il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori debbano essere effettuate solo con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate” (Cass., 10 luglio 2019, n. 18540).

Questa Corte, nella sentenza richiamata, ha anche evidenziato che “Per altro verso, anche del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h-bis), (come modificato ad opera del D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 25, comma 1, lett. b), n. 1) definisce le “persone vulnerabili”, includendovi, oltre ai minori, ai minori non accompagnati, ai disabili, agli anziani, alle donne in stato di gravidanza, alle persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, alle vittime della tratta di esseri umani, alle persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, alle vittime di mutilazioni genitali, anche i ” genitori singoli con figli minori”.

La Corte ha, quindi, precisato che quella di genitore singolo con figlio minore è una situazione di vulnerabilità normativamente tipizzata (anche nell’ambito Europeo dove l’art. 21 della Direttiva 26/06/2013 n. 33 2013/33/CE, impone agli Stati membri di tener conto nelle misure nazionali di attuazione della specifica situazione di persone vulnerabili anche dei genitori singoli con figli minori) potenzialmente rilevante ai fini della protezione di carattere umanitario.

3.4 Ad avviso del Collegio, nel caso in esame, dove lo stesso ricorrente deduce di convivere con la moglie e il figlio in un centro di accoglienza a (OMISSIS), occorre fare specifico riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, a norma del quale “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge”.

Si tratta di una norma che, all’evidenza, individua i presupposti del permesso di soggiorno nella tutela del minore, richiamando situazioni oggettivamente gravi, comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile, se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa, non diretta in ragione dei “gravi motivi” richiamati ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori.

3.5 Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso temporaneo in Italia, prevista dall’art. 31, comma 3, cit., costituisce una misura incisiva “a tutela e a protezione del diritto fondamentale del minore a vivere con i genitori” (Cass., Sez. U., 12 giugno 2019, n. 15750).

Spetta, poi, al richiedente l’autorizzazione l’onere di allegazione della specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore dall’allontanamento del genitore (Cass. 16 gennaio 2020, n. 773).

3.6 Ne consegue che, tenuto conto che la funzione della richiamata disposizione è quella di salvaguardare il superiore interesse del minore in situazioni nelle quali l’allontanamento o il mancato ingresso di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l’esistenza, l’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso nel territorio nazionale riceve tutela nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psicofisico del minore.

Proprio la diversità della posizione del richiedente, rispetto a quella del minore fa sì che l’art. 31 del D.Lgs. citato, non vale ad escludere la rilevanza della protezione umanitaria, quando uno dei fattori valorizzati dal richiedente sia il legame familiare con il figlio minore che si trova nel territorio italiano.

E ciò alla luce del principio ribadito da questa Corte che la protezione umanitaria realizza una tutela aperta che non può essere ricondotta a regole rigide e a parametri severi, che ne limitano le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459) e tenuto, altresì conto, dell’art. 8 CEDU, secondo cui la vita familiare va intesa come diritto di vivere insieme affinchè i relativi rapporti possano svilupparsi normalmente e i membri della famiglia possano godere della reciproca compagnia.

3.7 La decisione impugnata va, quindi, cassata con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità e il giudice del rinvio dovrà operare la necessaria valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione raggiunta nel paese di accoglienza, secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 13 novembre 2019, n. 29459).

4. Il secondo e terzo motivo devono ritenersi assorbiti in ragione dell’accoglimento del primo motivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e, assorbiti il secondo e terzo motivo, cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di

Roma, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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