Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13469 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.L., rappr. e dif. dall’avv. Marilena Cardone,

marilenacardone.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso il suo

studio in Roma, via Chisimaio n. 29, come da procura allegata in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Roma 24.9.2019, n. 5769/2019,

R.G. 7787/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 25.2.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. DA.YO.KE.DI. impugna la sentenza App. Roma 24.9.2019, n. 5769/2019, R.G. 7787/2017 che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Roma 17.10.2017, che a sua volta aveva rigettato il ricorso contro il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva negato la protezione internazionale, in tutte le misure, nonchè il permesso di soggiorno per motivi umanitari;

2. la corte, per quanto qui d’interesse, ha ritenuto: a) insussistenti, già nel racconto, peraltro generico e non credibile, dell’appellante, i fondati motivi di una persecuzione personale e diretta, avendo egli riferito di aver lasciato il Senegal per timore di essere ucciso dal padre, militante in un gruppo di ribelli o di essere ucciso da costoro, non condividendone la causa, ma senza allegazione di atti persecutori; b) insussistente ogni rischio di danno grave, così come assente il conflitto armato di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nella regione di Casamance; c) esclusi i presupposti della protezione umanitaria, per genericità della domanda e difetto già di allegazione della vulnerabilità, anche in ragione della assente illustrazione di una censura specifica sul punto;

3. il ricorso è su tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il ricorso si contestano: a) l’erronea esclusione di un pericolo persecutorio a carico del ricorrente, connesso al rimpatrio e alla gravità della disobbedienza dal medesimo praticata nei confronti del padre, dovendo poi valorizzarsi nel dubbio come verificata la plausibilità della narrazione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3; b) il mancato esercizio della cooperazione istruttoria quanto alle condizioni del sistema giudiziario in Senegal; c) l’immotivato diniego della protezione umanitaria;

2. il primo motivo è inammissibile; la doglianza infatti censura il giudizio, rimesso al giudice del merito, della non credibilità del narrato, che la corte ha riferito a genericità delle dichiarazioni rese, indicando anche le contraddizioni – rispetto alla condizione personale esposta – su cui tale apprezzamento aveva riscontro; avendo il giudice di merito esclusa la credibilità delle dichiarazioni del richiedente, anche la insistita sua qualità di potenziale vittima di persecuzione politica, senza più dettagliata enunciazione di specifici atti subiti o prospettati, in quanto condizioni non provate e non credute, non può costituire il presupposto, in sè inteso, per scrutinare la correttezza dei tre dinieghi enunciati; sul punto, va ribadito che “il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. n. 21142/2019);

3. per altri profili, il ricorso difetta di specificità, non avendo riportato almeno nei tratti essenziali – l’insieme delle dichiarazioni rese ovvero la documentazione oggetto di mancata valutazione da parte del tribunale, accompagnandola alla indicazione della tempestiva e rituale inserzione nel processo;

4. la censura poi, non considera che il giudizio negativo sulla credibilità ha correttamente orientato in modo ostativo il tribunale anche con riguardo ai presupposti della protezione sussidiaria, genericamente avversata nel secondo motivo – parimenti inammissibile – oltre che di quella umanitaria, sulla quale comunque la deduzione del rischio è stata giudicata come non precisa; anche il secondo motivo, per questo profilo, si contrappone in modo generico alla statuizione giudiziale sull’assenza di conflitto armato, omette anche solo di richiamare fonti alternative, più specifiche (con riguardo alla zona di provenienza) e decisive, quali idonee ad incrinare le conclusioni motivate cui è giunto il decreto (Cass. n. 22385/2020); tanto più che, si ripete, “la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. n. 18306/2019);

5. quanto alla censura sul diniego di protezione umanitaria, il terzo motivo è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. n. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. n. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. n. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi di un’effettiva comparabilità, al fine di censire la vulnerabilità del ricorrente e potendosi aggiungere che l’odierna censura è inammissibile laddove non avversa il giudizio d’insufficienza dell’attività lavorativa, senza indicare altri fattori di tempestiva e rituale produzione;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. n. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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