Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13466 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4095-2018 proposto da:

LA CORTE EN. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. GAETANO DONIZETTI 7 INT. 5,

presso lo studio dell’avvocato DANIELA GIAMPORTONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FABRIZIO DI MARIA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SANTA MARGHERITA LIGURE, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAGO DI LESINA 35,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CORATELLA, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 951/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LIGURIA, depositata il 22/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RITA

RUSSO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- La società ha impugnato le ingiunzioni TARSU degli anni 2009/2010 deducendo la violazione del principio del ne bis in idem atteso che la pretesa fiscale era già stata esercitata con altre ingiunzioni di pagamento già impugnate con altri ricorsi; deduce inoltre la mancanza di legittimazione passiva perchè non aveva in conduzione l’immobile “Park Hotel Suisse” l’Hotel avendolo ceduto sin dal 2004 ad altri; deduce infine il difetto di motivazione dell’atto. La CTP respinge il ricorso ritenendo che le ingiunzioni impugnate riguardino posizioni non saldate. La società propone appello che è rigettato dalla CIR della Liguria con sentenza del 22 giugno 2017; il giudice di appello rileva che il contratto di affitto di azienda è scaduto nel 2008 quindi negli anni 2009 e 2010 l’immobile è tornato nella disponibilità della società; osserva inoltre che non è possibile proporre eccezioni che avrebbero potuto essere proposte avverso gli avvisi di mora.

2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso il Comune. Assegnato il procedimento alla sezione sesta, su proposta del relatore è stata fissata l’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., notificando la proposta e il decreto alle parti.

Diritto

RITENUTO

CHE:

3.- Con il primo motivo del ricorso, la parte lamenta l’omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 350 c.p.c., n. 5. Secondo la parte i giudici del merito hanno omesso di esaminare documenti decisivi relativi all’affitto di azienda e omesso di considerare che nonostante la scadenza contrattuale non erano cessati gli effetti del contratto perchè l’attività non era stata formalmente riconsegnata.

Il motivo è inammissibile. Il ricorso della contribuente è stato respinto sia in primo che in secondo grado e pertanto si verte in un ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

Il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 10897/2018Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014). Il ricorrente non ha compiutamente assolto a quest’onere nè ha trascritto quelle parti dei documenti il cui esame è stato asseritamente trascurato dalla CTR nella parte in cui dimostrerebbero l’assunto di essa ricorrente; inoltre il giudice d’appello compie un accertamento in fatto sulla natura simulata del contratto di affitto, che la ricorrente non sottopone a specifica censura.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in quanto non è stata indicato il procedimento di computo degli interessi e non è stata considerata la illegittima violazione del principio del ne bis in idem.

Il motivo è infondato.

La CTR ha evidenziato che il calcolo degli interessi era contenuto negli atti di costituzione in mora, precedentemente notificati e afferenti la stessa pretesa tributaria; ha inoltre evidenziato che l’ingiunzione di pagamento era atto diverso da quelli precedentemente notificati. Si tratta di accertamenti in fatto di cui non si può chiedere il riesame in questa sede.

Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, Camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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