Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13465 del 29/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.29/05/2017),  n. 13465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14435-2011 proposto da:

FERRETTI S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,

presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO TOFFOLETTO,

ANDREA MORONE, FEDERICA PATERNO’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati GIANDOMENICO

CATALANO e LORELLA FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 26/02/2011 R.G.N. 441/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. CALAFIORE DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BENEDETTA GAROFALO per delega verbale Avvocato

FEDERICA PATERNO’;

udito l’Avvocato GIANDOMENICO CATALANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 83/2011, la Corte d’appello di Brescia ha dichiarato il diritto dell’INAIL al pagamento di differenze sui premi assicurativi rivendicate a seguito di accertamenti ispettivi nei confronti di Ferretti s.p.a. per ore di lavoro straordinario non registrate ed espletate dai dipendenti impegnati nell’esecuzione di attività manutentiva presso l’acciaieria di proprietà della s.p.a. Dalmine negli anni 2001, 2002 e 2003, detratta per tutti un’ ora di pausa per il pranzo. La Corte territoriale, decidendo su impugnazione dell’Inail avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva integralmente accolto la domanda di accertamento negativo proposta da Ferretti s.p.a. avverso verbale ispettivo e certificati di variazione, ha ritenuto che integrasse la nozione di orario di lavoro retribuibile, ai fini del calcolo dei premi dovuti, il tempo impiegato dai dipendenti per raggiungere il posto di lavoro dopo aver marcato il cartellino alla portineria dello stabilimento della Dalmine s.p.a. e quello comunque trascorso all’interno dell’acciaieria immediatamente dopo il turno. Inoltre, la Corte ha ritenuto sufficientemente provata, dalla timbratura dei cartellini marca tempo in uso ai dipendenti di Ferretti s.p.a. riferita dai verbali ispettivi, la presenza presso il luogo di lavoro di taluni dipendenti non registrati nel libro matricola.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Ferretti s.p.a. (oggi denominata Immobiliare Ferretti s.r.l.) fondato su sette motivi ed illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

L’Inail resiste con controricorso pure illustrata da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Società ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare, la sentenza avrebbe errato nel gravare la parte ricorrente, che ha agito in accertamento negativo, dell’onere di provare l’insussistenza dei fatti solo genericamente indicati nei verbali ispettivi senza neanche valorizzare la mancanza di idonea contestazione da parte dell’Inail delle dettagliate circostanze allegate dalla Società relative alla vastità dell’area dello stabilimento della Dalmine s.p.a., al fine di negare che il tempo di percorrenza al suo interno potesse ritenersi orario di lavoro.

2. Il secondo motivo indica l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La sentenza, infatti, avrebbe fondato il proprio accertamento esclusivamente sulle asserzioni dei verbali ispettivi, senza tenere in considerazione le risultanze istruttorie di primo grado favorevoli alla tesi della Società.

3. Con il terzo e quarto motivo di ricorso, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (R.D.L. n. 692 del 1923, artt. 1, 3 e 6 e del R.D. n. 1955 del 1923, artt. 5 e 10, Direttiva U.E. n. 104/1999, D.Lgs. n. 66 del 2003, artt. 1 e 8) nonchè, con separata articolazione nel terzo motivo, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Tali doglianze, in sostanza, criticano la ricostruzione della nozione normativa dell’orario di lavoro adottata dalla Corte territoriale perchè eccessivamente lata e comprendente anche tempi in cui il lavoratore non rende alcuna effettiva prestazione, nè si trova in situazione in cui tale prestazione possa essergli richiesta. Peraltro, nel corso del giudizio si era raggiunta la prova che talvolta alcuni lavoratori erano soliti trattenersi all’interno dello stabilimento per proprie ragioni.

4. Il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 416 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e riprende i temi già trattati nei precedenti motivi in ordine alla regola di riparto dell’onere probatorio ed alla necessità di non considerare oggetto di prova quanto non espressamente contestato dall’Inail in ordine alle abitudini dei lavoratori all’interno dell’acciaieria ed ai loro movimenti.

5. Con il sesto motivo, poi, si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento alle differenze sui premi assicurativi pretese per lavoratori che l’INAIL assume non siano stati registrati sul libro matricola ma che risultavano presenti in cantiere dai tabulati della Dalmine s.p.a..

6. Il settimo motivo, infine, lamenta violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. c), in punto di mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla Società per la contribuzione pretesa relativa all’anno 2001.

7. I motivi – nel loro insieme- imputano alla sentenza impugnata l’erronea qualificazione in termini di orario di lavoro sia del tempo impiegato dai dipendenti Ferretti s.p.a. per giungere presso il proprio posto di lavoro all’interno della estesa acciaieria di proprietà di Dalmine s.p.a., che di quello ivi trascorso per ragioni di mero intrattenimento. La sentenza, poi, sarebbe motivata in modo incongruo in ordine al raggiungimento della prova delle ore effettivamente prestate dai lavoratori della Ferretti s.p.a., risultando tale prova fondata sulle risultanze ispettive che si erano limitate all’esame dei cartellini marcatempo dei lavoratori della Ferretti s.p.a., registrati dalla Dalmine s.p.a..

8. I motivi fondati sui vizi di violazione e o falsa applicazione di legge vanno trattati unitariamente in quanto la critica involge cumulativamente, senza che possa separarsi un piano dall’altro, sia la ricognizione sul piano normativo della definizione di orario di lavoro operata dalla sentenza che il riparto dell’ onere della prova sulle concrete circostanze che integrano la nozione di orario di lavoro nell’ipotesi di accertamento negativo dell’obbligo assicurativo.

9. Segue, poi, in ordine logico, la disamina della censura di incoerenza ed inidoneità del processo logico della motivazione della sentenza impugnata che attiene, invece, alla valutazione del materiale probatorio comunque acquisito.

10. Le doglianze sono infondate.

11. Quanto alla delimitazione dell’arco temporale definibile orario di lavoro rilevante ai fini retributivi e contributivi, con riguardo al tempo che precede e segue la prestazione lavorativa, questa Corte di legittimità (da ultimo si vedano Cass. n. 20694 del 3 giugno 2015; 20714/2013; 1697/2012; Cass. 3763/1998; 15734/2003; 19273/2006), ha affermato che:

– il R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 (vigente in parte all’epoca dei fatti controversi), a norma del quale “è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa”, non preclude che il tempo necessario a porre in essere attività strettamente prodromiche a tale occupazione sia da considerarsi lavoro effettivo e che esso debba essere pertanto retribuito ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa;

– ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, il D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 2, lett. a), attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro;

– la materia dell’orario di lavoro rientra nell’ambito del diritto dell’Unione limitatamente ai profili incidenti sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, quindi, limitatamente alla previsione di limiti massimi alla durata della prestazione mentre il profilo retributivo, e, conseguentemente, anche quello dell’imponibile contributivo, dell’orario di lavoro rientrano nella competenza esclusiva del legislatore nazionale.

12. Le disposizioni del diritto italiano che incidono sulla materia, relativamente all’ oggetto della presente controversia che investe per intero gli anni 2001, 2002 e 2003 sono, sino al 28 aprile 2003, quelle dettate dal R.D.L. n. 692 del 1923 e dai suoi regolamenti di attuazione, e, per la seconda parte, quelle contenute nel D.Lgs. n. 66 del 2003. La normativa del 1923 considerava lavoro effettivo quello che richiede un’applicazione assidua e continuativa ed escludeva da tale ambito occupazioni discontinue o di semplice attesa o custodia, stabilendo che queste ultime occupazioni potevano pertanto superare i limiti massimi temporali fissati dalla legge.

Il regolamento di attuazione per le imprese industriali, emanato con R.D. n. 1955 del medesimo anno, precisava (art. 3) che non si considerano come lavoro effettivo: 1) i riposi intermedi che siano presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda; 2) il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro; 3) le soste di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione all’operaio o all’impiegato. Anche questa normativa non è finalizzata a stabilire qual è il tempo di lavoro retribuibile, bensì a fissare i limiti massimi della durata del lavoro, tanto che in taluni casi riposi e pause sono retribuiti. Comunque, nel considerare le fasi prodromiche, si limita ad escludere il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro.

13. La normativa del 2003 riprende dal diritto europeo la definizione di orario di lavoro ed introduce una disciplina che va al di là dei limiti tematici del diritto dell’Unione. La definizione è così formulata: “Agli effetti delle disposizioni del presente decreto si intende per a) orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. La formula, come è stato evidenziato da Cass. n. 1839/2012 e n. 1703/2012, è volutamente ampia e tale da includere nella nozione non solo l’attività lavorativa in senso stretto, ma anche le operazioni strettamente funzionali alla prestazione. A questo fine è necessario che il lavoratore sia “a disposizione” del datore di lavoro, cioè soggetto al suo potere direttivo e disciplinare.

14. Quanto alla regola di riparto dell’onere probatorio, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte Suprema (per superare la quale il ricorso non fornisce idonee argomentazioni) ha affermato che, in tema di determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi, l’ente previdenziale deve provare che il lavoratore ha ricevuto dal datore di lavoro somme a qualunque titolo, purchè in dipendenza del rapporto lavorativo, mentre è onere del datore di lavoro provare una delle cause di esclusione dell’obbligo contributivo previste dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, comma 2, (cfr. Cass. n. 461/11; Cass. n. 1077/99; v. altresì Cass. n. 16639/14). In particolare, Cass. n. 4284 del 22 aprile 1992 ha affermato che, poichè il diritto alla retribuzione sorge per il solo fatto della messa a disposizione delle energie lavorative, la semplice presenza del dipendente in azienda determina la presunzione della sussistenza nel datore di lavoro del potere di disporre della prestazione lavorativa. Talchè è orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso all’interno dell’azienda, a meno che il datore di lavoro non provi che il prestatore d’opera sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico. E ciò alla stregua del criterio secondo cui l’onere probatorio del fatto impeditivo, modificativo o estintivo grava su chi eccepisce l’insussistenza dell’obbligazione.

15. Nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’Istituto previdenziale l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l’Istituto medesimo fondi su rapporto ispettivo. A tal fine, il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi), restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass. 14695 del 6 settembre 2012).

16. Ciò premesso, la Corte d’appello di Brescia si è attenuta ai principi appena ricordati ed ha correttamente interpretato le disposizioni relative all’orario di lavoro. Infatti, la Corte territoriale, dopo aver descritto le circostanze fattuali che caratterizzano l’espletamento dell’attività dei dipendenti della Ferretti s.p.a. all’interno dell’area dell’acciaieria della Dalmine s.p.a., ha individuato nel D.Lgs. 66 del 2003, art. 1, comma 2, lett. a), e nella centralità del dato della “disponibilità” del lavoratore, una volta varcato il cancello dell’acciaieria, il dato normativo essenziale di riferimento. Peraltro, la Corte ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che in fattispecie regolate dalla disciplina previgente per quanto si è detto in parte rilevante ratione temporis – ha fatto applicazione del principio – perdurante anche nel vigore del D.Lgs. n. 66 del 2003, – secondo cui il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorchè lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione. Tale carattere funzionale dello spostamento rispetto alla prestazione in sè considerata è, naturalmente, questione di fatto che va accertata dal giudice di merito come è avvenuto nel caso di specie.

17. La Corte territoriale ha constatato come i fatti indicati nei verbali ispettivi fossero stati vanamente contestati dalla società appellata. Infatti, la modalità di lettura dei tabulati delle registrazioni dei dispositivi marcatempo era stata efficacemente riferita dalla teste ispettore R.. La Corte poi ha, sul piano logico, avvalorato le risultanze dei tabulati rilasciati dalla Dalmine s.p.a. evidenziando che la natura dell’attività produttiva e la sua intrinseca pericolosità imponevano la necessità di marcare l’entrata e l’uscita dallo stabilimento da parte di tutti i lavoratori della Ferretti – nominativamente individuati – in ogni caso in cui ciò avvenisse anche nell’arco della stessa giornata. Quindi, essendo accertati tali limiti temporali, la Corte ha rilevato che la contestazione riguardava, allora, non tanto il tempo di presenza in azienda dei dipendenti quanto la durata delle loro prestazioni o meglio la questione di stretto diritto relativa alla corrispondenza di quella presenza ad esercizio d’attività lavorativa.

18. La Corte territoriale ha correttamente accertato che ciascun lavoratore aveva così messo a disposizione del datore di lavoro le proprie energie ossia aveva adempiuto, in tal modo, all’obbligazione assunta ed è pervenuta alla conclusione della retribuibilità stante la presunzione di onerosità, tipica del lavoro subordinato del tempo impiegato non solo allo svolgimento in senso stretto delle mansioni affidate ma anche all’espletamento di attività prodromiche ed accessorie a quello svolgimento. Dunque correttamente è stato definito orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso all’interno dell’azienda, a meno che il datore di lavoro non provi che il prestatore d’opera sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico.

19. Ciò alla stregua, del criterio secondo cui l’onere probatorio del fatto impeditivo, modificativo o estintivo grava su chi eccepisce l’insussistenza dell’obbligazione. Il che significa che la pretesa creditoria è risultata fondata per essere stato ritenuto pacifico il fatto costitutivo – circostanza, questa, idonea a dispensare l’Istituto, attore in senso sostanziale, dell’onere probatorio a suo carico – e per non avere la controparte provato l’eccezione e cioè che, ancorchè in azienda nel corso dell’intero intervallo di tempo registrato con il cartellino marcatempo, i dipendenti fossero nel correlativo arco di tempo liberi di disporre a loro piacimento.

20. I giudici di appello hanno esaminato il materiale probatorio acquisito in causa e valutato la piena concordanza dei molteplici elementi valorizzati dall’Inail nei verbali di accertamento congiunto – INPS ed INAIL – del 30 maggio, del 22 giugno 2006 e del 4 aprile 2007 a sostegno del lavoro straordinario effettuato dagli operai della s.p.a. Ferretti nel periodo ivi indicato.

21. Deve, quindi, rilevarsi l’inammissibilità del motivo relativo alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c., che la ricorrente fonda sulla mancata considerazione da parte della sentenza impugnata, nella valutazione del materiale istruttorio, delle circostanze allegate dalla parte in ordine alle concrete modalità di spostamento dei dipendenti all’interno dello stabilimento, ovvero alla timbratura dei cartellini e che l’Inail non avrebbe specificamente contestato.

22. Questa Corte (da ultimo v. Cass. 27000/2016) ha infatti affermato che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

23. Neanche i vizi di motivazione sollevati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.5, nell’articolazione del secondo, terzo e sesto motivo, sono fondati.

24. Quanto all’accertamento della presenza effettiva dei dipendenti non registrati sul libro matricola, i giudici di appello hanno posto correttamente in luce alle pagg. 9 e ss. della sentenza che seppure dal verbale ispettivo non risultava l’identificazione di tutti i dipendenti le cui ore di lavoro erano state considerate, ciò doveva ritenersi irrilevante ai fini di causa in quanto il monte retributivo su cui calcolare il premio dell’assicurazione obbligatoria è considerato dalla normativa di settore (artt. 28 e 44 t.u. 1124/1965) complessivamente per tutto l’insieme dei dipendenti assicurati e non correlato alla posizione individuale di ciascun lavoratore.

25. Nel ragionamento della Corte di merito, il valore presuntivo generale della durata della prestazione lavorativa per un tempo corrispondente a quello registrato sul cartellino marcatempo è stato ritenuto particolarmente significativo. Uguale pregnanza è stata assegnata alla registrazione dei nominativi dei dipendenti assenti dalla registrazione del libro matricola, posto che il cartellino era di quelli utilizzati dai dipendenti della Ferretti s.p.a. e ciò costituisce, nel ragionamento della Corte, un dato presuntivo di estrema rilevanza che non viene scalfito dalle dichiarazione dei testi, giudicate lacunose e generiche. Tale valore presuntivo, poi, avrebbe potuto essere vinto solo dalla specifica allegazione e dalla prova che i dipendenti in questione fossero presenti in acciaieria nell’interesse di soggetti imprenditoriali diversi da Ferretti s.p.a ovvero, quanto all’orario di lavoro, che per ragioni particolari i lavoratori si trattenevano all’interno dello stabilimento senza lavorare e senza l’obbligo di rimanere a disposizione del datore di lavoro.

26. Al contrario, a giudizio della Corte d’appello, a fronte degli elementi, tratti dai verbali ispettivi e dai tabulati contenenti le registrazioni dei cartellini marca tempo, sono risultate del tutto infondate le censure mosse dalla ricorrente in precedenza esposte. La Corte del merito ha fornito ampia e dettagliata motivazione della valutatone delle risultanze istruttorie, ad essa affidata. Quanto, poi, ai contenuti delle deposizioni rese dai numerosi testi riportati in stralcio alle pagine 17) e 18) del ricorso, va osservato che essi, non possono ritenersi indice del vizio di motivazione denunciato poichè si limitano a ribadire che i lavoratori dipendenti da Ferretti s.p.a.,a differenza di quelli di Dalmine s.p.a, non timbrano il cartellino quando giungono presso il posto di lavoro, dopo aver varcato il cancello di Dalmine s.p.a., ovvero a riferire come fosse stato possibile che qualcuno dei dipendenti potesse anche essersi trattenuto – talvolta – all’interno dell’acciaieria un pò più a lungo. Tali circostanze non possono certo ritenersi idonee ad individuare fatti controversi e decisivi e cioè idonei, ove riconosciuti, a determinare senz’altro una diversa ricostruzione del fatto. Al più, infatti, si tratterebbe di fatti idonei a determinare la mera possibilità o probabilità di una ricostruzione diversa, (v. tra le altre Cass. n. 22979 del 2004 e n. 3668 del 2013). A tale ultimo proposito è da evidenziare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione della norma applicabile ratione temporis – risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 essendo la sentenza pubblicata il 26 febbraio 2011 – prevede “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” non più “circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio” bensì circa un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Questa Corte con sentenza n. 21152 del 24 ottobre 2014 ha affermato che i “fatti” in ordine ai quali assume rilievo il vizio di motivazione sono i “fatti principali”, ossia i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso come individuati dall’art. 2697 c.c., anche se in giurisprudenza vi sono alcune pronunce per le quali assumono rilievo in concreto anche i “fatti secondari”, ossia i fatti affermati dalle parti in funzione di prova dei fatti principali: in ogni caso giammai in dottrina e giurisprudenza si è ritenuto che il termine “fatto” possa, dopo la citata riforma, considerarsi equivalente a “questione” o “argomentazione”, dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico – naturalistico.

27. Infondata è, pertanto, la censura della ricorrente, non solo in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie da parte dei giudici del merito, avendo questi ampiamente valutato tutte le risultanze processuali attribuendo rilevanza, come nei loro poteri, alle risultanze motivatamente ritenute più attendibili, ma anche in ordine alla illogicità delle deduzioni e delle illazioni della Corte territoriale, che si è invece strettamente attenuta alla formulazione di un giudizio complessivo, che consente l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.

28. Il settimo motivo, relativo alla affermata violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, deve, infine, dichiararsi inammissibile giacchè privo di sufficiente specificità ed autosufficienza ai sensi dell’art. 366 c.p.c..

29. Questa Corte ha, infatti, più volte ribadito (Cass. n. 15910 del 28 luglio 2005; 7846/2006; 27196/2006) che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione va inteso in senso rigoroso e deve essere rispettato, oltre che per consentire al giudice di legittimità di verificare la sussistenza di un eventuale difetto o carenza di motivazione, anche per consentirgli di verificare la presenza del vizio di violazione di legge; in particolare nel rito del lavoro, caratterizzato dalla presenza di termini perentori e decadenziali, il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, deve indicare anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione.

30. La ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte della sentenza impugnata di documentazione prodotta al fine di provare la duplicazione della pretesa senza specificare di quale documentazione si lamenti la mancata considerazione, nè la sede ed il tempo in cui la stessa risulti prodotta. Allo stesso modo, si assume che la interruzione della prescrizione per la contribuzione relativa all’anno 2001 sia avvenuta solo con la notifica del verbale ispettivo in data 1 marzo 2007 e non in data 30 maggio 2006 come riferito dalla Corte territoriale, ma non si indica se e quando il relativo documento sia mai stato prodotto nè lo stesso atto risulta comunque tra gli allegati al ricorso. Pertanto, il ricorso va rigettato.

31. Stante la soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nei confronti dell’Inail come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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