Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13464 del 29/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 29/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.29/05/2017),  n. 13464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4734/2015 proposto da:

S.F., C.F. (OMISSIS), S.R. C.F. (OMISSIS),

S.E. C.F. (OMISSIS), V.L. in S. C.F.

(OMISSIS), quali eredi di S.A., tutte elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato

MARIO MASSANO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ENRICO CORNELIO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.F. C.F. (OMISSIS), S.R. C.F. (OMISSIS),

S.E. C.F. (OMISSIS), V.L. in SCAGGIANTE C.F.

(OMISSIS), quali eredi di S.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 585/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/12/2014 R.G.N. 1277/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per accoglimento primo motivo

del ricorso principale, rigetto del resto, rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato ENRICO CORNELIO;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega verbale Avvocato ROBERTO

PESSI.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Venezia S.A., già dipendente di RETE FERROVIARIA ITALIANA (in prosieguo: RFI) spa, agiva nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno da malattia professionale (mesotelioma pleurico).

Il Giudice del lavoro, con sentenza del 7.11.2011 (nr. 945/2011), accoglieva la domanda, applicando nella liquidazione del danno le tabelle dell’ufficio e detraendo poi quanto corrisposto dall’INAIL per danno biologico.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 25.9-9.12.2014 (nr. 585/2014), previa riunione degli appelli proposti da entrambe le parti di causa, rigettava l’appello proposto da RFI spa ed in parziale accoglimento dell’appello del lavoratore, rideterminava in aumento l’importo del danno non patrimoniale da invalidità temporanea.

La Corte territoriale riteneva la esposizione indiretta dello S. ad amianto presso RFI spa, il nesso causale con la patologia manifestatasi e la responsabilità colpevole di RFI spa, per non avere offerto la prova liberatoria dell’adempimento agli obblighi di protezione gravanti a suo carico.

Quanto all’appello del lavoratore, preliminarmente respingeva la questione di inammissibilità sollevata da RFI spa, che sosteneva la irritualità della domanda di danni azionata dal ricorrente nel primo grado, perchè quantificata solo nelle note conclusive. Osservava sul punto che il vizio avrebbe dovuto essere dedotto da RFI spa con autonomo motivo di appello.

Nel merito, la utilizzazione delle tabelle del Tribunale di Venezia in luogo di quelle elaborate dal Tribunale di Milano era adeguata alla fattispecie concreta ed anche il parametro di liquidazione del danno morale (in misura del 50% di quello biologico) era corretto.

Esattamente era stata considerata ai fini della liquidazione l’età del lavoratore alla data di stabilizzazione della malattia.

Da ultimo era corretta la liquidazione nel primo grado delle spese di causa, effettuata sulla base del danno liquidato e non sull’importo domandato.

Hanno proposto ricorso per la Cassazione della sentenza S.F., R. ed E. nonchè V.A. in qualità di eredi di S.A., articolato in quattro motivi.

Ha resistito con controricorso RFI spa, che ha altresì proposto ricorso incidentale, articolato in tre motivi.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale gli eredi ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 1226 c.c..

Hanno censurato la sentenza per avere adottato nella liquidazione del danno non patrimoniale le tabelle cd. del Triveneto in luogo di quelle elaborate dal Tribunale di Milano, di generale applicazione, che avrebbero comportato un sensibile incremento dei valori-base, tanto per la invalidità temporanea che per il danno da invalidità permanente.

2. Con il secondo motivo gli eredi di S.A. hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., con riferimento alla liquidazione del danno da malattia terminale.

Hanno assunto che il danno non patrimoniale non era stato adeguatamente personalizzato tenendo conto della consapevolezza da parte della vittima non solo del carattere permanente della invalidità ma anche dell’esito infausto, più o meno imminente.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale viene dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, relativo all’età del de cuius alla data di stabilizzazione della malattia.

Con il motivo le parti ricorrenti espongono che al momento di stabilizzazione dei postumi individuato in sentenza il de cuius non aveva compiuto i 71 anni e dunque agli effetti tabellari aveva 70 anni; pertanto non era corretta la conferma della liquidazione del danno da invalidità permanente, operata sul parametro di 72 anni di età.

4. Con il quarto motivo gli eredi ricorrenti in via principale hanno lamentato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 91 c.p.c..

Oggetto di censura è la statuizione di conferma della liquidazione delle spese effettuata nel primo grado.

I ricorrenti hanno dedotto che il relativo motivo di appello era fondato sulla riduzione dell’importo richiesto con la nota spese depositata, in assenza di motivazione e, comunque, sulla incongruità dei compensi professionali liquidati rispetto al valore del danno riconosciuto; hanno lamentato la non-corrispondenza delle ragioni della decisione ai motivi dell’appello.

1.Con il primo motivo di ricorso incidentale RFI spa ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – errata ricostruzione dei fatti processuali.

Ha dedotto l’omesso esame di due fatti ovvero:

– la circostanza che il lavoratore non aveva svolto le mansioni indicate nel ricorso di primo grado, poichè non aveva fatto parte della squadra (cd. “rialzo”) addetta allo smontaggio e manutenzione della carrozze nè della squadra (cd. “deposito”) addetta alla manutenzione delle locomotive ma aveva svolto attività di operaio addetto alla manutenzione di binari (cd. di armamento), che non comportava esposizione ad amianto;

– il fatto che il CTU aveva evidenziato una esposizione certa ad amianto nel periodo precedente la assunzione presso RFI spa ovvero nel corso della attività lavorativa prestata presso i cantieri navali BREDA (dal 1957 al 1959) e le OFFICINE MECCANICHE DI VENEZIA (1960-1961) e valutato la esposizione presso RFI sporadica, probabile ed al più idonea ad accelerare la insorgenza della patologia.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente in via incidentale ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost..

Ha esposto di avere dedotto quale ragione di inammissibilità dell’appello del lavoratore il fatto che questi non aveva quantificato l’importo dei danni nel ricorso introduttivo ma soltanto nelle note autorizzate anteriormente alla decisione e modificato, poi, il quantum nel corso dell’ultima udienza del giudizio di primo grado, non consentendole di replicare sul punto.

Ha censurato la sentenza per avere affermato che tali doglianze avrebbero dovuto essere proposte con un autonomo motivo di appello (e non semplicemente in resistenza all’appello avversario).

3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale RFI spa ha denunziato violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 277 del 1991.

Ha dedotto che soltanto nell’anno 1991, con il D.Lgs. n. 277 del 1991, l’obbligo di sicurezza era stato esteso alle attività non concernenti le lavorazioni dell’amianto e comportanti soltanto il rischio di esposizione alle polveri di amianto; la responsabilità del datore di lavoro sussisteva pertanto soltanto per l’epoca successiva alla entrata in vigore della legge mentre il rapporto di lavoro del sig. S. era cessato nell’anno 1991.

In via preliminare deve essere esaminato il ricorso incidentale di RFI spa, avente ad oggetto la statuizione di accertamento della responsabilità del datore di lavoro, pregiudiziale rispetto a quella di liquidazione del danno, oggetto delle censure sollevate con il ricorso principale.

1. Il primo motivo è inammissibile.

La società RFI spa denunzia un vizio di nullità della sentenza o del procedimento – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – mentre il contenuto del motivo afferisce (non già ad un vizio di attività del giudice nel corso del processo ma) alla ricostruzione del fatto storico operata in sentenza, in punto, rispettivamente, di mansioni svolte dallo S. e di nesso di causalità tra tale attività lavorativa e la patologia contratta.

L’accertamento di fatto, rimesso al potere discrezionale del giudice del merito, è censurabile davanti a questa Corte di legittimità esclusivamente sub specie di vizio della motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo, pur riqualificato in questi termini, non supera il vaglio di ammissibilità.

Esso non individua un fatto storico non esaminato in sentenza; la sentenza impugnata ha dato conto sia del fatto che il ricorrente non era addetto alle squadre che operavano alla manutenzione di carrozze ferroviarie e locomotori ma alle attività di manutenzione di rotaie e traversine sia della esposizione derivante dalla pregressa attività lavorativa prestata alle dipendenze di terzi, ritenendo, tuttavia, sul primo punto che la esposizione ad amianto si fosse comunque verificata in via indiretta, per l’affiancamento alle altre squadre nello svolgimento delle mansioni, sia della esistenza del rapporto di causalità con l’attività svota alle dipendenze di RFI sotto il profilo del concorso di cause, ex art. 41 c.p..

La censura attiene, piuttosto che all’omesso esame di un fatto storico, alla valutazione degli elementi istruttori, funzione rientrante nella discrezionalità del giudice del merito e non sindacabile da questa Corte di legittimità.

2. Il secondo motivo è infondato.

Come correttamente affermato nella sentenza impugnata, il vizio dedotto da RFI spa in resistenza all’appello del lavoratore atteneva alla ammissibilità delle modifiche ed integrazioni della domanda originaria in corso di causa. Eventuali violazioni delle specifiche norme processuali, attuative del diritto al contraddittorio, commesse nel primo grado avrebbero dovuto essere dedotte da RFI spa come motivo di appello autonomo o di appello incidentale avverso l’impugnazione proposta dal lavoratore e non in via di eccezione, in quanto funzionali alla integrale riforma della statuizione di condanna e non motivo di rigetto dell’appello del lavoratore per la riliquidazione in aumento del danno.

3. Il terzo motivo del ricorso incidentale è infondato.

La Corte territoriale ha applicato correttamente le norme regolatrici della fattispecie di causa, evidenziando come la responsabilità del datore di lavoro derivasse dall’ obbligo di adozione di specifiche misure dirette ad impedire la dispersione nell’ambiente di lavoro delle polveri di amianto – anche anteriormente all’anno 1991- in forza tanto della generale obbligazione di protezione del lavoratore di cui all’art. 2087 c.c. – essendo nota la pericolosità dell’amianto fin dai primi anni del 1990 – che delle specifiche previsioni di prevenzione del rischio di formazione e diffusione delle polveri contenute nel D.P.R. n. 303 del 1956, art. 21 e negli artt. 9, 15, 18, 19, 20, 25 dello stesso D.P.R..

La statuizione è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte, in sede civile e penale, in ordine al contenuto degli obblighi e responsabilità datoriali, pure richiamata in sentenza e che va in questa sede ulteriormente ribadita (ex plurimis: Cassazione civile, sez. lav., 21/09/2016, n. 18503 e giurisprudenza ivi richiamata).

Il ricorso incidentale deve essere conclusivamente respinto.

1. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Come già affermato da questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 03/01/2017, n. 49) il giudice del merito non ha alcun obbligo ai sensi dell’art. 1226 c.c., di adottare le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale, essendo tenuto unicamente a provvedere alla liquidazione equitativa secondo un criterio ancorato a dati obiettivi e verificabili.

Contrariamente a quanto lamentato dalle parti ricorrenti, la Corte territoriale ha fornito una giustificazione congrua alle obiezioni sollevate con l’appello – in ordine all’asserita maggiore adeguatezza del valore del punto – di invalidità contemplato dalle tabelle milanesi – affermando che il calcolo effettuato secondo le tabelle del Tribunale di Venezia appariva adeguato alla fattispecie concreta e che il motivo di appello consisteva non già nella deduzione di un maggiore danno ma nella mera circostanza della mancata utilizzazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.

Sotto questo profilo non può essere condiviso l’assunto delle parti ricorrenti secondo cui le suddette tabelle sarebbero ex se maggiormente adeguate ad operare la personalizzazione del danno rispetto a quelle in uso nell’ufficio locale; trattasi di tabelle parimenti elaborate da un ufficio giudiziario territoriale sulla base della esperienza pratica ed idonee a costituire un parametro obiettivo del giudizio di fatto di liquidazione del danno e non una fonte normativa (in termini: Cassazione civile, sez. 6, 23/12/2016, n. 26916).

2. Il secondo motivo è inammissibile.

Esso, infatti, non investe la applicazione della clausola elastica della equità ma l’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito in ordine all’ammontare nel caso concreto del danno morale in ragione della consapevolezza della vittima circa il carattere terminale della propria malattia.

Trattandosi di giudizio di fatto, la censura avrebbe dovuto essere proposta sub specie di vizio di motivazione ovvero deducendo un fatto-oggetto di discussione tra le parti e di rilievo decisivo – non esaminato in sentenza.

In assenza di tale presupposto il motivo si risolve, piuttosto che nella deduzione di un errore di diritto, nella richiesta di un nuovo giudizio di merito sulla quantificazione del danno morale, estranea alla funzione ed ai limiti del giudizio di legittimità.

3. Il terzo motivo del ricorso principale denunzia piuttosto che l’omesso esame di un fatto, l’errore commesso dal giudice del merito nella ricognizione dell’età della vittima sulla base dei riferimenti cronologici (data di nascita e momento di stabilizzazione della malattia) esposti nella stessa sentenza.

Trattasi di errore revocatorio e non di vizio della motivazione.

Il vizio della sentenza è consistito in un errore di calcolo, in quanto il giudice dell’appello pur dando atto correttamente dei dati rilevanti (data di nascita del danneggiato e data di stabilizzazione della malattia) ha errato nell’individuare l’età della vittima, compiendo un calcolo in eccesso.

L’errore è frutto dunque di una disamina superficiale dei dati di fatto che ha avuto quale conseguenza l’erronea affermazione di elementi decisivi per risolvere la questione; nella fattispecie tale errore emerge dagli atti della causa ovvero dalla stessa sentenza impugnata.

Non si tratta di errore di giudizio, denunziabile in questa sede di legittimità, giacchè la controversia non verteva sui dati del calcolo, incontestati, ma sulla correttezza dei valori tabellari utilizzati dal Tribunale; l’errore di calcolo, del resto, non può mai essere considerato un errore di giudizio.

4. Il quarto motivo è infondato.

La violazione dell’art. 91 c.p.c., viene in discussione quando il giudice del merito abbia attribuito il carico delle spese secondo criteri diversi da quello della soccombenza.

Nella fattispecie di causa la statuizione sulle spese resa nel primo grado, impugnata nel grado di appello, si è attenuta al principio della soccombenza.

Il vizio avrebbe dovuto essere dedotto in termini di violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale, specificando altresì ex art. 366 c.p.c., n. 6, gli errori commessi dal giudice e le voci della tabella degli onorari e dei diritti asseritamente violate (Cass. n. 14744 del 2007; Cass. n. 13417 del 2001).

Non rileva, invece, la motivazione del capo della sentenza con cui è stato respinto il relativo motivo d’appello, atteso che il vizio di violazione di legge esiste o meno indipendentemente dalla motivazione data dal giudice del merito.

Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere respinti.

Le spese si compensano per la reciproca soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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