Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13464 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. I, 03/06/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 03/06/2010), n.13464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Consorzio CPR3, elettivamente domiciliato in Roma, Via delle Quattro

Fontane 15, presso l’avv. CAPPONI Bruno, che con gli avv. Alfonso

Celotto e Domenico Di Falco lo rappresenta e difende giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

Provincia di Napoli in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, Via G.B. Tiepolo 21, presso l’avv.

MILETO Brunello, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3282/04 del

17.11.2004.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza

dell’8.4.2010 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Capponi per il ricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17.11.2004 la Corte di Appello di Napoli dichiarava la nullità dei lodi non definitivo e definitivo (rispettivamente in data 17.7.2001 e 17.1.2002), con i quali la Provincia di Napoli era stata condannata al pagamento di Euro 696.924,59, oltre interessi e rivalutazione, in favore del Consorzio CPR3, con riferimento ai maggiori oneri sostenuti per il prolungamento dei tempi previsti per il completamento di procedura espropriativa oggetto della convenzione del 21.11.1981.

In proposito la Corte territoriale rilevava che a norma del D.L. 11 giugno 1998, n. 180, art. 3, comma 2, conv. nella L. 3 agosto 1998, n. 267, le controversie relative all’esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali non possono essere devolute a collegi arbitrali, divieto che sarebbe estensibile alle controversie ex L. n. 219 del 1981, quale quella in oggetto. D’altra parte la correttezza della detta estensione avrebbe trovato conferma anche nelle decisioni della Corte Costituzionale, che al riguardo per l’appunto si era espressa nei termini indicati (sentenza n. 376 del 28.11.2001, ordinanza n. 11 del 15.1.2003).

Nè a diverse conclusioni avrebbe potuto indurre la L. n. 109 del 1994, art. 32, comma 4 bis, introdotto dalla L. 1 agosto 2002, n. 106, art. 7, comma 8, lett. v, n. 3, disposizione abrogatrice di quelle limitative dei mezzi di risoluzione delle controversie in materia dei lavori pubblici, poichè la norma avrebbe rimosso in via generale le dette limitazioni nell’ambito della disciplina dei lavori pubblici, senza però interferire sul divieto, di natura speciale, della devoluzione alla cognizione degli arbitri delle controversie in materia di ricostruzione.

Avverso la decisione il Consorzio CPR3 proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso la Provincia di Napoli.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica dell’8.4.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di impugnazione il Consorzio CPR3 ha rispettivamente denunciato: 1) violazione del D.L. n. 180 del 1998, art. 3, in ragione dell’errata interpretazione della normativa sul divieto di arbitrato. La statuizione sul punto infatti non sarebbe corretta perchè: a) in contrasto con la formulazione della norma, che limita l’esclusione alle controversie relative all’esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali, fra le quali non sarebbe possibile annoverare i programmi contemplati dal titolo 8^ della L. n. 219 del 1981; b) la disposizione in questione avrebbe carattere di eccezionalità e non si applicherebbe pertanto oltre i casi in essa espressamente considerati, fra i quali non rientrerebbero quelli contemplati dal citato titolo 8^; c) non rileverebbero in senso contrario le statuizioni della Corte Costituzionale, trattandosi di decisioni interpretative di rigetto, che in quanto tali avrebbero efficacia vincolante esclusivamente nell’ambito del giudizio nel quale il relativo intervento era stato sollecitato; d) il complesso normativo della L. n. 219 del 1981, si suddividerebbe in due parti nettamente distinte fra loro ed autonome, di cui una prima finalizzata alla ricostruzione delle zone colpite dal sisma del 1980, ed una seconda diretta invece alla realizzazione di un programma di edilizia residenziale per la costruzione nell’area metropolitana di Napoli; e) il D.L. 7 febbraio 2003, n. 15, art. 1, comma 2, convertito nella L. 8 aprile 2003, n. 62, stabilisce che alle controversie derivanti dall’esecuzione di opere pubbliche inerenti programmi di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali, in essi compresi quelli previsti dalla L. n. 219 del 1981, continua ad applicarsi il disposto di cui al D.L. n. 180 del 1998, art. 3, comma 2 (che esclude dalla competenza arbitrale le controversie in materia di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali), disposizione tuttavia venuta meno per effetto dell’entrata in vigore della L. 1 agosto 2002, n. 166, art. 7, che modificando la L. n. 109 del 1994, art. 32, con l’introduzione del comma 4 bis, ha disposto l’abrogazione delle disposizioni che prevedono limitazioni ai mezzi di risoluzione delle controversie in materia di lavori pubblici; f) la L. n. 62 del 2003, art. 1, comma 2 quater, non avrebbe natura interpretativa rispetto alla precedente norma del 1998, ma ad esso avrebbe dovuto essere riconosciuta efficacia innovativa, circostanza da cui sarebbe discesa l’abrogazione della normativa limitativa della competenza arbitrale, contenuta nel D.L. n. 180 del 1998; g) non sarebbe stato nella specie applicabile il D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 8, comma 1, lett. d (Disposizioni per la definitiva chiusura del programma di ricostruzione di cui al titolo 8^ L. n. 219 del 1981), che riguarda i giudizi arbitrali in corso o le istanze di accesso ad arbitrato notificate prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 180 del 1998, essendo intervenuta nella specie in data 15.11.99 la notifica dell’atto introduttivo dell’arbitrato.

2) violazione dell’art. 806 c.p.c., artt. 1321 e 1372 c.c., alla luce dei principi costituzionali ex artt. 3, 24, 41, 111 Cost., nonchè vizio di motivazione, con riferimento alla scelta effettuata dal legislatore di escludere il ricorso all’arbitrato pur dopo l’avvenuta sottoscrizione della clausola compromissoria, opzione che contrasterebbe con la tutela del principio di affidamento nella sicurezza giuridica, oltre che con il fondamento costituzionale e negoziale dell’arbitrato. Per di più la contestata interpretazione della norma avrebbe effetti anche sotto il profilo sostanziale, per l’incidenza che avrebbe sulle caratteristiche del sinallagma contrattuale, e limiterebbe significativamente il diritto delle parti di far decidere ad arbitri le questioni fra loro insorte, pur a fronte di una volontà manifestata in tal senso prima dell’entrata in vigore della norma limitativa della facoltà di accesso all’arbitrato.

Il ricorso è infondato.

Per quanto riguarda il primo motivo, con il quale si denuncia l’erroneità dell’interpretazione secondo cui il divieto di arbitrato si applicherebbe anche alla realizzazione dei programmi edilizi di cui titolo 8^ L. n. 219 del 1981, si osserva che la censura, articolata in diversi profili, si incentra essenzialmente su due aspetti, vale a dire: a) la L. n. 219 del 1981 conterrebbe due autonomi programmi di intervento, del tutto diversi e fra loro completamente distinti, avendo l’uno ad oggetto l’esecuzione di opere pubbliche inerenti a programmi di ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali e l’altro (titolo 8^) la costruzione di alloggi con le relative opere di urbanizzazione nell’area metropolitana di Napoli, sicchè sarebbe errato far discendere il divieto di arbitrato per le controversie relative a tali ultime opere dal divieto espressamente prescritto per le prime; b) pur tralasciando quanto esposto sub a), il divieto di arbitrato nella controversia in oggetto non sarebbe stato desumibile dalla normativa vigente per le seguenti considerazioni: 1) il D.L. n. 180 del 1998, art. 3, comma 2, vieta l’arbitrato per le controversie sorte in relazione all’esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi ricostruzione per calamità naturali, salvi i lodi emessi o quelli per i quali sia stata proposta domanda di arbitrato, situazione non ricorrente nel caso in esame; 2) la detta preclusione sarebbe stata tuttavia rimossa dalla L. n. 109 del 1994, art. 32, comma 4 bis, introdotto dalla L. 1 agosto 2002, n. 166, art. 7, comma 7, lett. v, che avrebbe eliminato ogni limitazione di accesso all’arbitrato; 3) ulteriore conferma di tale assunto si sarebbe tratta dal disposto del D.L. 7 febbraio 2003, n. 15, art. 1, comma 2 quater, convertito in L. 8 aprile 2003, n. 62, che espressamente dispone la continuazione dell’applicazione del disposto di cui al D.L. 11 giugno 1998, n. 180, art. 3, comma 2, convertito nella L. 3 agosto 1998, n. 267, che secondo il ricorrente avrebbe efficacia innovativa.

Osserva in proposito il Collegio che la distinzione, nell’ambito della L. n. 219 del 1981, della parte relativa ai provvedimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti da calamità naturali, da quella concernente l’intervento statale per l’edilizia a Napoli, non comporta le conseguenza indicate dal ricorrente in ordine ad una pretesa diversità di disciplina relativamente alla facoltà di accesso all’arbitrato.

Ed infatti va innanzitutto considerato che il legislatore ha individuato uno stretto collegamento fra le due fattispecie avendole disciplinate con un unico provvedimento normativo; detto collegamento, oltre che sotto l’aspetto formale, si desume sotto un aspetto sostanziale, per il fatto che le disposizioni in questione sono destinate ad essere applicate in una medesima (parzialmente) area geografica (Basilicata e Campania la prima, area metropolitana di Napoli la seconda) e sono comunque riconducibili all’esigenza di far fronte convenientemente a situazioni di emergenza.

L’esistenza di tale collegamento induce dunque a ritenere che, così come affermato dal giudice del merito le fattispecie delineate nella L. n. 219 del 1981, debbano trovare una disciplina unitaria anche per quanto concerne l’accesso all’arbitrato.

D’altra parte la correttezza di tale conclusione è confortata dall’analoga valutazione compiuta in proposito dalla Corte Costituzionale (sent. 2001/376).

E’ ben vero che, come sostenuto dal ricorrente, le detta valutazione non ha efficacia vincolante nel giudizio in esame, trattandosi di decisione interpretativa di rigetto; tuttavia il contenuto della statuizione costituisce un precedente di particolare autorevolezza, dal quale non vi è ragione di derogare, che ha espressamente affermato sia la costituzionalità del divieto di arbitrato anche con riferimento alle controversie insorte nella fase realizzativa del programma straordinario di edilizia residenziale per Napoli di cui al titolo 8^ della L. n. 219 del 1981, sia il carattere generale del divieto di arbitrato per le opere di ricostruzione nei territori colpiti da calamità naturali, in esse comprese, quindi, anche quelle relative al programma straordinario per Napoli di cui al titolo 8^ L. n. 219 del 1981 (divieto sancito dal D.L. n. 80 del 1998 e dal D.Lgs. n. 354 del 1999).

Quanto poi all’asserita abrogazione della disposizione limitativa dell’arbitrato, riconducibile alla L. n. 109 del 1994, art. 32, introdotto dalla L. 1 agosto 2002, n. 106, art. 1, comma 8, lett. V, n. 3, giova innanzitutto osservare che la disposizione ha un carattere del tutto generale e riguarda, in particolare, tutte le disposizioni che prevedono limitazioni ai mezzi di risoluzione delle controversie nella materia dei lavori pubblici.

Poichè, viceversa, la disposizione della cui applicazione si discute è norma di carattere speciale, attinente alle questioni insorte nell’ambito dell’attività di ricostruzione in zone colpite da calamità naturali, ne discende che non si è determinato il preteso effetto abrogativo.

D’altra parte la stessa formulazione del D.L. 7 febbraio 2003, art. 1, comma 2 quater, convertito con modificazioni nella L. 8 aprile 2003, n. 62, che precisa che alle controversie derivanti dall’esecuzione di opere pubbliche nell’ambito di programmi di ricostruzione nei territori colpiti da calamità naturali, in essi compresi quelli di cui alla L. n. 219 del 1981, “continua ad applicarsi” il divieto di deferimento ad arbitri previsto dalla L. n. 267 del 1998 induce a ritenere che il divieto non sia mai venuto meno (non altrimenti si giustificherebbe l’adozione della locuzione “il divieto continua ad applicarsi”) e che il citato art. 1, comma 2 quater contenga una norma interpretativa, con efficacia quindi retroattiva.

In ordine poi al secondo motivo di impugnazione si rileva che con la relativa censura il ricorrente ha sostanzialmente denunciato la violazione delle norme sull’autonomia contrattuale, oltre che sull’efficacia dei contratti, e delle disposizioni in tema di arbitrato, per il fatto che la volontà derogatrice alla giurisdizione ordinaria sarebbe stata già manifestata con la previsione dell’apposita clausola, al momento dell’entrata in vigore della legge preclusiva dell’arbitrato, ed una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente deporrebbe nel senso dell’applicazione del detto divieto soltanto alle clausole compromissorie poste in essere successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 180 del 1998.

Anche tale rilievo non può essere condiviso. Ed infatti valgono in proposito le seguenti considerazioni: a) la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda (art. 5 c.p.c.), sicchè sotto questo riflesso risultano irrilevanti gli accordi di diverso tenore precedentemente assunti; b) il fluire del tempo costituisce idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive e non sussiste alcuna ingiustificata disparità di trattamento per il solo fatto che situazioni, pur identiche, siano soggette a diversa disciplina “ratione temporis” (Corte Cost.

01/376); c) la garanzia costituzionale dell’autonomia contrattuale non è incompatibile con la prefissione di limiti a tutela di interessi generali (Corte Cost. 03/11); d) non è ravvisabile una violazione del principio di “affidamento” legislativo, che va interpretato nel senso dell’impossibilità di ritenere applicabile una nuova disciplina all’atto già formato, ipotesi certamente insussistente nella specie; e) la Corte Costituzionale, cui era stata sottoposta la relativa questione, ha già esplicitamente affermato la costituzionalità delle disposizioni che precludono la devoluzione a collegi arbitrali delle controversie, già oggetto di compromesso arbitrale, relative all’esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione in territori colpiti da calamità naturali (Corte Cost. 03/11).

Conclusivamente, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

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