Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13463 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

S.G., rappr. e dif. dall’avv. Rizzo Gaetano, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avv. Rizzo Paola, in Roma, via XX

settembre n. 118, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore pro tempore, rappresentata

e difesa dall’Avv. Santostefano Nicola ed elettivamente domiciliato

in Roma, Circonvallazione Ostiense n. 323, presso lo studio

dell’avv. Guarnaccia Alessandra;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Reggio Calabria 21/11/2017, n.

692/2017, in R.G. n. 799/2006, rep. 1124/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 25.2.2021 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. S.G. impugna la sentenza App. Reggio Calabria 21/11/2017, n. 692/2017, in R.G. n. 799/2006, rep. 1124/2017 che ha respinto il suo appello avverso la sentenza Trib. Reggio Calabria 18/9/2016, n. 1250/06, la quale ne rigettava l’opposizione al provvedimento del giudice delegato al (OMISSIS) s.p.a. denegativo della insinuazione del credito;

2. la corte ha premesso che il ricorrente aveva insinuato due crediti: a) per 893,52 Euro, pari ai “versamenti” effettuati in favore della società (di cui era stato amministratore e socio); b) per 1.205 Euro, corrispondenti al rimborso per mancato godimento di una “stanza dell’ufficio della società” per 14 mesi rispetto ai 48 dell’impegno contrattuale, dedotto in complessivi 8 milioni Lit e scadenza al 31.12.2002, onorato da S. sulle fatture semestrali emesse ma con interrotta fruizione del locale a seguito dello sgombero del 28.9.2001 intimatogli dal curatore fallimentare;

3. secondo la sentenza, richiamata altresì la parziale diversità del contratto, avente ad oggetto – secondo il tribunale – anche un altro locale e pure un’automobile – l’appello era comunque infondato in quanto: a) il primo credito poggiava su scritture contabili non affidabili, come già attestato dallo stesso collegio sindacale; b) il secondo credito era connesso ad una scrittura privata di cui non era stata fornita prova della data certa e la “ricostruzione del rapporto” non permetteva il riscontro che gli emolumenti fossero stati concordati prima del fallimento;

4. il ricorso è su un unico motivo e ad esso resiste con controricorso il fallimento (OMISSIS) s.p.a.; entrambe le parti hanno depositato memoria;

5. con il ricorso si deduce, oltre che l’omessa motivazione, la violazione degli artt. 2704 e 2709 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo la corte d’appello trascurato che le fatture relative al pagamento, in due rate, dell’intero canone, risultavano in contabilità anche al curatore, da questi erano state confermate all’istante e dalle medesime doveva risalirsi alla certezza di data anche del contratto cui si riferivano.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il ricorso è inammissibile, sotto molteplici profili; invero, dal tenore del motivo l’impugnazione sembra aver circoscritto la censura alla sola mancata ammissione del credito di Euro 1.205,06, avendo incentrato ogni indice di incoerenza della pronuncia sull’illogicità del mancato raccordo fra fatture (note al curatore) e contratto (così dotato di data certa);

2. in realtà, dopo una lunga premessa sui fondamenti dell’istituto della terzietà del curatore rispetto ai rapporti fra fallito ed altre parti, nonchè della conseguente inefficacia verso l’organo concorsuale ex art. 2704 c.c. delle scritture prive di data certa, la corte ha inscindibilmente dato atto della “assoluta inaffidabilità ed inattendibilità delle scritture contabili”, riferendo in questo senso di un giudizio formale del collegio sindacale della società fallita; è vero che tale riscontro appare giustapposto al motivo di reiezione sul primo credito, ma la sua appartenenza al più ampio quadro giustificativo della reiezione della intera (e, in questa sede, residua) domanda circa il secondo credito risulta da plurimi fattori, del tutto coordinati: un’unitaria valutazione di mancata produzione, per entrambe le pretese, di “idonea documentazione giustificativa”; l’analisi non solo del contratto di godimento, privo di data certa, ma altresì del rapporto, la cui “ricostruzione totale” non avrebbe consentito di imputare che gli emolumenti in esso indicati fossero stati “concordati in data anteriore al fallimento”;

3. in questo senso, la sbrigativa enunciazione di un vizio di motivazione, accanto alla violazione delle norme sulla regola della prova, appare inammissibile, contraddicendo il principio per cui “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito” (Cass. 11603/2018);

4. quanto premesso fonda un preliminare giudizio di non adeguata censura della complessa ratio decidendi adottata dalla sentenza, apparendo in essa decisiva, ed assorbente, la circostanza della inidoneità delle scritture contabili e – a tutta evidenza – di ogni documento a quelle appartenenti, ad integrare alcun giudizio di data certa dei propri elementi rappresentativi; il richiamo di una “nota curatoriale”, con menzione delle fatture pagate, non si è – oltre tutto – per vero accompagnato ad una autosufficiente trascrizione, almeno nei termini essenziali, della rivendicata “conferma” e “attestazione” alla parte (Cass. 13625/2019);

5. inoltre, va ricordato che “in sede di accertamento dello stato passivo, ai fini dell’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non avente data certa, mediante la quale voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso, il creditore può dimostrare la certezza della data attraverso fatti, quali che siano, equipollenti a quelli previsti dall’art. 2704 c.c., ivi compresa la documentazione proveniente dalla società in bonis, ove tale documentazione sia idonea allo scopo” (Cass. 23582/2017, 18938/2016), ma “con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità” (Cass. 4509/2018); nella specie, i documenti sono stati valutati dalla corte, in un apprezzamento complessivo di inaffidabilità e, già per tale ragione, non essendo censurabile una specifica violazione dell’art. 2704 c.c.;

6. nè il richiamo alla violazione dell’art. 115-116 c.p.c. appare argomentato, considerando che, in ogni caso, “in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure ha rilievo rispetto alla disciplina previgente quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perchè non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove” (Cass. 16554/2015,19734/2017);

il ricorso è, pertanto, inammissibile; ne conseguono la condanna alle spese del procedimento, secondo la regola della soccombenza e con liquidazione come da dispositivo e la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 4.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese nella misura del 1 5 % e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

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