Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13459 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. un., 03/06/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 03/06/2010), n.13459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – rel. Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24737-2009 proposto da:

C.M. ((OMISSIS)), elettivamente 2010 domiciliato

in ROMA, VIA G.G. BELLI 39, presso lo studio degli avvocati

ANNECCHINO MARCO, COSTANTINO GIORGIO, MANGONE EUGENIO, che lo

rappresentano e difendono, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, MINISTRO

DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 120/2009 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 07/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2010 dal Presidente Dott. PAOLO VITTORIA;

udito l’Avvocato Giorgio COSTANTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, con nota del 15.9.2008, ha iniziato l’azione disciplinare nei confronti del dott. C.M., giudice del tribunale di Como.

Di una delle incolpazioni che gli sono state contestate il magistrato è stato giudicato colpevole.

La sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, con la sentenza 7.10.2009 n. 120, Delib. 18 settembre 2009, gli ha inflitto la sanzione dell’ammonimento.

Con ricorso depositato il 4.11.2009 il dott. C. ha chiesto la cassazione della sentenza.

Il Ministero della giustizia non ha svolto attività di difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – L’incolpazione contestata al dott. C. ha tratto origine dai provvedimenti adottati dal tribunale di Conio nell’ambito d’un procedimento di nomina di un amministratore di sostegno, nomina domandata per una persona in età molto avanzata.

Sulla richiesta, ricevuta dal dott. C. il 16.3.2007, il magistrato ha fissato la comparizione delle parti al 2.10.2007; una richiesta di anticipazione d’udienza, che gli era stata presentata il 23.4.2007, è stata da lui rigettata.

E’ accaduto che magistrato facente funzione di presidente del tribunale, considerando che il dott. C. fosse impossibilitato a provvedere sulla istanza nel rispetto del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 405 c.c., comma 1, abbia poi convocato lui le parti il 26.4.2007, per l’udienza del 15.5.2007, ed assunto in quella data il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.

A ciò è seguito il comportamento contestato al dott. C. come l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. m) e ff) comportamento consistito “nell’aver emesso di ufficio in data 18.5.2007 un decreto col quale, previa revoca della già avvenuta nomina dell’amministratore e di tutti i provvedimenti ad essa conseguenti in quanto ritenuti privi di validità giuridica siccome verificatosi non avanti il giudice tutelare competente, presente in servizio in tale data, fissava nuovamente l’udienza per la comparizione delle parti e per l’esame del beneficiario al 2 ottobre 2007”.

Provvedimento, quest’ultimo, che nella incolpazione veniva definito “del tutto abnorme in quanto non previsto da alcuna disposizione di legge e senza considerare i poteri previsti dall’art. 407 c.c., comma 4, che gli avrebbero comunque consentito, ove necessario, in ogni tempo ed anche di ufficio, di modificare o integrare le decisioni assunte con il decreto di nomina, e ciò senza arrecare inutile ed ingiusto danno all’anziano ed ai suoi congiunti”.

2. – La sezione disciplinare ha affermato che nel comportamento del magistrato si configura appieno l’ipotesi di illecito disciplinare contestato nell’incolpazione in relazione all’art. 2, lett. ff), cioè l’ipotesi d’un provvedimento giudiziario reso con grave ed inescusabile negligenza ed in violazione dei doveri di correttezza ed equilibrio di cui al precedente art. 1 del D. Lgs. 109 del 2006.

Ha considerato che il requisito della gravità andava colto, nel caso, piuttosto che nella rilevanza dell’errore nell’approccio giurisdizionale e nel peso che il provvedimento aveva avuto nella vicenda giudiziaria sottostante, appunto nel comportamento del magistrato e nel suo disvalore deontologico, per il suo contrasto con doveri fondamentali, quali la correttezza nei rapporti con altri magistrati dell’ufficio e l’equilibrio, che sempre deve assistere l’estensore di un. provvedimento giurisdizionale.

Ha ritenuto la sezione disciplinare che il comportamento era da considerare inescusabile sotto l’aspetto del non riuscire a trovare giustificazione, dato il suo evidente contrasto con i doveri che il magistrato deve osservare nell’esercizio delle sue funzioni, quali sono fissati dal D.Lgs. 109 del 2006, art. 1.

La sezione disciplinare ha invece ritenuto che nel fatto attribuito non si rinvenivano gli estremi dell’illecito disciplinare contestato in base all’art. 2, comma 1, lett. m) perchè non ne era derivata lesione dei diritti della persona nè rilevante pregiudizio a diritti patrimoniali.

3. – La cassazione della sentenza è chiesta in base a quattro motivi.

4. – Il primo è un motivo di nullità per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato (in relazione agli artt. 112 e 521 cod. proc. pen. ed in riferimento all’art. 606 c.p.c., lett. b), e art. 360 c.p.c., n. 4) e di difetto di motivazione (in relazione all’art. 606 c.p.c., lett. e) e art. 360 c.p.c., n. 5).

4.1. – Vi si sostiene, anzitutto, che – diversamente da quanto detto nella incolpazione – il dott. C. non ha revocato il provvedimento che in merito alla procedura era stato adottato dal presidente del tribunale, ma ha confermato il proprio decreto di fissazione dell’udienza del 2.10.2007 e che la “stessa sentenza disciplinare mostra chiaramente di non condividere la prospettazione del capo di incolpazione, guardandosi dal considerare alla stregua di un provvedimento di revoca il decreto in questione”.

E siccome, a norma dell’art. 407 c.c., comma 4, il giudice tutelare può in ogni tempo modificare o integrare anche di ufficio le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, a maggior ragione – si sostiene – può revocare o modificare un provvedimento meramente ordinatorio di fissazione dell’udienza: in conclusione, il dott. C. non avrebbe revocato il provvedimento di nomina preso dal presidente, ma solo confermato il proprio provvedimento ordinatorio di fissazione della udienza già fissata al 2 ottobre 2007, all’esito della quale aveva poi nominato un diverso amministratore.

Dunque non si sarebbe in presenza di un provvedimento abnorme.

4.1.2. – Le precedenti considerazioni non dimostrano il tipo di vizio denunziato.

Nell’incolpazione, il comportamento tenuto dal magistrato, descritto nei suoi aspetti fattuali, era stato ricondotto a due figure di illecito, descritte rispettivamente al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. m) ed alle lett. ff).

Figure, queste, connotate da elementi comuni, perchè il comportamento del magistrato vi si estrinseca nell’aver adottato atti di esercizio della funzione giurisdizionale, in ciò tenendo però un comportamento connotato da deviazioni deontologiche, e, quanto all’illecito di cui alla lett. m), per un ulteriore elemento che attiene al piano degli effetti, il pregiudizio che l’atto arreca ai diritti delle parti.

Ora, la sezione disciplinare ha negato che il fatto, come contestato, integrasse anche la figura dell’illecito disciplinare descritto dal D.Lgs. 109, art. 2, comma 1, lett. m) ma questo non per motivi attinenti al comportamento, bensì per la ragione che nel caso non si era realizzato l’elemento del danno.

Posta questa premessa, va detto che nessuna modifica ha subito nella decisione il fatto contestato.

E del resto nessuna ne poteva subire perchè il fatto era in sè incontestato, avendo concorso a configurarlo – al di là della formulazione letterale del dispositivo del provvedimento adottato la regressione del procedimento, dalla situazione d’essersi esaurito per effetto della già intervenuta nomina. dell’amministratore, alla situazione iniziale del doversi dal tribunale tornare a provvedere sulla domanda, come se la nomina non vi fosse stata.

Che poi si voglia qualificare il secondo provvedimento del dott. C. come conferma di quello iniziale, ordinatorio, con cui era stata fissata l’udienza più lontana, e non come revoca del provvedimento di nomina, è cosa che non rileva, perchè, ai fini del giudizio di corrispondenza tra fatto contestato e fatto ritenuto, importa che il fatto ritenuto sia stato reso intelligibile nei suoi elementi materiali, mentre i tratti che qualificano giuridicamente il fatto attengono all’illecito e quindi al giudizio di corrispondenza tra incolpazione disciplinare contestata e incolpazione ritenuta.

E però si deve pur aggiungere che si sarebbe potuto trattare d’una effettiva conferma del precedente provvedimento ordinatorio di fissazione dell’udienza, se ad essere rimosso fosse stato un provvedimento di anticipazione d’udienza, mentre nel caso, essendo stato il procedimento definito e trattandosi secondo il magistrato di dover creare le condizioni per tornare a provvedere sull’istanza originaria e non su una nuova istanza intesa alla modifica del precedente provvedimento, questo dovette essere annullato, come lo fu, al di là dell’essere stata la nullità argomentata nella motivazione e la conferma della precedente ordinanza pronunziata nel dispositivo.

4.2. – Il ricorrente – nel primo motivo e perciò a dimostrazione dello stesso vizio – rivolge alla sentenza una seconda critica, che attiene ora alla qualificazione giuridica del fatto.

Essa investe quindi il rapporto tra contestazione e decisione con riguardo a tale qualificazione.

L’illecito disciplinare sarebbe stato dichiarato in base ad aspetti di qualificazione del comportamento, che non sarebbero quelli usati nella contestazione.

Neanche questa critica è fondata.

4.2.1. – L’illecito disciplinare contestato attiene all’area dei comportamenti, che si estrinsecano, da parte del magistrato, nella adozione di atti presi nell’esercizio delle proprie funzioni di giudice.

La disposizione formulata al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. ff) costituisce il precipitato di una lunga elaborazione giurisprudenziale.

Che, partita dal principio per cui è attraverso il sistema dei rimedi previsti dalla legge processuale, che solo si può svolgere la critica dell’applicazione della legge fatta dal giudice; nel rispetto di tale principio, è giunta a rinvenire nel comportamento del giudice la sede di emergenza dell’illecito disciplinare: in particolare in tratti della concreta vicenda processuale, che stanno a denotare o il grave difetto di diligenza o ed a maggior ragione uno sviamento dell’atto giurisdizionale rispetto alla sua funzione, come accade quando esso si rivela adottato per ragioni diverse da quelle proprie della giurisdizione e dunque si rivela strumentalmente piegato a conseguire scopi ad essa estranei (Sez. Un. 28 marzo 1985 n. 2181; 18 ottobre 2000 n. 1119; 28 settembre 2009 n. 20730).

4.2.2. – La sezione disciplinare è pervenuta a giudicare il comportamento tenuto dal magistrato quando si è fatto ad adottare il provvedimento, come non già richiesto dall’esigenza di apportare correzioni o modifiche al provvedimento già adottato in vista d’una migliore attuazione della tutela richiesta, ma per una esigenza personale di riaffermare nell’ambito dell’ufficio “la competenza” che gli sarebbe derivata dalla precedente nomina per la trattazione dell’affare.

Questa valutazione si presenta come il frutto di un giudizio di merito, del tutto congrue rispetto alle caratteristiche del caso concreto e per altro verso espresso nel quadro di una esatta applicazione del principio di diritto prima richiamato.

Perchè la sezione disciplinare ha a ragione ritenuto che nel procedimento, iniziato ad istanza di parte e conclusosi col provvedimento sollecitato, alle necessità di cura dell’interesse della parte che aveva domandato la nomina dell’amministratore è stata sovrapposta l’esigenza, avvertita dal magistrato, orientata al rispetto di una posizione organizzativa, che avrebbe dovuto esser fatta valere se mai mediante altri pertinenti strumenti.

Tipo di condotta idoneo certo a creare disorientamento nel cittadino a proposito dell’equilibrio con cui i suoi magistrati esercitano la loro funzione.

4.3. – Il rigetto del primo motivo di ricorso dunque si impone.

Lo giustifica il principio di diritto che può essere così formulato.

Costituisce l’illecito disciplinare configurato al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 209, lett. ff) perchè traligna in uso strumentale della funzione giurisdizionale oltrepassando anche la soglia della grave negligenza, il comportamento del magistrato che, volendo riaffermare una propria competenza alla trattazione degli affari a lui assegnati e l’ordine temporale che gli ha attribuito, revoca un provvedimento di nomina di amministratore di sostegno, adottato in sua sostituzione da altro magistrato per esserne stata la trattazione fissata al di la del termine stabilito dall’art. 405 c.c., comma 1 e restituisce il procedimento allo stadio iniziale ed alla scansione temporale fissata in origine.

5.1. – Le considerazioni appena svolte conducono anche al rigetto del secondo motivo, con il quale, in relazione alle stesse norme indicate nella epigrafe del primo, si denunzia un vizio di violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. ff).

Vi si sostiene, infatti, che la sezione disciplinare avrebbe avuto l’onere di verificare e dimostrare – cosa che non ha fatto – che l’intenzione, il taglio, la motivazione del provvedimento valessero a collocarlo al di fuori di ogni previsione normativa ovvero lo connotassero come affetto da macroscopico errore o da grave ed inescusabile negligenza, questi dovendo essere i tratti del provvedimento giurisdizionale, perchè la sua adozione possa rilevare come illecito disciplinare alla stregua della figura di illecito delineata dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. ff).

5.2. – Conducono pure al rigetto del terzo motivo, che denunzia un vizio di difetto della motivazione (in relazione all’art. 606 c.p.c., lett. a) e art. 360 c.p.c., n. 5) e di violazione di norme di diritto (in base al D.Lgs. 23 febbraio 2009, n. 109, art. 2, comma 2).

La tesi che vi è svolta – che è risultata già contrastata in sede di esame del primo motivo – è che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, anzichè vagliare un comportamento in relazione al canone della grave ed inescusabile negligenza, si sarebbe fatta a sindacare l’interpretazione delle norme di diritto sottesa alla adozione d’un provvedimento adottato nell’esercizio della funzione giurisdizionale.

5.3. – Si rivela infine non fondato anche l’ultimo motivo.

Vi si denunzia il vizio di difetto di motivazione nella alternativa formulazione dell’art. 606 c.p.c., lett. e) e dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La sua illustrazione si presta ad essere riassunta nel periodo che si riporta.

E’ evidente – si osserva – che se si riconosce che il provvedimento emanato dall’attuale ricorrente non è stato pronunciato al di fuori di ogni previsione processuale, nè che è frutto di “un errore macroscopico”, nè “di grave ed inescusabile negligenza” quanto al contenuto ed al dispositivo, non è ammissibile che se ne sanzioni l’estensore.

Le ragioni per cui la contraddizione lamentata non v’è sono state già esplicitate ed emergono dal principio di diritto in base al quale è stato dichiarato non fondato il primo motivo.

6. – Il ricorso è rigettato.

7. – Non vi sono da liquidare spese del processo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

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