Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13458 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 03/06/2010), n.13458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22358-2006 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 242,

presso lo studio dell’avvocato DE PAOLIS ANTONIO, che lo rappresenta

e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

Contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3164/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

r.g.n. 939/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 20.4/28.7.2005, confermava la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 2.2.2002, impugnata da I.A., che aveva rigettato la domanda da quest’ultima proposta per far dichiarare la nullità del termine apposto ai contratti stipulati fra le parti nei seguenti periodi: dal 3 luglio al 30 settembre 1997 (ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 “per la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”); dal 14 luglio al 30 settembre 1998 (per la stessa causale); dal 17 novembre 1998 al 30 gennaio 1999 (prorogato sino al 31 marzo 1999, “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”); dal 3 al 31 maggio 1999 (per la stessa causale da ultimo indicata).

In particolare la Corte di merito:

relativamente a tutti i contratti respingeva la tesi “secondo cui l’illegittimità dell’apposizione del termine sarebbe da ricollegare alla mancata specificazione nella lettera di assunzione, e comunque alla carente dimostrazione, del nesso di causalità tra le esigenze riorganizzative e la singola assunzione a termine”, osservando al riguardo che “pur considerando l’occasione temporanea di lavoro come una sorta di requisito implicito comune a tutte le ipotesi previste dalla L. n. 230, tale principio non può trovare applicazione nei riguardi delle occasioni di lavoro a termine individuate dai contraenti collettivi in base alla L. n. 56 del 1987″;

con riferimento ai contratti stipulati dopo il 30-4-1998, riteneva di non condividere l’assunto secondo cui in ogni caso la nullità della apposizione del termine sarebbe da ricollegare alla circostanza che i contratti, con esclusione del primo, sarebbero stati stipulati dopo il 30 aprile 1998, termine ultimo fissato dalla parti con i successivi accordi attuativi del contratto del 25-9-1997”; ciò in base alla natura meramente “ricognitiva” di detti accordi, con la conseguente rilevanza, da un lato, della autorizzazione alla apposizione del termine legata esclusivamente alla permanenza di determinate “condizioni oggettive” (nella specie sussistenti), e dell’influenza, dall’altro, anche di una ricognizione postuma, come avvenuta con l’accordo del 18-1-2001;

riguardo, poi, alla proroghe, riteneva la legittimità delle stesse, ricorrendo le condizioni previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 2 in considerazione della sussistenza di esigenze imprevedibili e contingenti, diverse da quelle fondanti le iniziali apposizioni del termine, ed alle assunzioni operate per la sostituzione di lavoratori in ferie, che tale ipotesi risultava espressamente legittimata dalla contrattazione collettiva.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso I.A. con tre motivi, illustrati con memoria.

Resistono con controricorso le Poste Italiane.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi il ricorrente, denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1, 2 e 3 e della L. n. 56 del 19897, art. 23 e vizio di motivazione, censura la impugnata sentenza, con riferimento al terzo contratto concluso fra le parti, ed alla relativa proroga, nel punto in cui ha disatteso la tesi della nullità del termine apposto ai contratti stipulati per “esigenze eccezionali”, ai sensi dell’accordo del 25-9-97, successivamente al 30-4-1998.

In particolare il ricorrente lamenta la violazione dei criteri ermeneutici nella interpretazione accolta dalla corte territoriale al fine di affermare la natura meramente ricognitiva degli accordi “attuativi” del contratto del 25-9-97.

Con il terzo motivo, relativo al (secondo) contratto stipulato ex art. 8 del ccnl per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie per il periodo giugno-settembre”, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 degli artt. 1362 e 2697 c.c. con riferimento all’art. 8 del CCNL per i dipendenti delle Poste italiane, nonchè vizio di motivazione ribadendo la propria tesi circa la illegittimità del termine apposto, stante la mancata indicazione del nominativo del dipendente sostituito e della causa, nonchè per l’assenza e la mancata dimostrazione dei relativi fatti giustificativi.

1. Con riferimento ai motivi indicati, vanno ribaditi i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001. In primo luogo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa Corte ha più volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, come questa Corte ha più volte rilevato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Rilevato, quindi, che, in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, hanno reputato che con tali accordi le parti avessero convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998) della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. Questa Corte ha anche osservato che tale interpretazione non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di una più diffusa argomentazione ai fini della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453). Inoltre, è stato rilevato che tale interpretazione si palesa rispettosa del canone ermeneutico dell’art. 1367 cod. civ., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi (in considerazione della loro idoneità ad introdurre termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano previsti ex ante), laddove, diversamente opinando, gli stessi risulterebbero “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866). Infine, corretta è apparsa, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del lavoratore si era già definitivamente perfezionato.

Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141). In base agli esposti criteri interpretativi, ormai consolidati, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr.. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), devono, quindi, accogliersi i primi due motivi di ricorso.

2. Nel quadro degli stessi indirizzi ermeneutici, va,invece, riconosciuta la legittimità del termine apposto ai contratti stipulati per “concomitanza ferie” dal 3 luglio al 30 settembre 1997 e dal 14 luglio al 30 settembre 1998, palesandosi infondate le censure avanzate in proposito.

Questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su fattispecie analoghe a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), ha reiteratamente affermato l’insussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto il nome del lavoratore sostituito, per determinare la tesi opposta la violazione di norme di diritto, oltre che una erronea interpretazione della normativa collettiva.

Si è rilevato, infatti, che, ad escludere l’autonomia del contratto a termine regolato dalla contrattazione collettiva rispetto alla previsione legale, si determinerebbe un palese contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte e già richiamato (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588), secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge. Giova soggiungere che altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad es. Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato le decisioni di merito che, nel ritenere l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale , hanno interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso di riconoscere, quale unico presupposto per la sua operatività, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Così come (cfr. Cass. 28-3-2008 n. 8122) si è confermato che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale … l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro, di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”.

Alla luce dei principi indicati, va, quindi, ritenuto infondato il terzo motivo del ricorso.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rimessa ad altro giudice di pari grado, il quale, attenendosi ai criteri di interpretazione specificati, provvederà anche in ordine alla regolamentazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

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