Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13457 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 03/06/2010), n.13457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22286-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GLORIOSO

13, presso lo studio dell’avvocato BUSSA LIVIO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati VITALE ALIDA, RAFFONE NINO, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1337/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/07/2005 r.g.n. 583/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 15/26.7.2005 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza resa dal Tribunale di Torino il 17.9.2004 nella causa promossa da C.F. nei confronti delle Poste Italiane, che dichiarava sussistere fra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 7.2.2001, per effetto della nullità del termine apposto al (primo) contratto stipulato con riferimento al periodo dal 7.2.2001 al 31.5.2001.

Osservava la corte territoriale che, pur ritenendo che la L. n. 56 del 1987, art. 23 avesse conferito alle parti collettive una “delega” al fine di individuare ipotesi di contratti a termine ulteriori rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, con l’unico limite della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato, si doveva riconoscere che, una volta che tale autonomia fosse stata esercitata con la previsione di specifiche e delimitate ipotesi, incombesse sul datore di lavoro l’onere di dimostrare le condizioni obiettive che, nel singolo caso, avevano giustificato la clausola del termine;

onere, nella fattispecie, non osservato: essendo stato solo richiamato il processo generale di ristrutturazione operato dall’azienda sul territorio nazionale, senza alcuna dimostrazione in ordine alle eccezionali esigenze, diverse dal mero svolgimento del processo di ristrutturazione, che erano idonee a legittimare l’apposizione della clausola di durata. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con un unico motivo.

Resiste con controricorso C.F..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico articolato motivo la società ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 1362 ss. c.c., nonchè vizio di motivazione.

Osserva, al riguardo, che, operando la L. n. 56 del 1987, art. 23 una ampia delega alla contrattazione collettiva, la quale è libera di individuare le fattispecie in ordine alle quali è possibile l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, resta sottratta al sindacato giurisdizionale la valutazione della legittimità delle fattispecie individuate dagli agenti negoziali, con la conseguente impossibilità di sovvertire l’equilibrio contrattuale dagli stessi stabilito, integrando di fatto la causale collettiva con ulteriori requisiti dalle parti non previsti e non voluti, ed interpretando, comunque, le nuove fattispecie alla luce delle ipotesi tipiche contemplate nella L. n. 230 del 1962.

Il motivo è fondato nei termini che saranno appresso specificati.

Premesso che il contratto in causa è stato stipulato, ai sensi dell’art. 25 del ccnl del 2001, in data anteriore al D.Lgs. n. 368 del 2001 (entrato in vigore il 16-10-2001), nella fattispecie trova innanzitutto applicazione l’art. 11, comma 3 del citato Decreto, in virtù del quale “i contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza”.

Nel regime, quindi, anteriore al citato D.Lgs., in base all’indirizzo ormai consolidato affermato da questa Corte con riferimento ai contratti a termine conclusi ai sensi dell’art. 25 del ccnl del 2001, le censure della ricorrente risultano fondate. In particolare questa Corte Suprema (v. fra le altre Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1-10-2007 n. 20608) decidendo in casi analoghi, ha cassato le pronunce di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che le organizzazioni sindacali, senza essere vincolate alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, poi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, hanno affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato in questa sede, essendo, del resto, la tesi accolta dalla Corte territoriale (circa la genericità della clausola collettiva) fondata sull’erroneo presupposto che il legislatore non avrebbe conferito una “delega in bianco” ai soggetti collettivi ed avrebbe imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962.

Del pari, nel quadro delineato, neppure era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. 14-3- 2008 n. 6988).

In applicazione di tali criteri interpretativi, il primo contratto intervenuto fra le parti è da ritenersi, pertanto, legittimo e la sentenza va in conseguenza cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, il quale provvederà all’esame delle contestazioni riguardanti gli ulteriori contratti, dichiarate assorbite, statuendo anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Genova.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

 

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