Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13456 del 29/05/2017


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Cassazione civile, sez. un., 29/05/2017, (ud. 21/03/2017, dep.29/05/2017),  n. 13456

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20591/2016 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA G.

MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato LUCIO NICOLAIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO LANZARA;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI NAPOLI, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE

DI APPELLO DI NAPOLI;

– intimati –

avverso la sentenza del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata in

data 26/07/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2017 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 3 ottobre 2013 il Consiglio dell’ordine forense partenopeo instaurò procedimento disciplinare a carico dell’avvocato R.F. “perchè si costituiva quale avvocato del condominio in (OMISSIS) in controversia pendente dinanzi alla sesta e alla quarta sezione del tribunale di Napoli pur contemporaneamente svolgendo le funzioni di GOT, così ponendo in essere un comportamento in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro imposti all’avvocato dell’art. 5 del Codice deontologico forense e dall’art. 42 quater, dell’Ordinamento giudiziario. Fatti avvenuti in data 11 febbraio 2011 e tuttora perduranti”.

2. All’esito della prima fase del procedimento, si applicò all’incolpato la sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi con decisione del 3 dicembre 2013 parzialmente riformata dal Consiglio nazionale forense che, con sentenza del 28 luglio 2016, ha ridotto la sanzione a quattro mesi.

3. Per la cassazione di tale decisione l’avvocato R.F. propone ricorso affidato a quattro motivi e corredato da istanza di sospensione della sentenza, poi rigettata all’esito dell’adunanza camerale del 25 ottobre 2016 (Cass., sez. un., 7 novembre 2016, n. 22521). Il ricorrente si difende anche con ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

0. Il ricorso non è fondato.

1. In primo luogo, riguardo alla “violazione di legge per erronea indicazione della norma violata” (motivo 1), si osserva che la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 59, comma 1, lett. b), p. 1.2, (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) prescrive sì che il capo d’incolpazione contiene l’enunciazione dell’addebito e l’indicazione delle norme violate. Però il Codice deontologico forense vigente all’epoca dei fatti, all’art. 5, stabiliva che “L’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro”. Tale disposizione è indicata nel capo d’incolpazione in relazione all’art. 42 quater dell’Ordinamento giudiziario sulle incompatibilità dei giudici onorari. Il che costituisce il nucleo normativo dell’incolpazione enunciata – anche in punto di fatto – nel capo d’accusa in termini sostanzialmente sovrapponibili all’art. 53, comma 3, del nuovo Codice deontologico forense del 2014 con disposizione incriminatrice (“L’avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario deve rispettare tutti gli obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sulle incompatibilità”), che si pone, quindi in linea di continuità col combinato disposto dell’art. 5 del vecchio Codice deontologico forense e dell’art. 42 quater, dell’Ordinamento giudiziario.

Inoltre, in tesi generale, per la contestazione dell’accusa si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, persino la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina di per se stessa una nullità, neppure in sede penale (es. Cass. pen., 19 febbraio – 24 maggio 2013, n.22434, Nappello; conf. 5 dicembre 2013 – 4 febbraio 2014, n. 5469, Russo) così come nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati (Cass., sez. un., 6 dicembre 2012, n. 21913). Mentre l’addebito di per se stesso non esige neanche una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l’illecito, essendo, invece, sufficiente che l’avvocato incolpato, con la lettura dell’imputazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere condannato per fatti diversi da quelli ascritti (Cass., sez. un., 14 dicembre 2016, n. 25633; 28 maggio 2015, n. 21948; 18 novembre 2013, n. 25795).

2. In secondo luogo, riguardo alla violazione dell’art. 4 del nuovo Codice deontologico forense (motivo 2), si osserva che la “coscienza e volontà delle azioni o omissioni” consistono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione che possano essere impedite con uno sforzo del volere e siano quindi attribuibili alla volontà del soggetto. Il che fonda la presunzione di colpa per l’atto sconveniente o addirittura vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa. Sicchè l’agente resta scriminato solo se vi sia errore inevitabile, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza, oppure se intervengano cause esterne che escludono l’attribuzione psichica della condotta al soggetto. Ne deriva che non possa parlarsi d’imperizia incolpevole ove si tratti di professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti e quindi in grado, quale operatore qualificato di conoscere e interpretare correttamente l’ordinamento giudiziario e forense, mentre unicamente l’inconoscibilità incolpevole della disciplina di riferimento può escludere la colpa in capo all’agente (v. in generale Cass., 29 dicembre 2011, n. 29736).

L’art. 53, comma 3, del nuovo Codice deontologico forense secondo il quale, come in precedenti edizioni (conf. ed. 14 aprile 1997), l’avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario deve rispettare tutti gli obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sull’incompatibilità – rende esplicita l’intenzione dell’Ordine professionale, nell’esercizio delle proprie attribuzioni di autoregolamentazione, di considerare l’avvocato chiamato a svolgere le suddette funzioni giudiziarie onorarie comunque soggetto, oltre che all’obbligo di rispettare i doveri nascenti da tali compiti, anche alla correlata osservanza delle regole di deontologia della professione legale (Cass., sez. un., 10 giugno 2003, n. 9216).

3. Infine, riguardo alle denunce di eccesso di potere “per contraddittorietà nella valutazione di gravità” (motivo 3) nonchè “per omessa valutazione in attenuazione della natura delle due cause patrocinate” (motivo 4), si osserva che dalla lettura della sentenza non emerge alcun eccesso o sviamento di potere, ovverosia l’uso della potestà disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito (Cass., sez. un., 23 marzo 2007, n. 7103; 9 maggio 2016, n. 9287; 14 dicembre 2016, n. 25627; conf. n. 25633/2016, cit.), ma solo una difforme valutazione delle risultanze processuali rispetto alle tesi difensive dell’interessato, peraltro rispettosa di quel “minimo costituzionale” ritenuto, in tesi generale, il discrimine ultimo per lo scrutinio del deficit motivazionale in sede di legittimità (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053) anche nel contenzioso disciplinare (Cass., sez. un., nn. 9287-25627-25633/2016, cit.).

In sostanza, si tratta di rilievi che esulano dai poteri del giudice di legittimità richiedendo nuovo esame, scelta e ponderazione del materiale probatorio globalmente sottoposto al giudice di merito. Questo, peraltro, ha compiuto una specifica disamina sia del perchè “il fatto deve considerarsi grave” (penult. cpv. pag.5), sia “in punto entità della sanzione” (ult. cpv. pag.5, primo cpv. pag.6), così fornendo giustificazione della decisione di merito circa l’applicazione della sospensione prevista dalla L. n. 247 del 2012, art. 53, comma 3, “per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi”, in luogo delle inferiori sanzioni dell’avvertimento per i casi lievi (comma 1) e della censura per i casi di minore gravità (comma 2) ora unificati nella sola censura dall’art. 53, commi 3 e 6, del nuovo Codice deontologico forense.

Di contro, i mezzi in esame – al pari di gran parte del ricorso comportano un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, valutazione delle risultanze degli atti di causa, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio nè costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata (Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7931; conf. n. 25627/2016 cit.).

4. Per completezza, è vero che le norme del nuovo Codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, avendo la L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum (Cass., sez. un., 16 febbraio 2015, n. 3023 e 27 ottobre 2015, n. 21829). Ma la previsione della sola censura da parte del nuovo Codice deontologico forense (art. 53, commi 3 e 6) non ha affatto superato la previsione legale aggravata della sospensione “per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi” (art. 53, comma 3, legge n. 247/2012).

Si rammenta, sul punto specifico, che il potere di applicare la sanzione, adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari; pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all’incolpato dal Consiglio nazionale forense non è censurabile in sede di giudizio di legittimità. (Cass., sez. un., 26 maggio 2011, n. 11564), con conseguente inammissibilità di ogni doglianza che tenda ad ottenere un sindacato sulle scelte discrezionali del Consiglio nazionale forense in ordine al tipo e all’entità della sanzione applicata (Cass., sez. un., 23 gennaio 2004, n.1229).

5. Non essendovi costituzione di terzi intimati nessuna statuizione deve essere adottata in punto di spese.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2017

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