Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13456 del 03/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 03/06/2010), n.13456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31279-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.E. O E., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1819/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/11/2005 r.g.n. 6494/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, regolarmente notificato, L.E., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dal 7 febbraio 1998 al 30 aprile 1998 e dal 23 novembre 1998 al 30 gennaio 1999 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, nonchè dal 1 luglio 1998 al 30 settembre 1998 “per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione di talchè, essendo state le assunzioni illegittime, i contratti si erano convertiti in contratti a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti rapporti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 10.5.2002 il Tribunale adito accoglieva la domanda e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione, a decorrere dalla instaurazione del primo rapporto, condannando la società convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione, con accessori, dalla data della richiesta di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 4.3.2005, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale, preso in esame il primo rapporto di lavoro instaurato dal 7 febbraio al 30 aprile 1998, rilevava che l’assunzione in parola, pur essendo stata dichiarata come effettuata ai sensi della disciplina legale vigente ed a norma dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 e dei successivi accordi integrativi, non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni della stipulazione a termine sottese alla previsione – astratta e di natura programmatica – dell’accordo collettivo; ed in particolare mancava la necessaria specifica indicazione della incidenza della manovra riorganizzativa indicata nel predetto contratto con riferimento al luogo, al tempo, alle mansioni o posizione di lavoro attribuite alla lavoratrice interessata.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

La stessa ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 18 aprile 962, n. 230; violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23; violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 1362 e segg. c.c..

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la causale del contratto in questione si sarebbe risolta in una proposizione del tutto generica in quanto priva di alcun riferimento alle specifiche esigenze che avevano determinato l’assunzione del lavoratore; ed invero l’accordo del 25.9.1997 era assolutamente coerente con la previsione di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23 che aveva attribuito sul punto una delega in bianco in ordine alle ulteriori ipotesi di contratto a termine rispetto a quelle legislativamente previste, ritenendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti e prescindendo quindi dalla necessità di individuare ipotesi di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c..

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva condannato la società al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data delle pretesa messa in mora, e cioè dalla data di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, incorrendo in tal modo nella palese violazione dei principi e delle norme di legge sulla corrispettività delle prestazioni, avendo la giurisprudenza evidenziato che la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente.

E rileva inoltre che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta della società di valutare l’aliunde perceptum, al fine di dedurre i ricavi conseguiti dalla lavoratrice e che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa, aggiungendo che la percezione da parte della lavoratrice di altre somme dopo l’interruzione della funzionalità di fatto del rapporto non poteva che essere genericamente dedotta dalla società.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Ed invero, la statuizione della Corte territoriale si basa sull’assunto secondo cui non sarebbe consentito al datore di lavoro di avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali.

Tale assunto contrasta con il costante insegnamento di questa Corte di cassazione (Cass. sez, lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, secondo cui l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Orbene, la decisione della Corte di merito, con riferimento al contratto preso in esame relativo al periodo dal 7 febbraio al 30 aprile 1998, non è conforme al suddetto principio di diritto, ove si osservi tra l’altro che il detto contratto era stato stipulato anteriormente al 30.4.1998, ossia in periodo coperto dalla contrattazione autorizzatoria, avendo le parti sociali convenuto di ritenere”fino” al 30.4.1998 il perdurare delle condizioni sottese alla apposizione del termine; l’impugnata sentenza, in accoglimento del suddetto motivo di gravame, nel quale rimane assorbito l’ulteriore, deve essere pertanto cassata (con riferimento al contratto predetto), con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvedere tenendo conto dei principi sopra affermati, e provvederà altresì, ex art. 385 c.p.c., sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2010

 

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