Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13452 del 18/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 18/05/2021), n.13452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25872-2019 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO DA

CARPI N. 6, presso lo studio dell’avvocato PATERNOSTRO GEMMA,

rappresentato e difeso dall’avvocato BAVARO GABRIELE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BISCEGLIE, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PASTEUR 5, presso lo studio

dell’avvocato GIANNUBILO ENRICO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LORUSSO BIAGIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 613/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata l’08/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA

LAURA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il signor C.P. ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Bari lo ha condannato al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro dodici mila per compensi, oltre accessori di legge in favore del Comune di Bisceglie.

2. Il ricorrente nel corso del processo – introdotto nell’anno 2011, definito con l’impugnata sentenza ed avente ad oggetto la determinazione della giusta indennità di esproprio relativa alle particelle di terreno (nn. 1680, 1681, 1682, 1863, 1864, 1697, 1698, 1699, 1700, f. 11 del Comune di Bisceglie) in comproprietà con altri eredi dal comune dante causa, signor C.G. – aveva dedotto la pendenza di altra lite, rubricata al n. 934 del 2009, rispetto alla quale egli chiedeva la riunione.

Nell’ambito di siffatto diverso giudizio, avente ad oggetto l’indicata posta e gli stessi terreni, ad esclusione della sola particella 1682 su cui insisteva l’edificio già in proprietà paterna, il c.t.u. ivi nominato aveva stimato il valore dei beni espropriati e tanto sosteneva la richiesta riunione.

In quel giudizio veniva pronunciata la sentenza di appello, la n. 1150 del 2014, e la Corte territoriale, successivamente adita nel distinto giudizio, decideva per la sospensione del processo in attesa del passaggio in giudicato dell’indicato titolo.

La sentenza n. 1150 del 2014 è passata in cosa giudicata all’esito del rigetto del ricorso per cassazione proposto dal Comune di Bisceglie ed il giudizio, già sospeso, è stato riassunto ex art. 297 c.p.c. dal signor Caprioli e definito con la sentenza qui impugnata, con cui la Corte barese ha dichiarato l’improcedibilità della domanda per intervenuto giudicato esterno ed ha condannato alle spese di lite l’opponente che, appresa l’esistenza del giudicato, aveva persistito nel coltivare la domanda nel distinto giudizio.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito violato il principio della causalità ponendo integralmente a carico del ricorrente le spese di lite, erroneamente valorizzando “solo sull’ultimo scorcio della vicenda processuale”, mancando di “analizzarla nel suo complesso sin dal suo originarsi” ed in tal modo omettendo di valutare che il ricorrente non era totalmente soccombente.

Il ricorrente aveva infatti proposto una domanda che, quando coltivata, era fondata poichè nel giudizio n. 934 del 2009, definito con la sentenza n. 1150 del 2014, la Corte di appello solo pronunciando ultra petita aveva potuto determinare l’indennità anche per la particella n. 1682, su cui non vi era stata in quella sede domanda e che non risultava neppure essere ricompresa nel primo decreto di esproprio quello dell’1 giugno 2009, al quale l’introdotto accertamento giudiziale si riferiva, ma solo nel secondo intervenuto il 10 marzo 2011.

Tanto era avvenuto in quel primo giudizio senza che nessuno sollevasse eccezione ed il ricorrente, attraverso quella che era una sostanziale integrazione della domanda iniziale, aveva provveduto ad introdurne una nuova sulla indicata particella attraverso il successivo giudizio del 2011 poi definito dalla sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione degli artt. 88 e 96 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di appello, in sostanza, sanzionato con la condanna alle spese la condotta processuale del ricorrente in difetto dei presupposti di legge.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014 (artt. 2, 3, 4 e 5) per avere la Corte di merito fondato la propria decisione sul valore della causa e non sugli altri criteri indicati dalle richiamate norme, tra i quali: l’urgenza, l’impegno, le difficoltà, i risultati conseguiti, il numero e la complessità delle questioni; la Corte inoltre non si sarebbe attenuta all’esame dei valori medi della tabella di cui al D.M. n. 55 del 2014.

5. Il primo motivo è manifestamente infondato in applicazione del criterio, costante nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione, per il quale, “la parte soccombente va identificata, alla stregua del principio di causalità sulla quale si fònda la responsabilità del processo, in quella che, lasciando insoddi0 tta una pretesa riconosciuta l’ondata, abbia dato causa alla lite, ovvero con quella che abbia tenuto nel processo un comportamento rilevatosi ingiustificato: tale accertamento, ai fini della condanna al pagamento delle spese processuali, è rimesso al potere discreionale del giudice del merito, e la conseguente pronuncia è sindacabile in Sede di legittimità nella sola ipotesi in cui dette spese siano, state poste, anche parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa” (enfasi aggiunta) (Cass. n. 5539 del 10/09/1986; Cass. n. 25141 del 27/11/2006; Cass. n. 13229 del 16/06/2011).

La Corte di appello ha motivato la condanna del ricorrente avuto riguardo al comportamento da questi tenuto nel corso del giudizio – diretto a procrastinare del giudizio la pendenza nonostante il passaggio in giudicato di altra sentenza che aveva statuito nei medesimi termini sulla indennità di esproprio poi oggetto del successivo – e tanto nel rilievo che le due condotte, su cui trova espressione e fondamento il principio di causalità, quella di introduzione di azione infondata e quella di tenuta di un comportamento ingiustificato nel corso del giudizio, hanno alternativo ed autonomo rilievo nel sostenere, per il principio di soccombenza, la condanna alle spese di lite.

La Corte di merito inoltre ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza non condannando alle spese colui che era risultato all’esito della lite “totalmente vittorioso”.

6. Il secondo motivo è manifestamente infondato e tanto nella natura non sanzionatoria, ma applicativa del criterio della soccombenza, sub specie delle condotte processuali adottate dalla parte nel provocata permanenza del giudizio, contenuto in sentenza.

Tale deve infatti intendersi il richiamo, compreso nella statuizione di merito impugnata, al comportamento del ricorrente che ha coltivato un’azione “ormai preclusa dal giudicato”.

7. Il terzo motivo è manifestamente infondato là dove denuncia la non rispondenza a previsione di norma (D.M. n. 55 del 2014 artt. 2,3,4 e 5) del mero richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al parametro del “valore della controversia” al fine di determinare i compensi spettanti all’avvocato, con omissione degli altri criteri indicati nella fonte regolamentare.

In materia di liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato che abbia prestato il proprio patrocinio in giudizio, il giudice di merito non deve partitamente indicare tutti i criteri previsti dalla norma regolamentare di disciplina perchè essi non fissano una regola di giudizio; la scelta degli elementi e la loro valutazione rientrano infatti nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a prendere in considerazione dettagliatamente tutte le singole previsioni, ma deve soltanto fornire un apprezzamento globale sulla base degli elementi ritenuti più rilevanti e pertinenti.

Il motivo è altresì inammissibile là dove deduce in punto di “valori medi” indicati in tabella – parametro su cui la liquidazione dei compensi deve contenersi, secondo la vigente disciplina dei compensi introdotta all’esito della legge professionalen. 247 del 2012 – in modo generico e dubitativo e quindi non concludente la loro violazione (“dall’esame dei valori medi indicati dalla tabella… pare (enfasi aggiunta) al ricorrente che la Corte di Appello non si sia in alcun modo attenuta ai precetti normativi in materid’).

La violazione dei “valori medi” viene dedotta in ricorso rispetto alla tariffa allegata al D.M. n. 55 del 2014 senza che sia però sviluppato alcun argomento a sostegno e tanto a fronte dell’applicabilità, per l’epoca in cui la liquidazione è avvenuta, essendo la sentenza impugnata stata pronunciata in data 5 febbraio 2019, del successivo D.M. n. 37 del 2018 in vigore dalle liquidazioni operate a far data dal 27 aprile 2018.

Il ricorrente non indica qual è il “valore medio” violato dalla liquidazione operata dalla Corte di appello, mancanza resa più significativa dalla individuazione in ricorso di una fonte di disciplina delle tariffe neppure corrispondente poi, ratione temporis, a quella applicabile.

8. Il ricorso è conclusivamente infondato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Comune di Bisceglie le spese di lite che liquida in Euro 3.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2021

 

 

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