Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13451 del 02/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 02/07/2020), n.13451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1647-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

D.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2436/13/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata l’08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11 /02 /2020 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso di 3.027,30 Euro, proposta in data 29 febbraio 2008 della L. n. 289 del 2002, ex art. 9, comma 17, relativa al 90% dei tributi versati per l’IRPEF relativamente agli anni d’imposta 1990, 1991, 1992.

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate ritenendo che, poichè egli svolgeva attività di lavoratore autonomo e non rivestiva quindi la qualifica di imprenditore, a lui non poteva applicarsi la disciplina a tutela della concorrenza che avrebbe impedito il rimborso dell’imposta versata.

Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi mentre la parte contribuente non si costituiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18, 19 e 21, nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per essere il ricorso introduttivo inammissibile per mancanza nell’istanza di rimborso del quantum richiesto e della connessa prova di aver versato quanto chiesto in restituzione al Fisco;

con il secondo motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, come modificato dal D.L. 20 giugno 2017, n. 91, art. 16 octies, convertito dalla L. 3 agosto 2017, n. 123, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, in quanto, a seguito delle modifiche apportate alla norma dal citato art. 16 octies, qualora l’ammontare delle istanze ecceda le complessive risorse stanziate dalla norma, i rimborsi sono ridotti del 50% rispetto a quanto dovuto: tale norma avrebbe portata generale e quindi sarebbe applicabile anche al caso di specie dato che la sentenza impugnata è stata depositata in data successiva (8 giugno 2018) rispetto alla modifica normativa citata (del 13 agosto 2017);

ritenuto che il ricorso va respinto;

ritenuto infatti che il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, dal momento che il ricorso per un verso omette di trascrivere il contenuto dell’istanza di rimborso, neppure allegata al ricorso e non indica quando e in quali atti il ricorrente avrebbe già prospettato tale questione e da quali documenti già prospettati ai giudici di merito tale circostanza di fatto risulterebbe e per un altro verso si pone in contrasto sia quanto all’affermazione in fatto della CTR, secondo cui la parte contribuente ha chiesto il rimborso di una somma di 3.027,30 Euro, sia con i motivi di ricorso della stessa Agenzia in appello, dal momento che dalla lettura della sentenza della CTR la mancanza nell’istanza di rimborso del contribuente del quantum richiesto e della connessa prova di aver versato quanto chiesto in restituzione al Fisco non sembra essere stato già prospettato in appello, (cfr. Cass. n. 23834 del 2019, secondo cui l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Cassazione ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti; Cass. n. 32804 del 2019, secondo cui qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa).

Ritenuto poi che il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto, come evidenziato da Cass. 14 marzo 2018, n. 6213 (nello stesso senso Cass. n. 7498 del 2018; Cass. n. 19133 del 2019; Cass. 19410 del 2019; Cass. n. 1275 del 2020) in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione di limiti quantitativi al procedimento di rimborso da parte di una legge sopravvenuta (nella specie, la L. n. 123 del 2017, art. 16-octies, comma 1, lett. b, di conv. del D.L. n. 91 del 2017), attuata con provvedimento amministrativo, in quanto la stessa non incide sul titolo del diritto alla ripetizione, che si forma nel relativo processo, ma esclusivamente sull’esecuzione del medesimo);

ritenuto che va conseguentemente corretta la decisione impugnata laddove afferma che “l’esecuzione va disposta senza abbattimento del 50%” in quanto erronea;

ritenuto dunque che il ricorso è infondato e che nulla va statuito in merito alle spese non essendosi costituito il contribuente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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