Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13448 del 30/06/2016

Cassazione civile sez. II, 30/06/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 30/06/2016), n.13448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24502-2011 proposto da:

D.B.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato EMILIO

IACOBELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati ROSINA CASERTANO,

FRANCESCO CASERTANO;

– ricorrente –

contro

R.L., R.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE, 22, presso lo studio dell’avvocato ROCCO LUIGI

GIROLAMO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TESEO RABUANO (deceduto nelle more);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4233/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato GIROLAMO ROCCO Luigi, difensore dei resistenti che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.B.G. citava in giudizio avanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Piedimonte Matese, R. A. e R.L. deducendo di essere proprietario dell’immobile ubicato in (OMISSIS) catastalmente censito al foglio 23, particella 323, confinante con la proprietà dei germani R.; rilevava che i convenuti avevano iniziato ad utilizzare il cortile come luogo di transito veicolare e area di parcheggio, oltre che come spazio destinato al deposito di legna e di altri materiali.

Chiedeva pertanto che ai convenuti fosse ordinato di sgomberare il cortile e di astenersi, per il futuro, da qualsiasi ulteriore utilizzo pregiudizievole della proprietà attorea.

I R. si costituivano ed eccepivano di essere comproprietari del cortile; imputavano all’attore condotte lesive del proprio diritto e concludevano chiedendo di respingersi la domanda attrice e di accogliersi quella riconvenzionale, diretta ad ordinare a D.B. la cessazione dell’ utilizzo dell’area per lo svolgimento della propria attività di ristorazione, di ripristinare un cancello inizialmente collocato all’ingresso del cortile, di inibirsi alla stessa controparte la produzione di immissioni superiori alla normale tollerabilità e di stabilirsi, infine, le modalità attraverso cui procedere alla pulizia dello spazio comune.

Il tribunale rigettava la domanda principale e accoglieva quella riconvenzionale: in particolare, faceva divieto all’attore di occupare lo spazio comune con sedie e tavoli, di dar vita a immissioni sonore e di adibire lo spazio comune a luogo di parcheggio o di bivacco; dichiarava che gli oneri per la pulizia del cortile facevano capo alle parti del giudizio in ragione delle rispettive quote e condannava l’attore a concorrere alle spese di ripristino del cancello d’ingresso.

Proponeva appello D.B.. Si costituivano gli appellati che chiedevano il rigetto dell’avverso gravame.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 21 dicembre 2010, respingeva l’impugnazione. Rilevava, a fronte dell’eccezione di carenza di legittimazione sollevata col gravame, che gli appellati avevano provato il venir meno della comunione ereditaria affermata dall’appellante (comunione che avrebbe riguardato l’area in questione). Affermava, altresì, che la comproprietà dell’area di cortile era stata rettamente riconosciuta in forza dei titoli sottoposti all’esame del primo giudice.

La sentenza della corte di Napoli è stata Impugnata da D.B. sulla base di cinque motivi. Resistono con controricorso i R., che hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia error in procedendo richiamandosi impropriamente l’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè il n. 4 dello stesso articolo. Si sostiene che vanamente si era sottoposto al giudice dell’impugnazione il profilo della dedotta carenza di legittimazione con riguardo alla domanda riconvenzionale proposta da controparte.

Col secondo motivo è lamentata, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si afferma che era stata richiesta una rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio al fine di ricostruire in maniera specifica “quanto ultroneamente acquisito e vieppiù statuito”, mentre la sentenza aveva omesso ogni motivazione al riguardo.

Il terzo motivo censura la sentenza richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 4 e lamentando una “omessa valutazione in relazione ai criteri di cui all’art. 112 c.p.c.”.

Il quarto motivo prospetta una violazione del criterio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e una “violazione del procedimento logico formativo”. Si lamenta che la corte di merito si sia sostituita alle parti decidendo su profili di domanda che non erano stati fatti valere, incorrendo quindi in ultrapetizione.

Col quinto motivo è denunciato un vizio di motivazione, che si assume carente, lacunosa, illogica e incongrua. Si afferma che la domanda era stata stravolta da un esame frammentato dei titoli attraverso cui erano stati trasferiti i diritti.

I motivi fatti valere risultano articolati tutti in modo sommamente generico e risultano per lo più incomprensibili nel loro svolgimento argomentativo. Con riferimento al primo si prospetta un error in procedendo che non risulta chiarito nel suo contenuto e che non è definito dalle norme processuali che si assumono violate; col secondo si fa questione del mancato rinnovo della consulenza tecnica, ma non si indica nemmeno quale dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine peritale e si trascura oltretutto il rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, per cui l’accertamento tecnico non è utile allorquando si debba procedere all’interpretazione dei titoli contrattuali;

il terzo cumula in modo incomprensibile la violazione dell’art. 112 c.p.c. (di cui alla rubrica) e il vizio motivazionale (richiamato nel corpo del motivo), senza che oltretutto il ricorrente precisi a quali profili della decisione impugnata faccia riferimento; il quarto motivo menziona una ultrapetizione che non è punto esplicitata; il quinto, infine, è incentrato su di un vizio di motivazione che si basa su argomentazioni prive di specificità, oltre che del tutto carenti di autosufficienza.

Si rileva, in proposito, che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione Impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa. Ciò comporta – fra l’altro –

l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259). Questa S.C. ha inoltre precisato che l’incomprensibilità della censura svolta con un mezzo di cassazione comporta che non è soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, il quale prescrive che il ricorso contenga, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata (Cass. 17 maggio 2006, n. 11501; Cass. 4 febbraio 2000, n. 1238).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile.

Segue, per il principio della soccombenza, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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