Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13448 del 20/06/2011

Cassazione civile sez. I, 20/06/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 20/06/2011), n.13448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO DELLA CASILLO GRANI S.N.C., in persona del curatore p.t.

dott. D.B.M., elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Asiago n. 8, presso l’avv. STANISLAO AUREI, unitamente al prof. avv.

INZITARI BRUNO, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO POPOLARE SOC. COOP. P.A.. in persona del legale

rappresentante p.t. D.S.A., elettivamente domiciliata

in Roma, al largo del Teatro Valle n. 6. presso il prof. avv.

MINERVINI GUSTAVO dal quale è rappresentata e difesa in virtù di

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 442/04,

pubblicata il 20 maggio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21

marzo 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Parenti per delega del difensore del ricorrente e l’avv.

Bonaccorsi per delega del difensore del controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. GOLIA Aurelio, il quale ha concluso per l’accoglimento

del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il curatore del fallimento della Casillo Grani S.n.c. convenne dinanzi al Tribunale di Foggia la Banca di Credito Popolare Soc. Coop. a r.l. chiedendo accertarsene la responsabilità per concessione abusiva di credito alla società fallita, con la condanna al risarcimento dei danni in misura pari all’ammontare delle passività non bancarie della stessa, detratte le attività fallimentari, e chiedendo altresì la revoca degli atti a titolo oneroso, in considerazione dello smodato tasso d’interessi praticato e per le attività non conformi all’attività di credito, nonchè la revoca di tutti i versamenti eseguiti con mezzi propri o impropri di pagamento.

1.1. – Il Giudice istruttore, rilevata la nullità della citazione con riferimento ad entrambe le domande, ne dispose l’integrazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 5.

1.2. – All’esito, il Tribunale, con sentenza non definitiva dell’11 ottobre 2001, rigettò l’eccezione di difetto di legittimazione del curatore all’esercizio dell’azione risarcitoria, dichiarando invece l’improcedibilità dell’azione revocatoria, per inottemperanza all’ordine di integrazione.

2. – La sentenza, impugnata dalla Banca, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Bari, che con sentenza del 20 maggio 2004 ha dichiarato il difetto di legittimazione del curatore in ordine all’azione risarcitoria, rigettando invece l’appello incidentale proposto dal curatore avverso la dichiarazione d’improcedibilità dell’azione revocatoria.

In ordine a quest’ultima domanda, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che, con la memoria integrativa depositata a seguito dell’ordinanza del Giudice istruttore, la difesa del fallimento non fosse riuscita ad indicare con precisione le operazioni di cui aveva chiesto dichiararsi l’inefficacia, l’arco temporale delle stesse e le fattispecie normative di riferimento, la cui individuazione non risultava possibile neppure in base alla documentazione prodotta, tenuto conto in particolare dell’eterogeneità degli atti riportati nel partitario del libro giornale.

3. – Avverso la predetta sentenza il curatore del fallimento propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La Banca di Credito Popolare resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionalo, articolato in un solo motivo, al quale il curatore resiste a sua volta con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – In via pregiudiziale, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del controricorso al ricorso incidentale, sollevata dalla difesa della Banca con riguardo a quella parte dell’atto in cui la difesa del fallimento non si è limitata a resistere all’impugnazione incidentale, ma ha svolto argomentazioni volte a contrastare quelle riportate nel controricorso al ricorso principale, senza peraltro introdurre sostanziali novità rispetto al contenuto del ricorso.

1.1. – Con il controricorso previsto dall’art. 371 c.p.c., comma 4, il ricorrente principale può infatti resistere al ricorso incidentale proposto dalla parte intimata, confutandone i motivi o prospettando questioni rilevabili d’ufficio, senza rappresentare questioni nuove o dedurre nuovi motivi d’impugnazione (cfr. Cass. Sez. 1^, 23 giugno 1998, n. 6233: Cass. Sez. Un. 6 febbraio 1971, n. 311), e negli stessi limiti può anche svolgere argomentazioni difensive in contrasto con quelle contenute nel controricorso al ricorso principale, a condizione che non ne risulti ampliato o integrato il contenuto dei motivi di ricorso, non essendo tale possibilità preclusa neppure con riferimento alle memorie illustrative da depositarsi successivamente ai sensi dell’art. 378 cod. proc. Civ. (cfr. Cass. Sez. Un. 15 maggio 2006 n. 11097; Cass., Sez. 3^ 28 agosto 2007. n. 18195).

2. – Occorre inoltre prendere atto che. con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la difesa del fallimento ha dichiarato di rinunciare al primo motivo di ricorso, con cui aveva dedotto la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2043, 2055, 2056, 1223, 1226, 1227, 2740 e 2394 cod. civ. e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 240 e 146 nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato il difetto di legittimazione del curatore in ordine alla domanda di risarcimento del danno per concessione abusiva di credito.

2.1. – Tale rinuncia, conseguente all’orientamento adottato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 28 marzo 2006, n. 7031, sfavorevole alla tesi sostenuta dal ricorrente, non esige uno specifico mandato nè la sottoscrizione della parte, trattandosi di scelta rimessa alla discrezionalità del di Tensore, in relazione agli aspetti tecnici della difesa, e non implicante disposizione del diritto controverso (cfr. Cass. Sez. 5^ 15 maggio 2006, n. 11154; 23 ottobre 2003, n. 15962).

3. – Essa, comportando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, nella parte riguardante l’azione risarcitoria, determina l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato, in quanto fa venir meno l’interesse alla decisione in ordine all’unico motivo proposto dalla controricorrente, con cui quest’ultima ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sanata la nullità dell’atto di citazione con riferimento all’azione risarcitoria, deducendo la violazione o la falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4 e art. 164 cod. proc. civ., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

4. – E’ invece fondato il secondo motivo del ricorso principale, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4 e dell’art. 164 cod. proc. civ., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato improcedibile l’azione revocatoria.

Osserva il fallimento che la Corte d’Appello non si è curata di motivare la dichiarazione di nullità dell’atto di citazione, ma si è limitata a censurare la tecnica di formulazione dello stesso, consistente nel richiamo di più istituti o discipline la cui applicabilità avrebbe dovuto essere valutata dal Giudice ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda. L’eventuale erroneità dell’istituzione di un vincolo di subordinazione tra le varie domande non avrebbe potuto condurre alla pronuncia di nullità, non determinando contraddittorietà o confusione tra le stesse, che riguardavano i versamenti eseguiti negli anni 1992, 1993 e 1994 sul conto corrente n. (OMISSIS), trovavano fondamento nella L. Fall., art. 67, commi 1 e 2, ed erano state ulteriormente precisate attraverso le istanze istruttorie formulate nell’atto di citazione e la produzione del partitario del libro giornale.

4.1. – Nell’atto di citazione, il cui esame è consentito in questa sede dalla natura processuale del vizio contestato, il fallimento aveva chiesto la revoca degli atti a titolo oneroso, a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1, nonchè di tutti i versamenti effettuati dalla società tallita con mezzi propri di pagamento, a norma della L. Fall., art. 67, comma 2, o tramite dazione di pegno, cessioni di credito, mandati a riscuotere o altri mezzi analoghi, a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, o subordinatamente a norma della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 3, con la condanna della Banca al pagamento della somma di L. 492.478.963 per l’anno 1993 e della somma da determinarsi in corso di causa per l’anno 1994 o delle somme da determinarsi nel corso del giudizio.

Tale formulazione della domanda, integrata nel corso del giudizio di primo grado mediante il richiamo al partitario del libro giornale della società fallita, è stata ritenuta inadeguata, prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello, in considerazione della mancata precisazione dell’arco temporale di riferimento delle operazioni impugnate e delle fattispecie normative di riferimento, nonchè dell’eterogeneità degli atti riportati nel partitario.

Questa conclusione non appare tuttavia condivisibile, almeno in riferimento alla domanda di revoca delle rimesse in conto corrente, alla quale si riferisce il motivo d’impugnazione.

4.2. – In tema di revocatola fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, questa Corte ha infatti affermato da tempo che la mancata indicazione dei singoli versamenti di cui si chiede la revoca non comporta l’indeterminatezza dell’oggetto e del titolo della domanda, per la cui individuazione risulta sufficiente l’indicazione del conto corrente sul quale le rimesse sono affluite e dell’arco temporale in cui sono state effettuate, eventualmente accompagnata dalla precisazione del loro importo complessivo, che costituisce la somma di cui si chiede la restituzione (cfr. Cass. Sez. 1^, 30 maggio 2008, n. 14552; 22 giugno 2007, n. 14676; 31 marzo 2006, n. 7667; 5 aprile 2005. n. 7074; 12 novembre 2003, n. 17023).

Pur riconoscendosi che nella revocatoria di pagamenti, ai sensi della L. Fall., art. 67, ciascun pagamento di cui si chiede la revoca costituisce oggetto di una distinta domanda, si è osservato che, ove si tratti di rimesse in conto corrente, l’accoglimento dell’azione richiede la ricostruzione dell’andamento dei movimenti registrati in conto durante un determinato arco di tempo, per stabilire se le singole rimesse abbiano avuto funzione solutoria (cfr. Cass., Sez. 1, 31 marzo 2006. n. 7667, cit.; 12 novembre 2003. n. 17023. cit.).

E’ noto infatti che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le rimesse in conto corrente in tanto sono revocabili, ai sensi della L. Fall., art. 67 cit. in quanto all’atto della rimessa il conto risulti scoperto, per tale dovendosi ritenere sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, sia quello in cui si sia verificato uno sconfinamento dal fido convenzionalmente accordato al correntista, con la conseguenza che, per valutare il carattere solutorio o ripristinatorio della rimessa, occorre riferirsi al saldo disponibile nel momento della singola rimessa (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1^, 28 febbraio 2007, n. 4762;

23 novembre 2005, n. 24588; 13 maggio 2005, n. 10122), il quale non coincide necessariamente nè con il saldo per valuta, nè con quello contabile delle operazioni risultanti dall’estratto conto (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 1^, 28 febbraio 2007. n. 4762, cit.; 6 dicembre 2006, n. 26171: 23 novembre 2005. n. 24588, cit.).

Peraltro, una volta proposta l’azione revocatoria fallimentare, l’attore può limitarsi a sostenere che tali versamenti, intesi come fatti solutorio, avvennero per il rimborso di somme anticipate dalla banca in conto corrente, mentre incombe alla banca l’onere di provare la sussistenza dell’apertura di credilo ed il suo limite (cfr. Cass. Sez. 1^, 15 settembre 2006, n. 19941; 9 luglio 2005, n. 14470).

In tale contesto, la mancanza di una specifica individuazione delle singole rimesse non pone tanto un problema di compiuta esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4), quanto un problema di esatta determinazione dell’oggetto della stessa (art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3), ed attiene pertanto al petitum, più che alla causa petendi.

Quest’ultima, in relazione all’azione in esame, è almeno in parte identificata dal riferimento allo stesso oggetto della domanda (la revoca di quei determinati pagamenti), con la conseguenza che, ove lo stesso possa considerarsi sufficientemente determinato, lo è di riflesso anche la domanda, non essendovi dubbi sulla sufficiente individuazione dei restanti elementi (consapevolezza, da parte dell’accipiens, dello stato d’insolvenza del solvens e fallimento di quest’ultimo entro l’anno dai pagamenti) dedotti a fondamento della domanda (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 maggio 2008, n. 14552. cit. 12 novembre 2003, n. 17023, cit.).

4.3. – In tema di nullità della citazione, questa Corte ha peraltro precisato che l’omessa determinazione dell’oggetto della domanda, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 4, è configurabile soltanto in caso di totale omissione o assoluta incertezza del petitum, inteso tanto in senso formale come provvedimento giurisdizionale richiesto, quanto in senso sostanziale come bene della vita di cui si domanda il riconoscimento. Il relativo accertamento implica una valutandone da compiersi caso per caso, tenendo conto da un lato che l’identificazione dell’oggetto della domanda va operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, e dall’altro che l’oggetto deve risultare appunto “assolutamente” incerto (cfr. Cass. Sez. 2^, 7 marzo 2006. n. 4828; Cass. Sez. 1^, 5 aprile 2005, n. 7074).

In particolare, quest’ultimo elemento deve essere vagliato alla luce della ragione ispiratrice della norma, che risiede nell’esigenza di porre il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l’immediata contezza del iberna decidendum). Nel valutare il grado di incertezza della domanda, occorre pertanto avere riguardo alla natura del relativo oggetto ed alla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte, dovendosi stabilire se tale rapporto consenta comunque un’agevole individuazione di quanto l’attore richiede e delle ragioni per cui lo fa o se viceversa sia tale da rendere effettivamente difficile, in difetto di maggiori specificazioni, l’approntamento di una precisa linea di difesa (cfr. Cass., Sez. 2^, 21 novembre 2008.

n. 27670; Cass. Sez. 1^, 12 novembre 2003, n. 17023, cit.).

4.4.- Nella specie, l’indicazione del numero del conto corrente bancario sul quale erano affluite le rimesse della società poi fallita, la determinazione dei periodi di tempo nei quali erano comprese le rimesse di cui è stata chiesta la revoca e la precisazione che la domanda si riferiva a tutte le rimesse effettuate su quel conto nei predetti periodi, unitamente all’enunciazione, almeno per uno di essi, dell’importo complessivo delle rimesse ritenute revocabili, costituivano clementi sufficienti a consentire alla convenuta l’individuazione dell’oggetto della domanda, soprattutto se si considera che, come precisato dalla difesa del fallimento nella narrativa della citazione, la Banca era in possesso di tutta la documentazione relativa al conto corrente, mai trasmessa al curatore, nonostante l’espressa richiesta da quest’ultimo formulata.

La pretesa avanzata dal fallimento non poteva quindi considerarsi indeterminata, neppure alla luce della contestuale formulazione di ulteriori domande ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, nn. 2 e 3, la cui proposizione non risultava idonea ad incidere negativamente nè sull’individuazione dell’oggetto, avuto riguardo all’identità del relativo petitum, nè su quella della causa petendi, in virtù del rapporto di alternatività o subordinazione espressamente istituito nelle conclusioni dell’atto di citazione.

5. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bari, che provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2011

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