Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13447 del 30/06/2016

Cassazione civile sez. II, 30/06/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 30/06/2016), n.13447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23418-2011 proposto da:

D.M.P., (OMISSIS), V.V.

(OMISSIS) rappresentato e difeso da se medesimo ex art. 86

e nella qualità di procuratore e difensore del coniuge,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 82, presso lo

studio dell’avvocato ADALBERTO GUELI;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO PALAZZO (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio

dell’avvocato BENITO PANARITI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITTORIO CASTRIOTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 270/2011 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 10/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato V.V., difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PANARITI Benito, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

V.V. e D.M. proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso il 29 marzo 2000 dal Giudice di pace di Foggia: decreto avente ad oggetto il pagamento della somma di Lire 1.272.210, oltre spese. Con tale decreto, su ricorso del Condominio Palazzo (OMISSIS), era stato intimato il pagamento della quota parte della spesa per l’installazione di canne fumarie relative a impianti unifamiliari, da realizzarsi in luogo dell’impianto di riscaldamento centralizzato dismesso.

Gli opponenti sostenevano di non essere proprietari del locale ubicato in via (OMISSIS), che era indicato nel ricorso per ingiunzione, mentre il convenuto rilevava che l’indicazione di tale civico era addebitabile un mero errore materiale.

Nel corso del giudizio di primo grado era presentata querela di falso avverso la dichiarazione con cui V.V. avrebbe manifestato l’intenzione di non rinunciare all’allaccio alla canna fumaria di nuova realizzazione. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo era quindi sospeso e poi riassunto a seguito della sentenza del Tribunale di Foggia con la quale era dichiarata la falsità del detto documento. Aveva dunque avuto corso l’attività istruttoria e nel corso di essa il giudice di pace dichiarava l’incapacità di un teste indicato dagli opponenti e non consentiva, inoltre, la sostituzione di due testimoni, deceduti nel corso del giudizio, con altri.

Giudice di pace di Foggia rigettava l’opposizione.

Erano interposti un gravame principale e un gravame incidentale.

Il Tribunale di Foggia, con sentenza depositata il 10 febbraio 2011, rigettava l’appello principale, rilevando come il credito azionato concernesse oneri condominiali che erano stati approvati con Delib.

16 settembre 1998: non essendo stata impugnata, la detta Delib.

doveva ritenersi valida ed efficace, con conseguente obbligo, da parte degli appellanti, di corrispondere le somme indicate nel preventivo di spesa e nel piano di riparto approvati. Lo stesso tribunale accoglieva invece l’impugnazione incidentale che concerneva la liquidazione delle spese relative al giudizio di falso.

Contro detta pronuncia V.V. e D.M.P. hanno presentato un ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il Condominio Palazzo (OMISSIS).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente, richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3 denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 246 e 113 c.p.c.. Lamenta che il tribunale avesse condiviso l’operato del giudice di pace, il quale, a sua volta, aveva erroneamente ritenuto incapace a deporre il testimone D.G., che era, però, mero conduttore di una unità immobiliare ubicata nello stabile condominiale, e non condomino. Si duole, altresì, il ricorrente che il giudice dell’impugnazione abbia avallato implicitamente la decisione del giudice di prime cure che aveva impropriamente rigettato la richiesta di sostituzione di due testimoni che erano deceduti.

Il secondo motivo, sempre invocando il disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3, censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 1117 c.c. e 113 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che il tribunale aveva mancato di decidere la causa secondo le norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 1117 c.c..

Infatti, quest’ultima disposizione non ricomprendeva tra i beni oggetto di proprietà comune le canne fumarie, le quali costituiscono manufatti autonomi suscettibili di utilizzazione separata da parte di uno o più condomini. I coniugi V. – è spiegato – non avevano mai espresso la loro volontà di partecipare alla comunione delle nuove canne fumarie e, rispetto ad esse, non rivestivano la qualità di condomini, sicchè non era possibile imputare loro, pro quota, le relative spese di installazione e manutenzione: con la Delib. 16 settembre 1998 si era costituita una nuova comunione che aveva riguardato i soli condomini che avevano manifestato la volontà di allaccio (condomini tra cui non potevano essere ricompresi i coniugi Veccia, che non avevano dichiarato di essere interessati ad usufruire di alcuna canna fumaria).

Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, è infine lamentata col terzo motivo di impugnazione.

Rileva il ricorrente che il tribunale aveva dato per scontato che il diritto di credito vantato dal Condominio fosse riferito ad oneri condominiali, laddove i coniugi V. avevano rinunciato a partecipare alla comunione che riguardava le canne fumarie.

Occorre premettere che la causa, avendo il valore di Lire 1.272,210 (pari, oggi, a Euro 657,04), rientra tra quelle che il giudice di pace deve decidere secondo equità, giusta l’art. 113 c.p.c., comma 2. Per tali cause è stabilito dall’art. 339 c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 1 che le relative sentenze siano appellabili esclusivamente per violazione delle norme del procedimento, per violazione delle norme costituzionali o comunitarie, ovvero dei principi regolatori della materia. Il testo novellato dell’art. 339, comma 3, d’altro canto, si applica ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e cioè al 2 marzo 2006, salvo che il provvedimento del giudice di pace sia stato pubblicato entro la data suddetta: ciò che nella fattispecie non è, visto che la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2007.

Ora, le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente Euro 1.100,00 – salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o formulari di cui all’art. 1342 c.c. – sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 (Cass. 3 aprile 2012, n. 5287), dal momento che per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa (Cass. 11 giugno 2012, n. 9432; Cass. 5 giugno 2015, n. 11739). Pertanto, il tribunale, in sede di appello avverso sentenza del giudice di pace, pronunciata in controversia di valore inferiore al suddetto limite, è tenuto a verificare, in base all’art. 339 c.p.c., comma 3, come sostituito dal cit. D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 1 soltanto l’inosservanza delle norme e dei principi ivi indicati, dovendo anche il giudice dell’impugnazione pronunciarsi nei limiti stabiliti dalla richiamata norma codicistica (Cass. 3 aprile 2012, n. 5287 cit.).

Ne consegue, ancora, che in caso di causa da decidersi secondo equità, la sentenza di appello è censurabile in cassazione solo denunciandosi l’inosservanza delle norme sul procedimento, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie, o dei principi regolatori della materia, pena l’inammissibilità del ricorso ex art. 339 c.p.c., comma 3 e art. 360 c.p.c., n. 3, posto che la violazione di legge deducibile in sede di legittimità in caso di ricorso avverso sentenza di appello resa su pronuncia di equità del giudice di pace va pur sempre rapportata alla violazione di tali norme e di tali principi (cfr. in tema Cass. 24 febbraio 2015, n. 3715).

Ora, il secondo motivo, da esaminarsi con priorità logica rispetto agli altri, non prospetta alcuna censura riconducibile a quelle consentite dal nominato art. 339 c.p.c., comma 3. Il motivo, infatti, si fonda sull’art. 1117 c.c., muovendo dal presupposto, erroneo, che la causa debba essere decisa in base alle norme di diritto (come è del resto espressamente indicato a pag. 15 del ricorso), e non reca alcuna menzione della violazione di norme costituzionali, di norme comunitarie o di principi regolatori della materia (per questi ultimi dovendosi intendere le regole fondamentali del rapporto, desumendole dal complesso delle norme preesistenti con le quali il legislatore lo ha disciplinato: Cass. 14 luglio 2011, n. 15460). D’altro canto, il cit. art. 1117 c.c. si limita a individuare le parti comuni dell’edificio condominiale, mentre le contestazioni avverso l’addebito di spese che il singolo condomino neghi di dover corrispondere è affidato al sistema delle impugnative delle Delib.

assembleari. Ed è alla Delib. assembleare 16 settembre 1998, di approvazione del preventivo di spesa, che il tribunale ha fatto riferimento nel definire la controversia portata al suo esame. Ove, quindi, i ricorrenti avessero inteso lamentare il mancato rispetto dei principi regolatori della materia, avrebbero dovuto indicare il rimedio, desunto dal complesso della disciplina che afferisce alle forme di espressione della volontà dei condomini, e incidente sulla validità della singola delibera, che consentiva di neutralizzare l’approvazione dei lavori, col correlativo preventivo e riparto di spesa.

Peraltro, è da aggiungere, una ipotetica invalidità della delibera non potrebbe essere nemmeno dedotta nella presente sede, visto che le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo questa riservata al giudice davanti al quale dette delibere siano state impugnate (Cass. S.U. 18 dicembre 2009, n. 26629; in senso conforme Cass. 20 luglio 2010, n. 17014).

Il secondo motivo è dunque inammissibile.

Da disattendere è pure il terzo motivo.

Le sentenze pronunciate secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 sono ricorribili in cassazione, con riguardo alla motivazione, solo ove la stessa sia assolutamente mancante o apparente, o fondata su affermazioni in radicale ed insanabile contraddittorietà (Cass. S.U. 14 gennaio 2009, n. 564; Cass. 21 ottobre 2009, n. 22279; Cass. 28 marzo 2007, n. 7581). Non è il caso della motivazione della sentenza in esame.

Il terzo motivo nemmeno coglie la ratio decidendi della pronuncia, la quale si fonda sulla mancata impugnativa della delibera. A fronte di tale evenienza, infatti, non varrebbe invocare il vizio motivazionale incentrato sull’asserita insussistenza di condominialità della canna fumaria, visto che la questione relativa, dal punto di vista logico, costituisce un posterius rispetto all’affermata esistenza di una delibera che non è stata impugnata.

Quanto al primo motivo, infine, esso è inammissibile per mancanza di interesse.

Le questioni concernenti la mancata ammissione della altri testimoni, indicati in nel frattempo erano deceduti, incidenza sull’esito della capacità di un teste e prova con riferimento ad sostituzione di due, che non potrebbe avere alcuna lite, stante il mancato accoglimento del secondo e del terzo mezzo di censura. Infatti, i motivi di ricorso per cassazione che attengono alla violazione sull’ammissibilità delle prove, ed reiezione di istanze probatorie, sono ammissibili, sotto il profilo dell’interesse all’impugnazione, soltanto se le prove controverse ineriscono a punti della decisione impugnata suscettibili di essere influenzati – e diversamente risolti – dall’esito di esse (Cass. 9 agosto 1996, n. 7372; Cass. 19 gennaio 1998, n. 460; cfr. pure Cass. 10 ottobre 2014, n. 21418, con riferimento al caso della lamentata tardività dell’eccezione di incapacità a testimoniare).

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016

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