Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13447 del 29/05/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13447 Anno 2013
Presidente: TRIFONE FRANCESCO
Relatore: LANZILLO RAFFAELLA

SENTENZA
sul ricorso 24094-2007 proposto da:
MAZZANTI MARIA GIGLIOLA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA COLA DI RIENZO 111, presso lo studio
dell’avvocato D’AMATO DOMENICO, rappresentata e
difesa dall’avvocato MIRONE COSTARELLI ANTONINO
giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio
2013
926

GUIDO SALANITRO in CATANIA del 5/11/2012, rep. n.
2498;
– ricorrente contro

BANCA MONTE PASCHI SIENA S.P.A.

1

00884060526,

in

Data pubblicazione: 29/05/2013

persona del Direttore pro tempore Area Territoriale
Sicilia, Dott. ENRICO TOTARO, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CAPOSILE 2, presso lo studio
dell’avvocato ANZALDI ANTONINA, rappresentata e
difesa dall’avvocato MARINA MARCELLO giusta delega in

controricorrente nonchè contro

PRINZI CATERINA;
– intimato –

avverso la sentenza n. 456/2007 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 07/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/04/2013 dal Consigliere Dott.
RAFFAELLA LANZILLO;
udito l’Avvocato ANTONINO MIRONE COSTARELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

atti;

Svolgimento del processo

La s.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena -dichiarandosi
creditrice di Maria Gigliola Mazzanti in forza di fideiussione
da essa prestata per le s.r.l. Linea Auto e Sicovem – ha
proposto al Tribunale di Catania domanda di condanna della

interessi del 16% all’anno a decorrere dal 13.4.1991, quale
saldo passivo dei conti correnti garantiti, nonché azione di
simulazione, ed in subordine azione revocatoria, dell’atto
pubblico in data 23 marzo 1993, con cui la Mazzanti ha venduto
alla madre convivente, Caterina Prinzi, la proprietà di un
immobile.
La Mazzanti e la Prinzi, entrambe convenute, hanno resistito
alle domande. La prima ha eccepito la falsità della firma ad
essa attribuita, sull’atto di fideiussione; entrambe hanno
contestato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento
delle azioni di simulazione e revocatoria.
Esperita l’istruttoria, il Tribunale ha respinto l’azione di
simulazione ed ha invece accolto l’azione revocatoria,
dichiarando inefficace nei confronti di MPS l’atto di
compravendita. Ha poi condannato la Mazzanti al pagamento della
somma di E 193.897.282, con gli interessi convenzionali, da
contenersi nella misura stabilita dal Ministero del Tesoro come
tasso soglia, ai sensi della legge 7 marzo 1996 n. 108.
Proposto appello dalla Mazzanti e dalla Prinzi, a cui ha
resistito MPS, la Corte di appello di Catania, con la sentenza
3

Mazzanti al pagamento della somma di E 193.897.282 oltre

impugnata in questa sede,

ha modificato la sentenza di primo

grado solo quanto alla condanna al pagamento degli interessi
sull’importo capitale richiesto dalla banca, liquidando in
favore di quest’ultima i soli interessi legali.
La Mazzanti propone tre motivi di ricorso per cassazione,

Resiste MPS con controricorso.
La Prinzi non ha depositato difese.
Motivi della decisione

1.- La Corte di appello ha confermato l’autenticità della firma
della Mazzanti sui due atti di fideiussione ed ha ritenuto che
la Mazzanti e la Prinzi fossero entrambe consapevoli del
pregiudizio che il trasferimento immobiliare avrebbe arrecato
ai creditori. Ha perciò confermato la decisione del Tribunale
circa l’inefficacia nei confronti di MPS del contratto di
compravendita.
Ha invece accolto l’eccezione di nullità della clausola n. 7
dei contratti di conto corrente garantiti dalla Mazzanti, nella
parte in cui ha disposto la determinazione della misura degli
interessi con riferimento agli usi in vigore sulla piazza e la
capitalizzazione trimestrale degli interessi medesimi, in
violazione degli art. 1284 e 1283 cod. civ.

/

e ha condannato la

Mazzanti a pagare solo gli interessi legali sull’importo
determinato a chiusura dei conti correnti (E 193.897.282), a
decorrere dalla data della chiusura (12.4.1991).

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illustrati da memoria.

2.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa e/o
insufficiente motivazione nella parte in cui la Corte di
appello ha ritenuto autentiche le sottoscrizioni apposte sulle
fideiussioni, facendo proprie le conclusioni del CTU, sebbene
lo stesso consulente tecnico avesse manifestato perplessità e

e sebbene i testimoni escussi avessero dichiarato che la firma
della Mazzanti fu apposta dal marito di lei. La ricorrente
addebita altresì alla Corte di appello di avere omesso di
esaminare la questione della nullità delle fideiussioni, perché
sottoscritte in bianco e redatte in momenti diversi, nonostante
l’indicazione della medesima data di emissione (circostanza che
risulterebbe dalla stessa CTU).
2.1.-

Il

motivo

è

inammissibile,

poiché

investe

gli

accertamenti in fatto e la valutazione delle prove ad opera
della Corte di merito, cioè questioni la cui soluzione è
rimessa alla discrezionalità dei giudici del merito e non è
censurabile in sede di legittimità, ove risulti logicamente e
congruamente motivata.
La Corte di appello ha fatto precedere la sua decisione
dall’esperimento di una nuova consulenza tecnica, in aggiunta a
quella disposta in primo grado; ha dato atto che il secondo CTU
ha confermato gli accertamenti del primo circa l’autenticità
della sottoscrizione, tenendo conto dei rilievi critici
formulati dal consulente di parte Mazzanti.

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dubbi sulla riferibilità alla Mazzanti della sottoscrizione

Ha pertanto ritenuto che

due conformi relazioni tecniche,

fondate su dati oggettivi, offrano elementi di convinzione più
sicuri ed attendibili che non le dichiarazioni di testimoni
(fra cui l’avvocato e il notaio di fiducia della parte),
secondo cui il marito della Mazzanti avrebbe dichiarato che

sulle fideiussioni.
Trattasi di testimonianze de relato;

non di conferma di fatti

avvenuti in presenza dei testimoni, sicché non si ravvisa
alcuna illogicità od incongruenza nella valutazione della Corte
di merito.
2.2.- Va soggiunto che la ricorrente né ha riprodotto nel
ricorso le parti della CTU che considera di contenuto incerto e
non convincente; né ha prodotto la relazione peritale, né ha
dichiarato che essa è comunque allegata agli atti di causa,
indicando come sia contrassegnata e dove sia reperibile, fra
gli altri atti e documenti, sì da consentire a questa Corte di
controllare l’attendibilità delle censure di cui al motivo,
come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 n. 6
cod. proc. civ., con riguardo agli atti ed ai documenti sui
quali il ricorso si fonda (cfr., fra le tante, Cass. civ. 31
ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n.
19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025; Cass. civ. S.U. 2 dicembre
2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav. 7 febbraio 2011 n. 2966;
Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità

6

aveva intenzione di apporre egli stesso la firma della moglie

della specifica indicazione del luogo in cui il documento si
trova).
Donde ulteriore ragione di inammissibilità del motivo.
2.3.- Quanto poi all’asserita, omessa pronuncia sulla nullità
delle fideiussioni perché sottoscritte in bianco, la relativa

dedotti i relativi presupposti di fatto.
La ricorrente non può addebitare alla sentenza impugnata di non
avere esaminato questioni che non le sono state espressamente
sottoposte dalle parti ed in particolare dall’interessata, la
cui soluzione avrebbe richiesto nuovi e diversi accertamenti in
fatto (cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. 2, 24 novembre 2003
n. 17859).
3.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, oltre che
violazione dell’art. 2901 cod. civ., sul rilievo che la Corte
di appello avrebbe desunto la conoscenza del pregiudizio per i
creditori da circostanze non provate, quali il fatto che essa
aveva sottoscritto le fideiussioni e che la banca le aveva
inviato una lettera di messa in mora.
Lo stato soggettivo della Prinzi è stato poi dedotto dalla sola
circostanza che essa era convivente con la figlia e con il
marito di lei.
3.1.- Il motivo è inammissibile sotto più di un aspetto.
In primo luogo perché denuncia prevalentemente vizi di
motivazione e si conclude esclusivamente con un quesito che la
7

eccezione non risulta proposta in sede di merito, né risultano

stessa ricorrente definisce “di diritto”

(Se sia ammissibile

per l’accoglimento della revocatoria _considerare

11 terzo

acquirente di un immobile, a causa del suo rapporto parentale
con l’alienante, a conoscenza della fideiussione e quindi del
pregiudizio.””), mentre è noto che violazioni di legge e vizi di

separati e distinti (Cass. civ. 29 febbraio 2008 n. 5471),
In secondo luogo perché la questione proposta attiene
all’accertamento di merito della Corte di appello circa la
sussistenza

o

meno

dell’aspetto

soggettivo

dell’azione

revocatoria, accertamento che – si ripete – è rimesso alla
discrezionalità del giudice del merito ed è suscettibile di
riesame in sede di legittimità non per il suo contenuto, bensì
solo per gli eventuali vizi intrinseci alle argomentazioni con
cui il giudice è pervenuto alla sua decisione.
Tali vizi non sono in alcun modo denunciati dalla ricorrente.
Il rapporto di parentela, di per sé solo, può essere più o meno
significativo in relazione al contesto in cui si colloca.
Se tale rapporto si unisce alla coabitazione; se si tratta di

motivazione debbono concludersi con la formulazione di quesiti

madre e figlia e non di lontani parenti; se non risulta alcun
altro motivo

oggettivo

idoneo

a

rendere

ragione delek-bckk

trasferimento, e così via, la convinzione del giudice essersi
trattato del mero intento di sottrarre il bene ai creditori non
appare suscettibile di censura sotto il profilo
dell’illogicità-incongruenza.

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Né risulta che la ricorrente abbia anche semplicemente
enunciato, in sede di merito, una qualche ragione plausibile
idonea a giustificare la sua decisione di trasferire alla madre
convivente una sua proprietà immobiliare, proprio negli anni
in cui il marito versava in difficoltà nei rapporti con la

Vero è che l’onere della prova della conoscenza del pregiudizio
grava sul creditore ma – a fronte dell’oggettiva evidenza dei
fatti e delle presunzioni che il giudice è autorizzato a trarne
dovrebbe essere naturale e istintivo per le parti
controinteressate quanto meno enunciare le ragioni, diverse
dall’intento di pregiudicare i creditori, che avrebbero
motivato il loro comportamento, anche in virtù della loro
maggiore “vicinanza” alla prova (contraria).
4.- Con il terzo motivo, denunciando violazione degli art. 1283
e 1284 cod.civ., e omessa motivazione, la ricorrente lamenta
che la Corte di appello abbia dichiarato nulla la clausola
relativa alla determinazione degli interessi sul debito, ma ne
abbia poi tratto le conseguenze giuridiche solo a decorrere
dal 13.4.1991, tenendo fermo il saldo di chiusura dei conti
correnti debitori; mentre avrebbe dovuto disporre il
ricalcolo dell’intero importo del debito, poiché esso è stato
alimentato fin dall’origine anche dagli interessi
illegittimamente calcolati.
4.1.- Il motivo

– che si conclude con il quesito:

“Se la

nullità delle clausole di c/c determinative degli interessi con
9

banca.

criteri … anatocistici imponga il ricalcolo anche del saldo di
chiusura del conto” – è inammissibile sotto più di un aspetto.
In primo luogo perché è formulato in termini eccessivamente
generici e astratti, tali da non consentire di individuare lo
specifico problema discusso nel caso di specie.

l’illustrazione del motivo non sono congruenti con le ragioni
poste a base della decisione, che consistono nel fatto che la
ricorrente non ha mai contestato l’entità del credito, nel
corso del giudizio di primo grado (cfr. pag. 15 della
sentenza).
E’ chiaro che l’eccezione relativa all’illegittimità degli
interessi via via calcolati sugli importi a debito dei conti
correnti pone in questione la correttezza del saldo di
chiusura.
La Corte di appello ha ritenuto che l’eccezione della
ricorrente, con la relativa domanda di ricalcolo della somma
dovuta, avrebbe dovuto essere sollevata fin dal giudizio di
primo grado e che, non essendo stata proposta, non poteva
essere presa per la prima volta in esame in appello:
considerato anche il fatto che la relativa delibazione avrebbe
richiesto nuovi e complessi accertamenti in fatto.
Contro tale motivazione avrebbero dovuto essere indirizzate le
censure della ricorrente. Ma esse non figurano nel quesito e
r›,c C t. Ll
ee-mt-iTst-Tre
apoditticamente
e
fugacemente
solo
sono
nell’illustrazione del motivo.
10

In secondo luogo e soprattutto perché sia il quesito che

Non possono quindi essere prese in esame in questa sede.
5.- Il ricorso non può che essere rigettato.
6.- Le spese processuali, liquidate nel dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.

ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate complessivamente in

4.700,00, di cui C 200,00 per

esborsi ed C 4.500,00 per compensi; oltre agli accessori
previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2013
L’Es

sore

Il Presidente

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la

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